Susanne Achilles performs the Duet for One Pianist by Jean Claude Risset, an important name in computer music.
This piece, composed at MIT in 1989, is for disklavier and computer. The disklavier is a grand piano made by Yamaha, whose mechanics are motorized and can be controlled via MIDI. So the disklavier can play pieces on its own, but, more interestingly, a pianist’s performance data (pitches, dynamics, durations) can be sent, in real time, to a computer which can react by driving the disklavier according to rules formalized in software by the composer.
This is what happens in Duet for One Pianist, hence the title. The piece is divided into eight sketches in which the computer manipulates and sends back the material performed by the performer based on the principles cited in the title of each movement: Double, Mirror, Extensions, Fractals, Stretch, Resonances, Up Down and Metronome.
The pianist is accompanied, like a shadow, by a second, invisible performer, who plays his own piano with lowering keys.
Su You Tube c’è Mouvement (vor der Erstarrung) (trad. come sopra), un brano del 1982 di Helmut Lachemann per ensemble che è un bell’esempio, anche se non estremo, della sua musica concreta strumentale e del quale il NY Yimes scrive che
…might be one of Mr. Lachenmann’s best things: a whirring, rasping, ricocheting maze of new, beautifully fashioned sounds
Questo Le Lac, per ensemble, composto nel 2001 da Tristan Murail è sicuramente un bel brano, ma, a mio avviso, è così tipico della sua produzione da sfiorare il manierismo. Traduzione: per me, è meno emozionante di altri brani, però è scritto proprio bene.
Le sonorità si susseguono e si sciolgono l’una nell’altra in un modo così perfetto che, a tratti, non sembrano nemmeno originate da strumenti, ma il risultato di un sapiente lavoro di missaggio e montaggio da studio.
Il brano occhieggia l’omonimo poema di Lamartine, ma è soprattutto musica che si ispira a modelli naturali: l’analisi acustica del suono della pioggia sul lago, una versione stilizzata di tuono, un grido di uccello non identificato, la texture elettronica delle rane in primavera…
E dietro a tutto questo, il lago. Una superficie sempre uguale e sempre cangiante, gioco di permanenza e di effimero, di movimento e di umore, la logica dell’inaspettato, l’ordine e la semplicità annidati all’interno del caotico e del complesso.
Update: certo che rileggendo quello che ho scritto e ascoltando il pezzo per la terza volta, mi rendo conto che è inutile dire che non è bello come gli altri. Forse in qualche punto ricorda in modo un po’ scoperto Ligeti, Messiaen e addirittura Debussy, ma è maledettamente bello. Il punto (e il problema) è che dentro ci sono quasi tutti – e qui potrei dire sia le modalità espressive (in positivo) che i manierismi (in negativo) – della fine del secolo scorso. Un bel modo di salutare il nuovo millennio.
Un estratto da un brano di Philippe Manoury (En écho, 1993-1994, testo di Emmanuel Hocquart) in cui il computer genera suoni in tempo reale seguendo l’esecuzione del soprano. In pratica il computer è in grado di ascoltare l’interprete e a fronte della partitura, riesce a seguirlo nonostante eventuali rallentando o accelerando.
In questo caso tutto è reso più semplice dal fatto che l’esecutore è un solista e non un ensemble, quindi si deve seguire una sola voce, ma anche così non si tratta di una faccenda banale.
Written in collaboration with programmer Miller Puckette, “En Echo” uses real time score-following software which responds to the singer’s voice. In Emille Hocquart’s text, a young woman recollects a heated affair.
“The computer is automatically following the voice,” Mr. Manoury explained. “It functions as what we call a ‘score-follower.’ The singer sings in tempo, or with an acceleration, and the computer synchronizes to make synthetic sounds that are deduced from alterations in the voice — not precalculated, but produced in real time. If the voice modifies the vowels, for example, it modifies the electronics.” Messrs. Manoury and Puckette have worked since the latter moved from the Massachusetts Institute of Technology in 1989 and joined Mr. Manoury at the famous studios at IRCAM (l’Institut de Recherche et de Coordination Acoustique/Musique), which Pierre Boulez founded in Paris.
