Kyoo

MAKI ISHII was born in 1936 into an artistic family. In 1958 he settled in Germany, studying at the National Musical Academy in Berlin. He has written orchestral music (“Transition”), chamber works (“Aphorisms”), and electro-acoustic music.

KYOO was composed in 1968 and won an award at the National Arts Festival. The title, which means “echoes,” refers to the formal concept of the work: one sound giving rise to a family of sounds which in their turn engender other families, etc. There are various sound sources: piano, brass, percussion, and electronic devices. The instrumental sounds are heard sometimes in their original form and sometimes transformed electronically. The piano in particular is treated in a variety of ways: played normally, played according to the techniques of the “prepared piano,” and finally amplified and transformed instantaneously through microphones installed inside the frame.

KYOO è stato composto nel 1968 da MAKI ISHII (1936).
Il titolo significa echi ed è collegato alla forma del brano: ogni suono dà vita a una famiglia di suoni simili e da uno di qusti si parte per creare un nuovo insieme sonoro in una catena in continua mutazione sul filo delle analogie acustiche.
Le sorgenti sonore sono sia elettroniche che strumentali, queste ultime in forma sia strumentale che elaborata elettronicamente. Il pianoforte, in particolare, è trattato in molti modi: preparato, ampificato e elaborato in tempo reale tramite dei microfoni inseriti nella sua struttura.

Maki Ishii – Kyoo (1968)

Mossenmark a Verona

wroom

Lunedì 12/2 alle ore 18, Staffan Mossenmark, compositore e sound-artist svedese, farà una presentazione del suo lavoro nell’Aula Magna dell’Accademia Cignaroli in Via Montanari (vicino a piazza Cittadella).

Questo evento servirà anche per inaugurare il progetto “VERONA RISUONA” che si svolgerà nei prossimi mesi e si concluderà alla fine di aprile.

Nell’immagine: Staffan Mossenmark impegnato nella performance Wroom!, mentre dirige 100 Harley Davidson nella piazza di Copenhagen. Click qui per ingrandire.

Psappha

Psappha (1975) di Iannis Xenakis eseguita da Adélaïde Ferrière.
Psappha è la versione arcaica del nome di Saffo (Sappho), poetessa dell’antichità (VII sec. ac), che inventò il principio astratto di variazione (metabole) su unità metriche (ritmiche) dette saffiche.
Nella sua prima composizione per percussioni sole, Xenakis decide di concentrarsi unicamente sul ritmo. Soltanto la cassa, infatti, è esplicitamente specificata in partitura, mentre gli altri strumenti sono indicati soltanto come diverse classi di timbri (pelli, legno, metallo, ogni zona deve essere disponibile in 3 registri).
A partire da questa organizzazione, Xenakis sovrappone diversi moduli ritmici, a strati, fino a livelli di complessità molto elevata.
Psappha è suddivisa in 5 sezioni, ognuna caratterizzata da diversi moduli di tempi, timbri e tessiture. Vi sono passaggi in cui la pulsazione continua in modo regolare, colorata da accenti timbricamente diversi. Altri in cui, per contrasto, la pulsazione apparentemente scompare e le frasi si dissolvono in gruppi di suoni di densità variabile.

Quattro canti per attraversare la soglia

Gérard Grisey – Quatre chants pour franchir le seuil per soprano e 15 strumenti (1996-1997).
Quasi una premonizione, l’ultima composizione di Grisey che morirà nel 1998.

Ho concepito i Quattro Canti per superare la soglia come una meditazione musicale sulla morte in quattro aspetti: la morte dell’angelo, la morte della civilizzazione, la morte della voce e la morte dell’umanità. I quattro movimenti sono separati da brevi interludi, polveri sonore morbide, destinati a mantenere un livello di tensione leggermente superiore al silenzio educato ma rilassato che regna nelle sale di concerto tra la fine di un movimento e l’inizio del seguente. I testi scelti appartengono a quattro civilizzazioni (cristiana, egiziana, greca, mesopotamia) ed hanno in comune un discorso frammentario sull’inevitabile della morte. La scelta della formazione è stata dettata dall’esigenza musicale di opporre alla leggerezza della voce di soprano una massa grave, pesante e tuttavia suntuosa e colorata.

I 4 canti:

  1. Prelude: La mort de l’ange – D’après Les heures de la nuit de Christian Guez-Ricord
  2. Interlude: La mort de la civilisation – D’après les Sarcophages égyptiens du Moyen Empire
  3. Interlude: La mort de la voix – D’après Erinna
  4. Faux Interlude: La mort de l’humanite – D’après L’Épopée de Gilgamesh

Il testo della prima parte, tratto da Les Heures de la Nuit di Christian Guez-Ricord (La Sétérée, Jacques Clerc Editeur, 1992)

De qui se doit
de mourir
comme un ange
……………….

comme il se doit de mourir
comme un ange
je me dois
de mourir
moi-même

il se doit son mourir
son ange est de mourir
comme il s’est mort
comme un ange

Piano phase

Io non sono un fan della musica minimale, però questo Piano phase di Steve Reich del 1967 è importante e coinvolgente. Si tratta del primo brano totalmente strumentale in cui Reich utilizza la tecnica del phasing, fino ad allora usata solo in elettronica.
Il phasing può essere descritto semplicemente come il suonare due frasi identiche con una leggera differenza metronomica (l’una appena più veloce dell’altra). Di conseguenza le due frasi dapprima suonano all’unisono. Poi, quando la differenza è ancora molto piccola, si ha una strana percezione, come se le note si allungassero o avessero un riverbero. In seguito la differenza diventa chiaramente percepibile: la melodia si sdoppia anche come numero di note (2 note nel tempo di una). Infine la melodia ritorna in fase, ma mentre un pianista suona la prima nota, l’altro suona la seconda: abbiamo così dei bicordi al posto dell’unisono iniziale.
In questo brano il processo continua attraverso vari stadi di fase e controfase, fino a quando i due pianisti sono sfasati al punto in cui la prima nota dell’uno si sovrappone all’ultima dell’altro. Così una frasetta di 12 note genera un brano di circa 20 minuti.
Fino ad oggi, il brano era per due pianoforti e due pianisti in primo luogo perché le note sono le stesse e in secondo luogo perché, pur essendo la frase molto facile, sembrava impossibile che una persona sola potesse suonarla a due velocità di poco diverse. Invece in questa esecuzione dell’ottobre 2006, il russo Peter Aidu fa tutto da solo, creando i due flussi sonori con le due mani su due pianoforti (e candidandosi per il premio schizo – scherzi a parte, quello che fa è neurologicamte pazzesco, anche perché, mentre i due pianisti usano entrambi la destra, lui non può).
More in this Internet Archive page.

Steve Reich – Piano phase (1967) – Peter Aidu, 2 pianos
Download mp3.

Marimba Spiritual

Minoru Miki – Marimba Spiritual (1983/84) for marimba and three percussionsists

Marimba: Li Xiaohong
Percussion: Kong Yuci, Wu Sihan, Zhang Weilun