Ivor Darreg (vero nome Kenneth Vincent Gerard O’Hara; 1917 – 1994, contemporaneo di Harry Partch) è stato uno dei pionieri della musica microtonale, nonché inventore di appositi strumenti.
Ecco due dei suoi brani tratti dalla sua, a mia conoscenza, unica incisione: Detwelvulate!
Il solito d’incise (Laurent Peter) insieme al percussionista Cyril Bondi (con cui forma il duo Diatribes) e ad Abdul Moimême, membro attivo della scena portoghese della musica improvvisata, ha registrato questo Complaintes de marée basse: sette improvvisazioni caratterizzate da atmosfere sospese, per me piuttosto intriganti ed emozionali.
Il tutto è stato registrato a Lisbona il 28 e 29 Agosto 2009.
La formazione è:
abdul moimême: two prepared guitars, metalic objects, springs, cymbals, metronome
d’incise: laptop, objects, various instruments, snare drums, bow, cymbals, gramophone
cyril bondi: drums, percussions, bow, cymbals, objects, small instruments
Stockhausen è stato uno dei principali esponenti di quella scuola di Darmstadt che, nell’immediato dopoguerra, proponeva il serialismo integrale come tecnica organizzativa musicale storicamente necessaria. Nello stesso tempo, però. è stato uno dei primi a staccarsene, se non a livello programmatico, almeno come dato di fatto compositivo.
Per lui, il problema maggiore insito nel serialismo integrale e nel puntillismo è la staticità. È evidente, infatti, che la dispersione dei parametri attuata con questa tecnica implica l’assenza pressoché totale di evoluzione: se per ogni nota, durata e dinamica si deve seguire una serie che forza all’utilizzo di tutti i valori prima di una qualsiasi ripetizione, è evidente che il brano risultante difficilmente potrà avere una evoluzione interna, ma sarà solo la rappresentazione della sua organizzazione.
Questo fatto, in sé, non è necessariamente un male e non è nemmeno un effetto collaterale imprevisto. Il serialismo, infatti, nega l’evoluzione interna per contrapporsi all’estetica romantica e post-romantica in cui i brani hanno uno sviluppo drammatico, cioè cercano di far compiere all’ascoltatore un percorso emozionale, cosa che è considerata superata da Webern e dai suoi seguaci. Per questi ultimi, infatti, la musica deve rappresentare soltanto sé stessa e il proprio modello organizzativo. La cosa non è nuova: questa idea è comune anche a molta musica pre-romantica, basti pensare all’Arte della Fuga.
L’assenza di sviluppo, tuttavia, per Stockhausen è un problema e già nei suoi primi lavori escogita dei metodi spesso ingegnosi per aggirarlo, pur continuando a utilizzare la tecnica seriale. Per poterlo fare, deve agire su quei pochi parametri che non sono coinvolti nell’ossessione organizzativa integrale il più evidente dei quali è il registro in cui le note appaiono.
Per esempio, in Kreuzspiel, per oboe, clarinetto basso, pianoforte, 3 percussionisti (1951), lo sviluppo è confinato alla dimensione dell’ottava, ma esiste. All’inizio del brano (in realtà da batt. 14 in quanto il processo è preceduto da una breve introduzione), 6 note della serie appaiono nelle ottave superiori e le altre 6 in quelle inferiori; le ottave centrali sono vuote.
Nel corso delle prime 6 esposizioni della serie (corrispondenti alle prime 6 righe del quadrato di permutazione), molte note cambiano registro e si infiltrano nelle ottave centrali, un processo che viene reso più evidente anche dall’aumentato uso dei legni rispetto al pianoforte (l’idea iniziale era di impiegare voci femminile e maschile), fino al punto in cui, alla fine della 6a riga del quadrato di permutazione, tutte le ottave sono riempite in modo uniforme.
Poi, con le 6 righe seguenti, le note si ritirano nuovamente verso i registri estremi, ma effettuando un incrocio tale per cui le note che all’inizio si trovavano nel registro acuto finiscono in quello grave e viceversa. Questo processo è evidente all’ascolto e, se si considera che dà anche il titolo al pezzo, si può immaginare quale sia la sua importanza per il compositore.
Il lettore interessato può cliccare sull’immagine a destra ed esaminare lo schema dell’intero processo.
Bun No. 1 (trad. focaccina, ciambella, panino) è un brano del 1965, composto da Cornelius Cardew durante i suoi studi con Goffredo Petrassi come esercizio finale per il corso di perfezionamento in composizione.
Si tratta, per quanto ne so, di un lavoro seriale per orchestra senza percussioni. Un brano affascinante, molto timbrico, che rivela un aspetto di Cardew quasi sconosciuto anche perché questo pezzo non era stato praticamente mai eseguito fino alla prima londinese curata dalla Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov per la BBC il 20 Agosto 2010.
Ma perché Bun? in Contact no.26 (Spring 1983), John Tilbury ha spiegato
[Cardew} gave me two off-the-cuff reasons when I asked him: a bun is what you give to an elephant at the zoo, and that was how he felt when he gave the work to an orchestra to play; and the piece is like a bun – filling but not substantial!
