Il paradosso di Feldman

feldman…consiste nel fatto che un uomo corpulento, gioviale e ciarliero si metta a scrivere della musica ai limiti dell’udibile. In un secolo rumoroso come il nostro, Morton Feldman ha scelto di essere silenzioso e soffice come la neve.

Feldman iniziò a comporre già negli anni Quaranta, sebbene i suoi lavori giovanili (spesso marcati da una certa influenza di Alexander Scriabin) siano stilisticamente molto differenti da quello che avrebbe composto più tardi, e che lo avrebbe reso universalmente noto per il suo linguaggio affatto personale, differente dalla maggior parte dei compositori a lui coevi.

Fu dopo il suo incontro con John Cage che Feldman iniziò a scrivere musica che non era correlata con le tecniche del passato, né con quelle in voga in quegli stessi anni (in particolare modo lo strutturalismo), utilizzando sistemi di notazione musicale non convenzionali (spesso basati su “griglie” o altri elementi grafici), delegando all’interprete (o al caso) la scelta di determinati parametri (talvolta Feldman determinava in partitura soltanto il timbro ed il registro, lasciando libera la scelta delle altezze all’esecutore, altre volte invece semplicemente specificando il numero di note che debbono essere suonate in determinati momenti, senza specificare quali).

In quell’epoca segnata dal suo interesse nei confronti dell’alea, Feldman applicò anche elementi derivati dal calcolo delle probabilità alle sue composizioni, traendo in questo senso ispirazione da certe opere di Cage come Music of Changes.

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, e poi definitivamente dal 1967, per necessità di maggiore precisione nel controllo della sua musica, e per evitare che la particolare notazione venisse travisata come un invito all’improvvisazione, ritornò alla notazione musicale tradizionale. Per il suo frequente utilizzo di ripetizioni, fu spesso ritenuto un precursore del minimalismo.

Trovò spesso ispirazione nel lavoro degli amici pittori legati all’espressionismo astratto, tanto che negli anni Settanta compose numerosi brani (spesso con durate attorno ai venti minuti) sotto questo specifico influsso (tra cui Rothko Chapel del 1971, brano scritto per l’omonimo edificio che ospita opere di Mark Rothko, che potete ascoltare nel video. I dipinti sono, appunto, opera di Mark Rothko, che si vede anche in persona alla fine del video. L’organico è soprano, contralto, coro, viola, percussioni e celesta).

Nel 1977 compose la sua unica opera, Neither, su testo di Samuel Beckett.

A partire dalla fine degli anni Settanta iniziò a produrre lavori molto lunghi (raramente più brevi di mezz’ora, ed anzi spesso molto più lunghi), generalmente composti da un movimento unico, dove la concezione della durata viene dilatata fin quasi a voler annullare la stessa percezione del tempo; questi lavori comprendono Violin and String quartet (1985, due ore circa), For Philip Guston (1984, quattro ore circa), fino all’estremo String quartet II del 1983, la cui durata supera abbondantemente le cinque ore (senza nessuna pausa). La sua prima esecuzione integrale fu data nel 1999 presso la Cooper Union di New York dal Flux Quartet, il quale ha pure registrato lo stesso brano nel 2003 (per una durata totale di 6 ore e 7 minuti). Com’è tipico della sua tarda produzione, questo brano non presenta nessun cambiamento d’umore, rimanendo per la sua quasi totalità su dinamiche estremamente ridotte (piano o pianissimo); Feldman del resto negli ultimi anni ha dichiarato che i suoni di bassa intensità (quiet sounds) erano gli unici che lo interessavano.
[in parte da wikipedia]

Morton Feldman – Neither, Opera in one act (1977)
text by Samuel Beckett
Sarah Aristidou, soprano
ORF Radio-Symphonieorchester Wien
Roland Kluttig, conductor

Spazi Inabitabili

françois bayle

François Bayle, francese, nato nel Madagascar, allievo e poi assistente di Schaeffer (dal 58 al 62) è uno dei principali esponenti della musica concreta di cui porta avanti la tradizione anche oggi. Ha diretto l’INA/GRM (Marseille) dal 1975 al 1997. Lasciata la direzione dell’INA, ha fondato un proprio studio chiamato Magison in cui lavora attualmente.

