IMSLP riaprirà

Una buona notizia: l’International Music Score Library Project (IMSLP) riaprirà a Luglio.

IMSLP era uno degli archivi più forniti di partiture ormai prive di copyright per decorrenza dei termini e quindi liberamente scaricabili. Purtroppo i termini di scadenza del copyright non sono uguali in tutti gli stati. In Canada, dove risiede il sito di IMSLP, sono più brevi rispetto agli USA e all’Europa (50 anni dalla morte dell’autore contro i 75 o peggio di molti altri stati).

Di conseguenza, nell’ottobre 2007, Universal Edition aveva minacciato di portare il sito in tribunale per alcune partiture il cui copyright era scaduto in Canada, ma non in Austria.

Era chiaro a tutti che IMSLP aveva ragione e la suddetta minaccia era pretestuosa. Quello della scadenza del copyright è effettivamente un vuoto legislativo causato dall’internazionalità di Internet, ma, finché non sarà colmato, quello che tutti dobbiamo fare è rispettare le leggi in vigore nello stato in cui il sito risiede.
Tuttavia il gestore di IMSLP non aveva i mezzi per affrontare una causa internazionale che, quasi certamente, alla fine avrebbe vinto, ma che, nel frattempo, avrebbe generato un sacco di spese ed era stato costretto a chiudere.

La chiusura di IMSLP era stata vista da tutta la rete come un sopruso, anche perché non era sicuramente la presenza di quattro partiture del ‘900 che avrebbe potuto danneggiare Universal Edition.

Il dato di fatto è che gli editori ricorrono a questi mezzi nel tentativo di conservare il controllo di un mercato che viene effettivamente ridotto dalla stessa esistenza della rete. Il copyright sulle partiture di, per es., J.S. Bach è scaduto in tutto il mondo, tuttavia, fino ad alcuni anni fa, l’unico modo legale che avevamo di procurarcene una era comprarla da chi la stampava e la rivendeva con un certo margine di guadagno per tutta la filiera.
Oggi, invece, basta che qualcuno impagini la suddetta partitura con un qualche software, ne faccia un pdf e lo metta in rete per distribuirla gratuitamente a tutto il mondo.
Questa situazione, però, è senza uscita. Deriva direttamente dai cambiamenti imposti dalla tecnologia. Non è possibile proibire la diffusione di qualcosa che è libero da diritti e gli editori devono rassegnarsi e puntare su prodotti derivati. Per esempio, la stessa partitura, opportunamente commentata e rivista da un qualche esecutore, magari importante, ricade nel copyright. Ecco quindi che l’esistenza della rete può spingere alla creazione di prodotti migliori.

Il caso di IMSLP è di enorme importanza per l’esistenza stessa del concetto di public domain e in sua difesa si sono mosse quasi tutte le associazioni del settore. Forte di questo sostegno, Feldmalher, il gestore di IMSLP, ne ha annunciato la riapertura per Luglio 2008.

CDDB

Certo, il CDDB è una grande idea. Molti se ne servono senza nemmeno saperlo e probabilmente ignorano anche che cosa sia, ma la sua storia è esemplare per quanto riguarda il rapporto fra libera iniziativa, diffusione della conoscenza e major.

Dunque, la storia è questa.

Quando vennero stese le specifiche del CD audio, i progettisti originali, Philips e Sony, non si preoccuparono minimamente di includere nel disco alcun identificativo, come, per es., il titolo del disco, i nomi degli autori e i titoli dei brani.

Come spesso accade, non si resero conto immediatamente delle possibilità offerte dalla tecnologia digitale e un nuovo medium venne visto unicamente come un sostituto del vecchio che era semplicemente un supporto per l’audio, senza nessuna informazione correlata. Non pensarono che, essendo il nuovo formato digitale, sarebbe stato semplice includere un record che riportasse dei dati riguardanti il contenuto. Sul vinile non c’era, quindi perché metterlo sul CD?