Iain David McGeachy, meglio noto come John Martyn è morto in Irlanda all’età di 60 anni. Nato nel 1948, nel Surrey (Inghilterra), era cresciuto a Glasgow (Scozia), dove, a 19 anni, aveva cominciato a farsi conoscere per il suo stile caratterizzato da una miscela di blues e folk.
Nel 1973 incise uno dei più importanti album britannici degli anni settanta, Solid Air, in cui continuò a sviluppare un suo stile vocale nuovo, inarticolato e modulato, con inflessioni paragonabili a quelle di un sax. Mi è sempre piaciuta quella voce.
Seguirono vari altri album, tutti di buon livello, anche nei periodi più scuri della sua vita (“Alcune persone tengono un diario, io faccio dischi”).
Grazie a Nicola, vi passo uno scritto di Tristan Murail su Giacinto Scelsi (tradotto in inglese). Gli esponenti della musica spettrale (Grisey, Murail, Dufourt) non hanno mai fatto mistero di considerare Scelsi come un antesignano del movimento, soprattutto per i 4 pezzi su una nota sola e in questo articolo Murail puntualizza le ragioni del suo interesse per l’opera del compositore italiano.
L’articolo è copyrighted ma è espressamente concessa la copia per uso individuale.
Nel giorno del mio compleanno (24/01), la BBC aveva messo in linea Inori di Stockhausen. Comprendeva anche una lunga presentazione. Purtroppo la BBC non si è degnata di avvertirmi del regalo che ormai rimarrà in linea solo per altri 2 giorni. Fortunatamente è comparso anche su Youtube.
Written in 1973-74, Inori is based on prayer-like gestures interpreted on stage by a mime and a dancer. The expressive movements, performed by the two silent soloists and drawn from a variety of religious practices, are mirrored in the response of two orchestral groups.
Continuiamo con Scelsi e con questo affascinante Elohim per 10 archi (4 violini, 3 viole, 3 celli), opera di difficile datazione perché pubblicata postuma.
Elohim (אֱלוֹהִים , אלהים) in ebraico è un plurale della parola “divinità” – Eloah (אלוה) – che ha suscitato non pochi interrogativi fra gli esegeti biblici. L’Elohim di Scelsi ruota attorno ad un accordo di 7 note (Mi, La Sib, Do, Do#, Fa#, Sol) che appare 15 volte nel corso di questo breve lavoro, inframmezzato da “risposte” che si muovono verso gli acuti, diventando via via più violente fino a creare un campo di glissandi e alla fine svanire.
Restando su Scelsi, questa volta vi propongo Konx-Om-Pax, un brano per orchestra (con l’esclusione dei flauti e l’aggiunta dell’organo e di un coro misto nel finale) del 1969.
Il commento del solito Todd McComb su Classical.net è ottimo ed esauriente:
Konx-Om-Pax is also one of Scelsi’s most effective compositions, using relatively simple material projected on a broad canvas. It is scored for large orchestra (including full strings, and lacking only flutes) along with organ, and in the final movement a mixed chorus. It was premiered on February 6th, 1986 by the Hessian Radio Orchestra in Frankfurt and conducted by Jurg Wyttenbach. The title of the piece is three words meaning ‘peace,’ in ancient Assyrian, Sanskrit and Latin. It is subtitled: “Three aspects of Sound: as the first motion of the immovable, as creative force, as the sacred syllable ‘Om.’” Konx-Om-Pax is especially effective at creating a feeling of peace, and as such is a particularly useful piece for coping with the modern world.
The first movement is based entirely on C, first treated as in inner pedal, and fans out harmonically at first symmetrically and then asymmetrically with the addition of quarter tones, rising to a great climax completely elaborating the underlying C. This movement is a gradual gathering of harmonic forces, with great calming effect. The short second movement begins on F, slowly builds until unleashing a great explosion of power in the form of rapid chromatic scales engulfing everything in their path, and ends again on F. The third movement is on A (and recall that the movement from C to A was the basic feature of Quartet No. 4 (1964)) and marks the entrance of the chorus, chanting only the syllable Om, and supported by the orchestra. This movement gives the impression (however absurd it may seem) of process-music or even a fugue on the single note theme, ‘Om.’ This is accomplished by a tight interior chromaticism with microtonal variations, a careful consideration of length of utterance and inflection, and by the building of a countersubject out of harmonic resonances. The entries of ‘Om’ continue steadily throughout the slowly-paced movement. The movement is in three sections: the first builds slowly, sticking almost entirely to ‘Om’ with single note responses; the second is an extended episode dominated by the orchestra, with percussive punctuation, in which harmonic associations are worked out in more detail; and the third re- introduces the chorus on ‘Om’ along with the longer countersubject developed in the previous episode, slowly fading away in a profound ending to this majestic work.