Fra i fondatori del movimento acusmatico (musica in cui scompaiono sia l’oggetto generatore del suono che l’interprete). Acusmatiche erano le lezioni di Pitagora, che i suoi discepoli ascoltavano celato da una tenda, senza vederlo restituendo “all’udito la totale responsabilità di una percezione che normalmente si appoggia ad altre testimonianze sensibili”, come scriveva Pierre Schaffer nel suo “Traité des objets musicaux”. L’acusmatica isola il suono dal contesto visivo e lo propone come fenomeno di per se stesso.

Here you can listen to the Espaces inhabitables, d’après Bataille et Jules Vernes (1967)

Sculture Sonore

sound sculpturesContinuo’s weblog recupera una bella incisione Wergo del 1985, ormai fuori catalogo, dedicata alle sculture sonore.

I costruttori degli oggetti sonanti rappresentati nel disco appartengono tutti all’area austro-tedesca, selezionati dal critico Klaus Hinrich Stahmer. Vi si trovano compositori come Anestis Logothetis, di origini greco/bulgare, naturalizzato austriaco, già noto per le sue partiture grafiche degli anni ’70, o costruttori di strumenti come Hans-Karsten Raecke, fino a Herbert Försch-Tenge, con un bel brano generato suonando le proprie sculture.

I singoli brani si possono ascoltare su UbuWeb, l’opera completa su Continuo’s weblog.

Alcuni estratti:

 

Monochord

Monochord è una parte di Zeitgeist di George Crumb, una suite per due pianoforti amplificati composta nel 1988, quindi 10 anni dopo l’ultimo libro del Makrokosmos da cui eredita la ricerca sonora fatta di suoni delicati prodotti manipolando direttamente le corde del pianoforte e ascoltabili grazie all’amplificazione.

Registrazione effettuata a Lecce nel 2007. Esecutori Andrea Rebaudengo, Carlo Palese.

Vortex Temporum

La grande partitura di Grisey

Note dello stesso Grisey

The title Vortex Temporum indicates the beginning of the system of rotation, repeated arpeggios and their metamorphosis in various transient passages. The problem here is to enter the depths of my recent research on the use of the same material at different times. The three basic forms are the original event – a sinusoidal wave – and two continuous events, an attack with or without resonance as well as a sound held with or without crescendo. There are three various spectra: harmonics, ‘stretched disharmonics’ and ‘compressed disharmonics’; three different tempos: basic, more or less expanded, and more or less contracted. These are the archetypes that guide Vortex Temporum.

In addition to the initial introductory vibration formula taken directly from Daphnis et Chloe, ‘Vortex’ suggested to me harmonic writings focused around the four tones of the diminished seventh chord, a rotational chord par excellence. Treating each of these tones as leading ones, we obtain the possibility of multiple modulations. Of course, we aren’t dealing here with the tonal system but rather with considerations of what might still be relevant and innovative in this system. The chord about which I’m speaking is thus a common part of the three previously written spectra and determines other displacements.

The piano used in the work is tuned a quarter tone lower, which changes the sound of the instrument, at the same time facilitating the integration within microintervals, which are essential in this work. In Vortex Temporum the three archetypes described above revolve around one fragment and the other in temporary intervals, differing among themselves as among people (the tempo of speech and breathing), whales (spectral time of sleeping rhythms), and birds or insects (extremely contracted time, whose contours become obliterated). Thanks to this imagined microscope, the notes become sound, a chord becomes a spectral complex, and rhythm transforms into a wave of unexpected duration.

The three portions of the first part, dedicated to Gérard Zinsstag, develop three aspects of the original wave, well known to acoustic engineers: the sinusoidal wave (vibration formula); the square wave (dotted rhythm) and the jagged wave (piano solo). They develop the tempo, which can be defined as ‘joyful’, the tempo of articulation, rhythm of human breathing. The isolated piano section reaches the boundaries of virtuosity.

The second part, dedicated to Salvatore Sciarrino, approaches the same material in expanded time. Initial Gestalt appears here only once, spreading throughout the entire part. I tried here to create the feeling of the confused speed inside the slow tempo.