Di conseguenza, fra i dati digitali del CD non c’è scritto niente che permetta di identificare titolo, artista e brani. Tutta l’informazione è demandata all’etichetta stampata sul disco.

Il problema è che la tecnologia corre e crea rapidamente nuove modalità di fruizione che spesso sono sganciate da un preciso supporto fisico (le major se ne stanno accorgendo soltanto adesso). Quasi subito ci si rese conto che, anche senza fare niente di illegale, Il contenuto di un CD legittimamente acquistato poteva facilmente essere trasferito su un hard disk per poterlo ascoltare in viaggio o al lavoro tramite un portatile e più tardi, con l’arrivo dell’MP3, con lettori portatili.

Il punto è che, una volta che il contenuto veniva separato dal supporto fisico, anche le informazioni stampate su quest’ultimo andavano perse. Le soluzioni furono due. Le major crearono le specifiche del CD-Text, un formato compatibile con il CD audio in cui esiste uno spazio in cui apporre i dati sul contenuto. Il CD-Text non è però utilizzato universalmente.

La seconda soluzione fu quella di creare su internet un archivio aperto che permettesse di identificare i CD. Venne così creato un database in cui ogni CD era identificato da un “disc-id”, cioè una stringa di lettere e numeri calcolata a partire dal contenuto, prendendo in considerazione la durata e la sequenza delle tracce. Per esempio, il disc-id del CD dei Cure che sto ascoltando è “910d120c”. Questo identificativo è difficilmente duplicabile perché è improbabile (anche se possibile) che esista un altro CD con tracce di uguale durata. Se poi si prendono in considerazione altri dati come il numero della tracce, la loro sequenza e la durata di ciascuna di esse nella sequenza, la ripetibilità dell’id diventa molto difficile.
A ogni id è associato un record di informazioni in formato testo che contiene titolo del disco, artista, titoli dei brani, anno di pubblicazione, etc. In tal modo i players possono collegarsi a internet e reperire le informazioni

Il CDDB (CD database) fu un’invenzione di Ti Kan e Steve Scherf.
Il codice sorgente venne realizzato sotto i regolamenti della GNU General Public License, permettendo così a tutti il libero accesso ad informazioni messe a disposizione da molte persone.
Più tardi, però, il progetto fu venduto e le condizioni di licenza vennero cambiate, prevedendo un costo iniziale per il pagamento dell’utilizzo dei server e del supporto necessario che ricadde sugli sviluppatori commerciali. Inoltre la licenza includeva anche alcune clausole che molti programmatori considerarono inaccettabili: nessun altro database simile poteva essere accessibile come integrazione al CDDB e il logo del database doveva essere esposto durante l’accesso.

Il cambio di licenza motivò il progetto freedb, che ha gli stessi fini, ma è intenzionato a rimanere gratis e libero.

Nel Marzo 2001, il CDDB, divenne proprietà della Gracenote che proibì l’accesso al proprio database a tutte le applicazioni sprovviste di licenza. Le licenze per il CDDB1 (la versione originale del CDDB) non furono più disponibili dal momento in cui venne richiesta ai programmatori la trasformazione in CDDB2 (una nuova versione incompatibile con CDDB1, e automaticamente anche con freedb). In pratica, se qualcuno voleva sviluppare un player che accedesse al CDDB, doveva pagare.

Dopo la commercializzazione del CDDB della Gracenote, molti media player passarono all’utilizzo di freedb, pur mantenendo ‘CDDB’ come termine generico nel riferirsi alla sua funzione di database.