In many ways, Konx-Om-Pax is Scelsi’s most perfect creation: it attests to his supreme power of harmony, and above all it is always effective. For many of Scelsi’s works, it is necessary to have the proper frame of mind in order to approach, but here that frame of mind is established within the twenty-minute work itself. Hence other pieces can be ineffective at times, but with Konx-Om-Pax this is never the case.
Continuiamo con Scelsi perché è un compositore relativamente poco conosciuto in Italia, ma osannato all’estero, soprattutto in Francia, dove è considerato l’antesignano della musica spettrale. In realtà Giacinto Scelsi è un grande compositore, come tutti con alti e bassi, ma ha contribuito a creare alcuni degli stilemi che hanno permeato tutta la musica degli anni ’60 e ’70, prima fra tutte l’idea del suono che si sviluppa a partire da una singola nota.
Qui abbiamo Uaxuctum del 1966, un brano molto drammatico, come testimonia il sottotitolo “la leggenda della città maya che si autodistrusse per motivi religiosi“. Il brano è idealmente diviso in cinque movimenti che corrispondono ad altrettanti video in You Tube. Come al solito metto la prima e i link alle altre parti,
This extraordinary piece is in five movements, totaling approximately twenty minutes. In addition to the large chorus, written at an astonishingly difficult technical level, the work is scored for: four vocal soloists (two sopranos, two tenors, electronically amplified), ondes Martenot solo, vibraphone, sistrum, Eb clarinet, Bb clarinet, bass clarinet, four horns, two trumpets, three trombones, bass tuba, double bass tuba, six double basses, timpani and seven other percussionists (playing on such instruments as the rubbed two-hundred liter can, a large aluminum hemisphere, and a two-meter high sheet of metal). The chorus is written in ten and twelve parts, incorporating all variety of microtonal manipulations, as well as breathing and other guttural and nasal sounds. This piece is certainly Scelsi’s most difficult to perform, and was not premiered until October 12th, 1987 by the Cologne Radio Chorus and Symphony Orchestra. Uaxuctum is subtitled: “The legend of the Maya city, destroyed by themselves for religious reasons” and corresponds to an actual Maya city in Peten, Guatemala which flourished during the first millennium AD; in addition, the Mexican state of Oaxaca comes from the same ancient meso-American root.
This is an intensely dramatic work, and the most bizarre in Scelsi’s output. It depicts the end of an ancient civilization – residing in Central America, but with mythical roots extending back to Egypt and beyond – it is the last flowering of a mystical and mythological culture which was slowly destroyed by our modern world. In this case, Scelsi says, the Mayans made a conscious decision to end the city themselves. Uaxuctum incorporates harmonic elements throughout, and is extremely difficult to come to terms with.
The first movement, the longest of the five, is a grand overture; it begins in quiet contemplation, only to be interrupted by the violent mystical revelation of the chorus propelling this story into the present from the distant past, and then sinking back into meditative tones with a presentiment of the upcoming adventure. In the wild and dramatic second movement, we enter the world of the Mayans, complete with mysticism in all aspects of life; it is an incredible and violent tour-de-force of orchestral writing. The short third movement opens with an atmosphere of foreboding, building into a realization of things to come, and reaching a decision. After a few seconds of silence, the city of Uaxuctum is quickly destroyed and abandoned. The fourth movement is dominated by the chorus throughout, and presents the wisdom gained by the Mayans as they gradually fade into oblivion. The fifth movement returns to the opening mood, and gives a dim recollection of the preceding events which have now been told, in abstract form, to our time and civilization.
There really are no proper words to describe this amazing piece, which presents Scelsi at his most daring and innovative. It is a world all to itself, and a warning.
Here in binaural recording. Headphones are mandatory to hear the binaural effect.
Orchestre philharmonique et Choeur de Radio France – Aldo Brizzi