Music for 18 musicians

Una delle non molte composizioni di Steve Reich e di tutta la minimal music che mi piacciono veramente.

Per me, il problema del minimalismo è che si basa su una idea che non ha mai avuto un vero sviluppo. In altre parole, questa musica si basa essenzialmente sulla sovrapposizione di pattern che, nel tempo, possono

  1. cambiare melodicamente, per esempio sostituendo via via le note (Glass) o invertendo note e pause (Reich)
  2. cambiare ritmicamente, introducendo, ogni tanto, una mutazione nelle figurazioni
  3. cambiare timbricamente,  sostituendo gradualmente i gruppi strumentali che eseguono i vari pattern
  4. sfasarsi temporalmente accelerando o rallentando il metro (a volte usando metronomi diversi fin dall’inizio)

Non mi sembra ci siano altri espedienti e a mio avviso, il tutto diventa estremamente prevedibile. Ciò non toglie che, a volte, il risultato possa essere affascinante e coinvolgente, ma non si può continuare per una vita così.

 

Strumenti musicali dai rifiuti

…ma non per sfizio o per una qualche sfida artistica, ma proprio perché questi non possono fare altro.

E non si tratta di strumenti etnici, ma di strumenti della tradizione occidentale che quindi si misurano con il suono di quelli costruiti da fior di liutai. A sentire il violoncello che ha come cassa armonica un bidone, il risultato mi sembra fin troppo buono.

Il video è visibile in qualità migliore qui su Vimeo e qui su You Tube.

RIP Elliott Carter

Quando un compositore ci lascia a 103 anni continuando a lavorare fino a pochi mesi dalla morte (la sua ultima composizione è datata 2012), dopo aver composto per più di 80 anni (il primo brano comunemente ricordato, un lieder, è del 1928 e sicuramente non è il primo) non è il caso di essere tristi. Sono sicuro che quasi tutti ci metteremmo la firma.

Elliott Carter (1908 – 2012) era l’ultimo dei grandi C della musica americana del 900, gli altri essendo Aaron Copland (1900 – 1990), Henry Cowell (1897 – 1965) e John Cage (1912 – 1992), contemporanei e tutti molto importanti nel panorama della musica del ‘900.

Carter, nella sua lunga carriera, è stato capace di rinnovarsi. Dopo una fase iniziale neoclassica, influenzata da Stravinsky, Harris, Copland, e Hindemith, si è dato all’atonalità negli anni ’50, pur senza mai accogliere il serialismo. Ha invece sviluppato in modo indipendente una tecnica compositiva basata sulla catalogazione di tutti i possibili gruppi di altezze, ovvero degli accordi di 3 note, di 4, di 5, di 6 note, etc, basando, poi, le proprie composizioni su questi insiemi. Per esempio, il Concerto per Piano del 1964-65 deriva le proprie altezze dall’insieme degli accordi di 3 note, il Quartetto del 1971 è costruito su accordi di 4 note, la Sinfonia di Tre Orchestre, che qui ascoltiamo, si basa su accordi di 6 note e così via. Tipicamente, ad ogni sezione strumentale viene assegnato un insieme di altezze in una stratificazione del materiale.

In Carter, il concetto di stratificazione informa anche la gestione del ritmo: ogni voce strumentale ha un proprio insieme di tempi realizzando, così, una poliritmia strutturale.

Il titolo di questo brano del 1976, Sinfonia di Tre Orchestre e non per Tre Orchestre, deriva proprio dal fatto che, sebbene il brano sia diviso in 4 movimenti di carattere diverso, come è tradizione, ciascun movimento è formato da tre movimenti parzialmente sovrapposti, uno per ciascuna orchestra.

Inoltre, la composizione strumentale delle tre orchestre è fortemente differenziata: in pratica si tratta di una sola orchestra divisa in tre gruppi. La prima è formata da ottoni, archi e timpani; la seconda da clarinetti, piano, vibrafono, chimes, marimba, primi violini, contrabbassi e violoncelli; la terza da flauti, oboi, fagotti, corni, secondi violini, viole, contrabbassi e percussioni non intonate.