Dall’ottobre 2006, MAGIX ha acquisito freedb che però continua a rimanere gratuito e libero. Ciò nonostante, è partito un altro progetto, chiamato MusicBrainz, che vuol essere molto di più di un semplice database di CD. Il suo obiettivo di creare una enciclopedia della musica a contenuto aperto. È un database online di informazioni riguardante la musica registrata, ma non è un database di musica. MusicBrainz raccoglie informazioni sugli artisti, le loro registrazioni, e le relazioni tra essi. Le voci su ogni lavoro musicale comprendono di base il titolo dell’album,i titoli delle tracce,e la durata di ogni traccia. Queste voci sono mantenute nel rispetto di una guida di stile comune. I lavori registrati possono anche comprendere informazioni sulla data e il paese di pubblicazione, l’ID del CD, l’impronta audio di ogni traccia e hanno un campo opzionale per l’inserimento di testo o annotazioni in allegato. A giugno 2006, MusicBrainz conteneva informazioni su 243,000 artisti, 399,000 album, e 4.8 milioni di tracce.

Tutta la storia è esemplare per quanto riguarda il modo con cui il sistema commerciale tratta l’informazione. Notate che qui non stiamo discutendo di copyright su dei contenuti (canzoni, scritti, etc), ma soltanto di informazioni sul contenuto di un CD, la cui raccolta, alla fine, è un servizio.

E sia il degrado!

Il Disegno di legge S1861, approvato mentre noi facevamo festa (?) nella notte fra il 21 e il 22 Dicembre 2007 ha fatto due cose: ha trasformato la SIAE in Ente pubblico economico e ci ha fatto graziosamente sapere che cosa può essere messo in rete e a quali condizioni.

L’articolo 70 della vecchia Legge 22 aprile 1941 n. 633 (e successive modifiche) sulla Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio viene modificato con l’aggiunta del comma 1-bis e diventa

      1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.

Questo comma è stato giustamente attaccato da tutte le parti. Non vedo, infatti, quale utilità possa avere la pubblicazione in rete di immagini e musica a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico. Se io mettessi in rete le dispense di musica contemporanea che ho scritto per i miei studenti (fine didattico), ma per farlo dovessi degradare i brani musicali ivi contenuti (che essendo di musica contemporanea sono ancora soggetti al diritto d’autore), le suddette dispense non servirebbero a nessuno. Così come non si capisce cosa se ne faccia uno scienziato di immagini a bassa risoluzione.

Tuttavia, questa legge ha una interessante conseguenza che, nell’indignazione generale, mi pare sia sfuggita.

Il suddetto art. 70 fa parte del Capo V delle legge 633 che elenca eccezioni e limitazioni al diritto d’autore. Questo comma, quindi, mi dà il diritto di mettere in rete qualsiasi brano musicale, anche attualmente soggetto al diritto d’autore, purché non a scopo di lucro (come in questo e molti altri siti e blog; non ci vendo niente e non c’è nemmeno la pubblicità), a fine didattico/scientifico (e qui basta scrivere una dotta analisi musicale del brano) purché sia sufficientemente degradato.

Quindi, supponendo che qui ci sia una bella analisi didattica di Solsbury Hill di Peter Gabriel e a questo punto potrei dire:

ascoltate Solsbury Hill di Peter Gabriel.

Allora, avete sentito? Vi piace? Come? Fa schifo? Non posso farci niente. È degradato, ai sensi della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma questo non è un problema, anzi, è una fantastica opportunità! D’ora in poi possiamo, anzi dobbiamo, per legge, degradare tutto. È fantastico!

Si dia il via a una colossale operazione artistica!

Sia il degrado!!

D’ora in poi non ci deve essere blog che non metta brani di Tiziano Ferro, Ramazzotti, De Gregori, Jovanotti, ma anche di Sting, di Madonna, di Bono fino a Schoenberg, Webern, Berio, Stockhausen, Nono, degradati al punto da essere opere nuove!
E questo pezzo che non so di chi sia? Non importa, nel dubbio, degrada!