Part three, dedicated to Helmut Lachenmann, introduces a long process allowing the creation of interpolation, which appears between the various sequences. Continuity gradually establishes, and expands, finally becoming a kind of widely conceived projection of the events from the first part. The spectra originally developed in the harmonic discourse of part two expand here to an extent degree, enabling the listener to detect the structure and entrance into other time dimension.

Short interludes are planned between the parts of Vortex Temporum. A few breaths, noises and discrete noises colour the awkward silence, and even the discomfort of the musicians and listeners, who hear their own breathing between he parts. Treating waiting time this way, linking the time of the audience with the time of the work, refers to some of my earlier works, for example Dérives, Partiels or Jour, Contrejour. Here, of course, these tiny noises are allied with the morphology of Vortex Temporum.

Overthrowing the material in favor of pure endurance is a dream, which I have been carrying out for many years. Vortex Temporum is perhaps only a history of the arpeggio in time and space – from the point of view of our ears.

Vortex Temporum was commissioned by the French Ministry of Culture, Ministerium für Kunst Baden-Würtemberg and the Westdeutsche Rundfunk Köln, at the special request of ‘Ensemble Recherche’.

-Gérard Grisey

De Natura Sonoris

Una delle composizioni più materiche del polacco Krzysztof Penderecki (1933) questa De Natura Sonoris per orchestra che esiste in due versioni, la prima del 1966 e la seconda del 1971. In realtà si tratta di due composizioni diverse, accomunate dalla medesima ispirazione legata alla varietà degli aspetti della natura e al loro evolvere.

Come già nella famosa Threnody, del 1960, per 52 archi (probabilmente il suo brano più noto), Penderecki si adopera per creare nuove sonorità strumentali, soprattutto con gli archi e fa un uso esteso di alcune delle sue tecniche compositive favorite, come quella che si basa sulla libera combinazione di piccole frasi melodiche assegnate dapprima a un ristretto gruppo strumentale, per estendersi, poi, gradualmente a tutta l’orchestra.
Nel secondo brano, inoltre, il compositore utilizza vari effetti percussivi, come quello ottenuto da una sbarra di ferro colpita con un martello e con una sega.

È una musica semplice sotto l’aspetto formale, basata più sull’effetto fonico che su una rigorosa struttura, ma rimane comunque affascinante.

Tierkreis

Tierkreis (1974) è una composizione unica nell’universo di Stockhausen perché, da un lato fa un passo deciso verso una semplicità fino a quel momento sconosciuta nella sua produzione, mentre dall’altro è collegata allo Stockhausen più visionario e radicale, quello che si diceva in contatto diretto con il cosmo, arrivando fino a sostenere con decisione il proprio essere alieno.

In origine si trattava di un ciclo di 12 melodie, con uno scarno sviluppo armonico, collegate ai segni zodiacali – il titolo si traduce, appunto, con Zodiaco – destinate ad incarnarsi in forma di carillon inclusi in una pièce teatrale chiamata Musik im Bauch e così uscirono all’epoca su LP DGG.

Il loro ruolo, però, non era destinato ad esaurirsi qui: esse acquistarono in breve una dignità di opera autonoma, da eseguirsi con un qualsiasi strumento melodico, a tastiera o combinazione dei due. La partitura prescrive che l’esecuzione inizi dal segno zodiacale di quel momento per proseguire seguendo l’ordine dello zodiaco fino a tornare al segno di partenza, con il vincolo che ogni melodia deve essere eseguita almeno da tre a quattro volte con variazioni e improvvisazioni.

Di conseguenza, ne furono create molte versioni, con formazioni anche diverse da quella prescritta, alcune per iniziativa di Stockhausen, ma altre sviluppate da vari gruppi di esecutori che spesso si prendono libertà che travalicano le istruzioni del compositore.

In questo modo Tierkreis ha assunto il carattere di opera semiaperta, passibile sia di interpretazione rigorosa, che utilizzabile come materiale da elaborare, al punto che le molte versioni hanno durate ben diverse, che vanno dai 12 ai 63 minuti. L’opera, comunque, mantiene sempre la sua impronta stockhauseniana anche perché le singole melodie pervadono la successiva produzione del compositore.