Boulez dirige la New York Philarmonic.

Solitude-Sérénade

Claus-Steffen Mahnkopf (1962), compositore tedesco, è generalmente associato con il movimento della Nuova Complessità, il cui esponente principale è Brian Ferneyhough, con cui Mahnkopf ha studiato.

Le sue opere sono fortemente legate al linguaggio dell’avanguardia, tanto da teorizzare la nascita di una seconda scuola di Darmstadt, ma la sua musica affonda le proprie radici nella tradizione germanica, fino a Berg e Beethoven.

Solitude-Sérénade, del 1997, per piccolo oboe e Ensemble (2 Vla., Cb., Gtar., Hp., Perc), è la rielaborazione di un precedente brano solistico: Solitude-Nocturne del 1993 (Solitude si riferisce al Castello Solitude vicino a Stoccarda).

Metropolis

Michael Daugherty (n. 28/04/1954) è probabilmente il più interessante fra quei compositori che, memori della lezione post-moderna, includono nelle proprie composizioni diversi stili con citazioni tratte dal pop, dal jazz, come dai classici sia dell’800 che del primo ‘900.

Mi rendo conto che, detta così, fa pensare a una zuppa infame, ma invece Daugherty è un compositore molto preparato, nonché fine orchestratore e anche alle mie orecchie, che pure non amano più di tanto simili commistioni, riesce a risultare, tutto sommato, piacevole.

In realtà Daugherty è attualmente uno dei più eseguiti, commissionati e premiati compositori americani, sicuramente anche perché i suoi brani sono ascoltabili anche da un pubblico più vasto della ristretta cerchia amante della sperimentazione.

Sebbene, a mio avviso, la sua produzione migliore non sia quella orchestrale, qui vi propongo un movimento di Metropolis (1988-93), opera sinfonica in 5 movimenti (eseguibili anche separatamente), dove il riferimento culturale del titolo non è Fritz Lang, ma Superman. Metropolis è, infatti, la città in cui era ambientato il famoso fumetto.

I titoli dei movimenti sono

  1. Lex (1991)
  2. Krypton (1993)
  3. MXYZPTLK (1988)
  4. Oh, Lois (1989)
  5. Red Cape Tango (1993)

L’ultima incisione, diretta da Giancarlo Guerrero con la Nashville Symphony Orchestra è stata fra le nomination in sei categorie ai Grammy Awards del 2011 e ha portato a casa i premi per Best Orchestral Performance, Best Engineered Album e Best Classical Contemporary Composition.

Proprio da questa incisione e grazie a You tube, vi propongo il quinto movimento. Occhio (orecchio) alle citazioni. Una può essere tratta perfino dai Deep Purple (anche se quei tre accordi possono essere qualsiasi cosa, ma sono così simili anche nel tempo…)

Strumentazione: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto; 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba; timpani, 4 percussioni; piano; archi.

Tutta Metropolis è ascoltabile su You Tube.

La fine di Radio Music?

Il 2012 è il centenario della nascita di John Cage e il ventennio dalla morte (Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992). Ovviamente le celebrazioni sono molte. Presumibilmente, quasi tutta la sua opera sarà eseguita quest’anno e qualcuno si accorge anche di qualche problema.

Peter Urpeth, nel suo blog silentmoviemusic, ha fatto notare che, probabilmente, uno dei più famosi e caratteristici brani di Cage, Radio Music, composto nel 1956, diventerà ineseguibile a partire dal 2017 e forse la stessa fine farà Imaginary Landscape 4 (e qualche altro brano basato sulla radio). Questi pezzi, infatti, sono scritti per un certo numero di esecutori (da 1 a 8 il primo, 12 il secondo), ognuno munito di una radio. La partitura di Radio Music riporta una lista di frequenze su cui gli apparecchi devono essere sintonizzati nel corso del brano. La lista è indipendente dal luogo e dall’orario dell’esecuzione, per cui ne esce un insieme indeterminato di suoni. Occasionalmente, su qualche frequenza non c’è alcuna trasmissione e quindi si sente il silenzio della radio, fatto di rumore di statica con qualche disturbo casuale.