E quando gli avvocati di Tiziano Ferro, Ramazzotti, Jovanotti, Sting, Bono, Madonna, etc. ci scriveranno dicendo: “La diffido dall’esporre al pubblico opere del mio assistito così orribilmente deturpate”, noi risponderemo “C…o vuoi!? È LA LEGGE ITALIANA CHE ME LO IMPONE!”

E infine, noi della musica contemporanea possiamo solo guadagnarci. Posso mettere in linea tutto Hymnem di Stockhausen. Voglio vedere quale funzionario SIAE oserà dire che non è degradato. Ma non li sentite, tutti questi disturbi radio che interrompono gli inni nazionali!

A proposito, i pittori non si salvano. Ecco quattro versioni di un poetico quadro di René Magritte secondo i dettami della Legge 633 (e successive modifiche).

Ma così sono opere nuove! E carine, per di più.
Wow! Sono così belli che quasi quasi li firmo e li deposito. Faranno parte di una serie che chiamerò “Downgraded Magritte”. Fantastico!
Come disse Dalì «Non comprate i quadri contemporanei, fateveli!»
Lunga vita alla Legge 633 (e successive modifiche).

Però c’è un problema. Se adesso sono quadri miei, per metterli in rete, li devo ulteriormente degradare. E così farò dei nuovi quadri che firmerò e depositerò. E che poi, per metterli in rete, dovrò nuovamente degradare. Aaaaagh!

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Spero che abbiate capito la provocazione. Ma questa legge è veramente paradossale e fuori da un qualsiasi buonsenso. Cosa hanno nella testa i nostri politici? Vermi?

UPDATE 20150621

Questo disegno di legge è stato approvato definitivamente dal Senato il 21.12.2007. Ma poi che fine ha fatto? È stato mai promulgato un regolamento che stabilisca i livelli di degrado?

RIAA peggiore

golden shit trophy

Nel poll di Consumerist (associazione di consumatori USA), la RIAA (associazione dei discografici USA) è stata eletta peggiore compagnia americana 2007 con il 53.8% dei voti, battendo nientemeno che Halliburton, la multinazionale texana in cui ha lavorato il vice-presidente Cheney sempre sull’orlo dello scandalo per i suoi profitti legati alla guerra in Iraq.
Di conseguenza, la RIAA vince il “lucky golden shit trophy”, premio più piccolo, ma molto più esplicito del tapiro d’oro (vedi figura).

Devi morire (1)

Dal Corriere del 7/2

Bill Gates risponde picche all’accorato appello di Gorbaciov.

Microsoft: no a clemenza per il prof pirata.

Freddo comunicato dalla casa di Redmond: non ci sono le condizioni per ritirare l’accusa a Ponosov, preside di una scuola di un villaggio degli Urali.

NEW YORK – Bill Gates, il fondatore di Microsoft, ha risposto picche. Nonostante l’accorato appello del premio Nobel per la pace Mikhail Gorbaciov, non ci sono le condizioni per ritirare le accuse di pirateria nei confronti di Aleksandr Ponosov, preside della scuola di un piccolo villaggio degli Urali. L’insegnante russo rischia di finire in un carcere della Siberia per avere utilizzato software della casa di Redmond senza regolare licenza nella scuola. Ponosov si difende dicendo di avere commesso un crimine senza saperlo: i computer gli sono stati venduti con una versione pirata del sistema operativo di Microsoft preinstallata. La società, in una nota dell’ufficio di relazioni esterne di Londra, loda la determinazione nel perseguire i reati di pirateria informatica e prende le distanze dall’inchiesta della magistratura russa, senza alcun cenno di clemenza.