Stockhausen, infatti, le ha impiegate in altri lavori di ampia portata come l’intera sezione centrale di Sirius, un’opera per soprano, basso, tromba, clarinetto basso e otto canali di musica elettronica del 1975-77, in cui quattro messaggeri stellari giungono da Sirio per portare musica e pace agli uomini. In modo analogo, frammenti delle melodie di Tierkreis si ritrovano anche nella colossale Licht, una serie di opere, ciascuna dedicata a un giorno della settimana.

C’è da dire, in effetti, che la struttura stessa delle melodie è intimamente collegata al pensiero musicale di Stockhausen. Tanto per cominciare, ognuna di esse è centrata intorno ad una nota diversa, perché, se 12 è il numero dei segni zodiacali, 12 è anche il numero delle note nell’ottava. Così, la serie inizia dal LA per il Leone (il segno di Stockhausen), per passare al LA#/SIb per la Vergine, SI per la Bilancia, DO per lo Scorpione, eccetera.

Inoltre la loro velocità metronomica è collegata alla nota di base rovesciando la frequenza di quest’ultima in durata, secondo l’idea dell’unità tempo/altezza espressa da Karlheinz nel suo famoso saggio del 1957 “…Wie die Zeit vergeht …” (…come scorre il tempo…). In questo scritto teoretico, Stockhausen considera il fatto, ben noto alla fisica, che, essendo l’altezza data da una ripetizione ciclica dell’onda sonora, ad ogni nota può essere associata una durata temporale pari all’inverso della sua frequenza. Di conseguenza, ogni fenomeno ciclico può essere visto come una nota, pur se troppo bassa per essere udibile.

Così Tierkreis diventa una nuova “Musica delle Sfere”, riproponendo un’unità che va dall’universo fino alla nota emessa da uno strumento musicale, vista come atto creatore in quanto metafora della vibrazione primordiale che pervade il cosmo.

Qui in 3 versioni

  • per pianoforte, flauto, sassofono
  • Dynamis Ensemble: Birgit Nolte, flutes – Isabella Fabbri, saxophones – Candida Felici, piano

  • per flauto e clarinetto
  • duo 1010: Stephanie Bell, flutes – Liam Hockley, clarinets

  • per pianoforte e elettronica
  • Massimiliano Viel, piano and electronic

Piano Etudes

Piano Ètudes by Jason Freeman è un altro esempio di opera aperta via web in cui l’utente crea un brano seguendo un percorso fatto di frammenti. Andate qui.

Notate:

  • dopo aver scelto uno studio, cliccando “settings” potete vedere le note o il piano roll
  • cliccando “sharing” potete salvare la vostra creazione
  • potete apporre il vostro nome come autore accanto a quello di Jason Freeman cliccando “Anonymous”

Note dell’autore:

Inspired by the tradition of open-form musical scores, I composed each of these four piano etudes as a collection of short musical fragments with links to connect them. In performance, the pianist must use those links to jump from fragment to fragment, creating her own unique version of the composition.

The pianist, though, should not have all the fun. So I also developed this web site, where you can create your own version of each etude, download it as an audio file or a printable score, and share it with others. In concert, pianists may make up their own version of each etude, or they may select a version created by a web visitor.

I wrote Piano Etudes for Jenny Lin; our collaboration was supported, in part, with a Special Award from the Yvar Mikhashoff Pianist/Composer Commissioning Project. Special thanks to Turbulence for hosting this web site and including it in their spotlight series and to the American Composers Forum’s Encore Program for supporting several live performances of this work. I developed the web site in collaboration with Akito Van Troyer.

Neptune

manouryPhilippe Manoury è attualmente uno dei più importanti ricercatori e compositori francesi. Attivo da anni nell’area della musica elettroacustica, avvalendosi della collaborazione di Miller Puckette, ha scritto alcuni dei primi lavori per strumento e elaborazione effettuata totalmente in tempo reale (Jupiter, 1987 e Pluton, 1988, entrambi inseriti nel ciclo Sonus ex Machina).

Qui vi presentiamo due estratti di Neptune (op. 21, 1991) per tre percussionisti ed elettronica. I percussionisti suonano 2 vibrafoni MIDI, tam-tam e marimba e sono elaborati e contrappuntati in tempo reale.