Il fatto che mette in pericolo Radio Music è lo spegnimento del segnale analogico previsto per il 2017, segnando il passaggio definitivo alle trasmissioni digitali. Le conseguenze sono due:

  1. la statica del digitale è definitivamente silenziosa e anche i disturbi sono molto rari, se non nulli, ma, ancora peggio,
  2. nella radio digitale non ci sono frequenze, ma solo canali, quindi è impossibile sintonizzarsi su una data frequenza e se è vero che ogni transponder lavora su una sua frequenza, quest’ultima non ha niente a che fare con le vecchie frequenze analogiche e ogni transponder corrisponde a un blocco di canali, non a una singola trasmissione.

La partitura, dunque, appare obsoleta rispetto a un recente salto tecnologico. Non è la prima volta che questo accade nella storia della musica. Penso, per esempio, al passaggio dall’arco barocco a quello moderno, o dal clavicembalo al pianoforte, tuttavia, in questi casi, la sostanza del discorso musicale, cioè la successione di altezze, rimaneva e consentiva una nuova interpretazione.

Ci sono, poi, altri casi legati a un salto tecnologico. Nella musica elettronica il passaggio dall’analogico al digitale ha messo in crisi varie partiture. Tuttavia con il digitale si può emulare il 99% di quello che si faceva in analogico, sia pure con qualche differenza, ma che, in fondo, non è più grande di quella provocata dall’abbandono del clavicembalo in favore del pianoforte.

In questo caso, invece, è proprio la sostanza del brano a cambiare e se il suo significato, che consiste nella sovrapposizione casuale di varie sorgenti radiofoniche, può essere riprodotto, vengono a mancare sia una serie di rumori (statica, disturbi, ricerca della sintonia), che quella commistione di trasmissioni normali e di servizio (sistemi di trasporto, emergenze, CB) che un tempo lavoravano con lo stesso medium, ma che ora sono definitivamente separati.

Non credo, comunque, che Cage si sarebbe preoccupato più di tanto della fine di Radio Music, anzi l’avrebbe accolta come un altro passo verso il silenzio, ma il silenzio digitale è troppo perfetto…

Nell’immagine David Tudor e John Cage (click per ingrandire), trovata via johncage.org. Vi riporto anche il bel sito JOHN CAGE unbound: a living archive, creato dalla New York Public Library for the Performing Arts, segnalato da Franz.

Tudor & Cage

Time stretch (on Gesualdo)

Nonostante il nome, Bruno Mantovani è un giovane compositore francese (nato nel ’74). Qui vi propongo Time stretch (on Gesualdo), una composizione per orchestra del 2006.

Nota del compositore:

Time stretch (on Gesualdo) ha come punto di partenza uno dei madrigali del 5° libro del compositore italiano, “S’io non miro non moro”.
Ho estratto da questo breve brano per 5 voci un quadro armonico di 130 accordi che ho rielaborato eliminando tutti gli elementi non significativi per l’ascolto (principalmente ottave) e poi ho “stirato” questa griglia sulla durata totale del pezzo per creare un percorso armonico a partire dal quale ho composto.
Se le tensioni dovute al linguaggio cromatico di Gesualdo sono percettibili in questo brano, non si tratta assolutamente di un “pastiche”, di una citazione, ma di un’opera originale dove il riferimento è presente solo in secondo piano.
Indipendentemente dalla struttura armonica, Time stretch rimanda e delle problematiche drammaturgiche sempre presenti in me: la ricerca di una energia costante, i contrasti radicali, le transizioni continue fra episodi conflittuali, ma il discorso è unificato dall’onnipresenza della periodicità ritmica, delle pulsazioni che creano un senso di ordine all’interno di una musica rapsodica.

 

Schèmes

Un lungo documentario (45′) sulla genesi del concerto per violino e orchestra di Jean Claude Risset denominato Schèmes ed eseguito in prima a Tokyo nel 2007 (Tokyo Symphonic Orchestra, Kazyoshi Akiyama direttore, Mari Kimura violino).