Non badate all’immagine che con questo brano non c’entra assolutamente nulla
Crippled Symmetry, del 1983, è uno dei lavori di lunghezza epica tipici dell’ultimo Feldman. Circa 90 minuti; niente in confronto alle 5/6 ore del Secondo Quartetto, composto nello stesso anno.
Ciò nonostante, per la sua durata e per i limitati elementi musicali di cui fa uso, questo brano richiede un ascolto di tipo ben diverso da quello della musica da camera tradizionale o anche contemporanea.
L’aggettivo crippled significa “menomato, storpio”, ma anche “paralizzato, bloccato, danneggiato”. Ed è in questo senso che vanno cercate le simmetrie all’interno del brano. I tre esecutori, uno al flauto e flauto basso, uno a glockenspiel e vibrafono, il terzo al pianoforte e alla celesta, suonano brevi frammenti ripetuti che variano gradualmente nel tempo dando vita a schemi ritmici complessi in cui la coordinazione fra gli esecutori si palesa per un istante, per poi scomparire e dar vita ad un nuovo schema.
Tuttavia non si tratta di minimal music. Il lavoro di Feldman è lontano dagli stilemi di Reich, Glass e compagni, così come da quelli di Arvo Pärt o Giya Kancheli. In uno scritto del 1981, Feldman affermava che
Music can achieve aspects of immobility, or the illusion of it.
e poi
The degrees of stasis, found in a Rothko or a Guston, were perhaps the most significant elements that I brought to my music from painting.
Molti critici avvicinano il processo evolutivo di questi ultimi brani di Feldman a quello, lentissimo e invisibile, ma inesorabile, dei ghiacciai o delle entità geologiche. Personalmente, visto che in questi giorni mi trovo in luogo isolato circondato dalla natura (mi collego saltuariamente con un misero gsm), tendo a paragonarlo alla lenta mutazione invernale delle piante a confronto della quale sembra perfino veloce.
The main sound source for Wind Chimes is a set of ceramic chimes found in a pottery during a visit to New Zealand in 1984. It was not so much the ringing pitches which were attractive but rather the bright, gritty, rich, almost metallic qualities of a single struck pipe or a pair of scraped pipes. These qualities proved a very fruitful basis for many transformations which prised apart and reconstituted their interior spectral design. Taking a single sound source and getting as much out of it as possible has always been one of my key methods for developing sonic coherence in a piece. Not that the listener is supposed to or can always recognize the source, but in this case the source is audible in its natural state near the beginning of the piece, and that ceramic quality is never far away throughout. Eventually, complementary materials were gathered in as the piece’s sound-families began to expand, among them a bass drum, very high metallic Japanese wind chimes, resonant metal bars, interior piano sounds, and some digital synthesis. The piece is centered on strong attacking gestures, types of real and imaginary physical motion (spinning, rotating objects, resonances which sound as if scraped or bowed, for example), contrasted with layered, more spacious, sustained textures whose poignant dips hint at a certain melancholy.
Wind Chimes was composed in the Electroacoustic Music Studio of the University of East Anglia (UK) in 1987, with computer sound transformations carried out on the digital system of Studio 123 of the Groupe de recherches musicales (GRM) in Paris (France) in 1986. It was premiered during the Electric Weekend at the Queen Elizabeth Hall in London on September 11, 1987. This piece was first released in 1990 on the Computer Music Current #5 compact disc on the Wergo label (WER 2025-2). Wind Chimes was commissioned by the South Bank Centre, London (UK).
Ecco la prima parte di Traiettoria, le altre essendo Dialoghi e Contrasti, di Marco Stroppa.
Note di programma
Traiettoria per pianoforte e suoni generati al computer è un ciclo di tre pezzi Traiettoria…deviata, Dialoghi, Contrasti, composta tra il 1982 e 1984 e della durata di circa 45′.
Traiettoria può essere considerato come un concerto per pianoforte e orchestra, dove i suoni sintetici sostituiscono l’orchestra. In questo lavoro, il rapporto tra suoni sintetici e suoni concreti del pianoforte a volte è progettato in modo che si fondano in un’unica immagine e sensazione. Timbri inarmonici e armonia, in altre parole, “illusione” e realtà, tendono spesso a fondersi e trasformarsi l’una nell’altra.
La disposizione del pianoforte e del dispositivo di amplificazione è stata studiata con molta attenzione. I suoni sintetici provengono sia da un altoparlante posizionato sotto il piano che interferisce con la tavola armonica e le corde, sia da più altoparlanti disposti intorno al pubblico. A seconda alla soluzione scelta il volume del suono è ridotto oppure circonda il pubblico da tutti i lati in un impulso costante per tutto il pezzo. Per ragioni di equilibrio anche il pianoforte è amplificato.
La regia sonora di Traiettoria in concerto serve a modellare il suono sintetico in base alla partitura e alle caratteristiche acustiche della sala. Deve essere assicurata da un musicista la cui importanza è pari a quella del pianista.