Siamo ostaggi

Questo post prende le mosse da un fatto.
The Pirate Bay annuncia: “Era solo una questione di tempo, e infatti eccoli qui! Ieri l’utente Lyzz ha fatto la storia pubblicando il primo film HD DVD” (fonte Punto Informatico).
Circa un mese fa, un programmatore che si fa chiamare Muslix64 ha infatti annunciato di essere riuscito ad aggirare l’Advanced Access Content System (AACS), il nuovo sistema di protezione adottato dai formati DVD di nuova generazione Blu-ray e HD DVD.
Ora troviamo i primi HD DVD (file da oltre 20 Gb) su Bit Torrent. Il tutto fa presagire l’ennesima guerra major contro utenti, ma il blog Bored With Everything fa questa considerazione (prontamente tradotta da Punto Informatico): “Cos’è che traina la tecnologia più di qualsiasi altra cosa? La pirateria. Con la possibilità di visualizzare i file con molti diversi software DVD, questo è un grosso balzo per HD DVD, anche se loro (i produttori di tecnologia, ndr.) non lo dichiareranno pubblicamente. Il prossimo passo saranno masterizzatori HD DVD a buon prezzo, e così la guerra dei formati avrà fine”.

E così arriviamo al punto di cui personalmente sono convinto da anni. Tutto questo dibattito copyright/copyleft è importante, ma in realtà la guerra che si sta combattendo oggi è un’altra in cui noi non siamo protagonisti, ma ostaggi. È una guerra industriale e commerciale in cui noi siamo il territorio da conquistare.
Prendiamo, per esempio, la famosa faccenda del file sharing. Sembra essere una questione fra le major e gli utenti, ma non è così.
In realtà, da una parte ci sono le major che vendono musica e film, ma dall’altra ci sono le telco (compagnie di telecomunicazione) che vendono connessioni internet.

  • E secondo voi, quante connessioni via fibra si venderebbero a circa € 20 al mese se non ci fosse qualcosa da scaricare gratis?
  • Quanti comprerebbero connessioni via fibra solo per leggere la posta e surfare un po’?
  • E quanti la comprerebbero per poi spendere altri soldi per comprare contenuti e oggetti vari?
  • E quanti lettori DVD si sarebbero venduti per metterci dentro solo materiale regolarmente acquistato o noleggiato?
  • E quanti iPod?
  • Sapete che una ricerca ha mostrato che solo il 17% della musica caricata su iPod è stata regolarmente acquistata? (fonte BBC)
  • E ancora, chi avrebbe in casa un masterizzatore solo per fare il backup dei dati?

Il tutto assomiglia molto alla guerra fra major e produttori di registratori di un po’ di anni or sono.
E poi, considerando che il porno costituisce di gran lunga la maggior parte di ciò che viene scambiato in rete, vi siete mai chiesti perché i produttori di porno non protestino mai per le copie? Solo perché il loro prodotto è moralmente discutibile? (ma lo è?). Non scherziamo. Il fatto è che loro sanno che più gira, più si vende.
La guerra vera, quindi, è fra i produttori di contenuti da una parte e i costruttori di hardware e le telco dall’altra. Noi siamo ostaggi.

Micronazioni

sealand
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.

Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.

White Christmas

illegal artA good way to celebrate Christmas.
This track by Corporal Blossom is a mix of illegal samples from many White Christmas versions.
Of course it is published by Illegal Art but now it’s also on SoundCloud

Ecco un buon modo per festeggiare il natale.
Questo pezzo di Corporal Blossom è formato da campionamenti tratti da molte versioni di White Christmas montati insieme, su nessuno dei quali sono stati pagati i diritti.
Ovviamente, è distribuito da Illegal Art ma adesso è anche su SoundCloud

Codev2

 

Il nuovo libro di Lawrence Lessig, inventore delle licenze Creative Commons e autore di Cultura Libera di cui abbiamo già parlato, si intitola Codev2 (Code version 2.0) ed è appena uscito. Si tratta di una revisione che l’autore definisce come una traduzione, del suo famoso testo del 1999 Code and Other Laws of Cyberspace.
Perte del nuovo testo è stato scritto in forma collaborativa in un Wiki. Il libro è scaricabile in pdf (in inglese) ma si può anche acquistare già stampato sul suo sito.