Ans Meer

Avrete sicuramente notato che gli ultimi post sono dedicati al Giappone. Fare una piccola rassegna della musica contemporanea giapponese è un modo per essere vicino a questo paese, in cui sono stato e che ho amato, e alla sua gente.

Hosokawa Toshio è uno dei più interessanti compositori contemporanei giapponesi. Nato nel 1955 a Hiroshima, ha studiato in Germania, per cui la sua musica ha assunto delle sonorità marcatamente europee, ma, nel contempo, non ha dimenticato la tradizione del suo paese, come dimostrano i suoi brani derivati dal Gagaku di cui abbiamo già parlato.

Qui ascoltiamo Ans Meer del 1999, un concerto per piano e orchestra, che appartiene al versante più “occidentale” della sua produzione.

Takemitsu Soundtrack Documentary

Su You Tube c’è un bel documentario sulla musica da film scritta da Toru Takemitsu, una parte molto importante e significativa della sua produzione.

Il documentario è sottotitolato in inglese e include varie interviste con il compositore e con alcuni dei famosi registi per cui ha lavorato, oltre a numerosi estratti musicali.

Questa è la prima parte. I link alle altre sono riportati sotto. Purtroppo la parte 2 è stata bloccata dal solito idiota “per motivi di copyright”, ma tutte le altre sono visibili.

Telemusik

In Telemusik, composto e realizzato in Giappone su commissione della NHK, Stockhausen intende integrare degli elementi musicali ideati da diverse civiltà, in qualsiasi epoca storica e in qualunque luogo.

Detta così, si potrebbe pensare che quest’opera sia una specie di collage, ma invece il risultato sonoro è lontanissimo da una forma del genere. Ascoltando Telemusik, si sentono, invece, degli eventi sonori apparentemente elettronici, difficilmente riconducibili alla musica tradizionale.
Il fatto è che qui Stockhausen utilizza largamente il modulatore ad anello (ring modulator), un sistema in grado di modificare radicalmente il timbro, ma anche la melodia e il ritmo di un evento sonoro.

Il profano può considerarlo come un “distorsore” estremamente controllabile, con cui è possibile intervenire sui vari parametri del suono in base alle onde con cui l’evento sonoro in input viene modulato. Stockhausen utilizza, per esempio, la modulazione ritmica in cui una musica assume in parte gli accenti e il ritmo di un’altra, oppure la modulazione armonica in cui un suono elettronico si muove interagendo con le altezze di una musica registrata, o ancora la modulazione in ampiezza dove il volume di una musica cambia seguendo il profilo di ampiezza di un’altra.

Il risultato è un affresco elettronico derivato dalle musiche di tutto il mondo, che, però, non risultano sensibili come tali, ma danno vita a suoni spesso permeati dalla qualità timbrica tipica delle trasmissioni in onde corte (la radio, in effetti, utilizza un processo analogo).

Aldo Clementi, 1925 – 2011

Il compositore Aldo Clementi, ultimo rappresentante della scuola italiana storica insieme a personaggi come Maderna, Berio, Nono, Donatoni, è deceduto il 3 Marzo all’età di 86 anni.

Superando il serialismo e lo strutturalismo, Clementi ha elaborato una metodologia compositiva basata su brevi frammenti, spesso diatonici, a volte storici, la cui pregnanza melodica, però, viene annullata da una stratificazione massiccia in forma canonica, con trasposizioni e variazioni metronomiche, fino a formare un flusso sonoro continuo.

Qui potete ascoltare la Fantasia su roBErto FABbriCiAni (1980/81), per flauto e nastro magnetico, basata su un materiale ridotto, una serie composta dalle note tratte dal nome dell’esecutore: SIb, MI, FA, LA, SIb, DO, LA.

In questo brano, uno dei due lavori di Clementi a cui ho avuto il piacere di collaborare realizzando la parte elettronica, il flauto, suonato dal vivo, emerge, con discrezione, da un magma sonoro creato dalla sovrapposizione di quattro frammenti registrati dal flauto e sovrapposti più volte, via computer, con trasposizioni anche microtonali.

  • Aldo Clementi – Fantasia su roBErto FABbriCiAni (1980/81), per flauto e nastro magnetico.
    Roberto Fabbriciani, flauto
    Nastro realizzato da Mauro Graziani presso il CSC Un. di Padova.

Beam Drop

Beam Drop (1984/2008) is a large-scale sculpture on the top of a hill, made of 71 structural beams dropped by crane from a height of 45 meters into a pit of wet cement over a 12-hour period. The random pattern of the fallen beams formed the piece, making this work an interpretation of the gestural aspects of Abstract Expressionism and a simultaneous deconstruction of modern sculpture. It is the recreation on a larger scale of a work originally installed in 1984 for Art Park in the state of New York and destroyed in 1987.

Rui Gato and Hiraku Suzuki viewed Burden’s work one day in Brazil, returned the next day with a field recorder and began to extract sounds from it. Though broken up into seven tracks, Beam Drop is one recording of an improvisation by Gato and Suzuki in a limited time frame as a bus waited for them in the distance. If one listens carefully you can hear the artists talk about how and what they are creating as well as cries of amazement as different sounds are drawn out of the sculpture. Gato and Suzuki’s beam drop is exciting for me as it is filled with the childhood innocence of banging pans on the kitchen floor.

They say:

coverThe Beam Drop sculpture is a very powerful experience.

This recording is the result of our very short and fast contact with the Beam Drop. Both of us were immediately attracted to the sonic dimension of this work, during the visit to the Inhotim Centre.

We found the sculpture at different moments in the first day, and agreed to go back the next day and try to get some music out of it, and record it.

We did it in one continuous take, due to time limitations of the visit (everybody was waiting for us to get back to the bus), and we are glad it was so.

It is presented to you unedited, only with 7 divisions that seem logic and natural to us when listening.

Download with artwork and photos from Test Tube netlabel.

Excerpts:

Solo Pour Deux

Solo Pour Deux (1981) di Grisey, per clarinetto e trombone, incarna l’essenzialità della concezione compositiva spettrale e in questo senso è didattico.

Come il titolo suggerisce, i due strumenti (monofonici) non creano contrasti o linee melodiche contrappuntistiche, ma concorrono a creare la sonorità di questo brano lavorando l’uno sugli armonici dell’altro (tipicamente il clarinetto su quelli del trombone, per forza di cose). Sono in due, ma, nella maggior parte dei casi, creano un’unica linea, spesso sovrapponendosi, ma a volte l’uno continua riducendo o espandendo una nota dell’altro.

Sotto l’aspetto dell’idea compositiva (ma solo in quello), il pezzo è vicino al Ko-Lho per flauto e clarinetto di (o attribuito a) Giacinto Scelsi del 1966, che potete ascoltare qui, soprattutto al secondo movimento, in cui i due strumenti, più che duettare, si compenetrano.

Presumibilmente gli interpreti sono Ernesto Molinari al clarinetto e Uwe Dierksen al trombone.

Milton Byron Babbitt (May 10, 1916 – January 29, 2011)

Milton BabbittMilton Babbitt non era fra i miei compositori preferiti, ma ne riconosco l’indubbia importanza come pioniere. Ha incarnato il serialismo integrale post weberniano negli USA ed è stato uno dei primi a credere seriamente nella musica elettroacustica fin dagli anni ’50. Qui abbiamo le Occasional Variations, scritte fra il 1968 e il ’71 per il sintetizzatore Mark II della RCA (vedi anche il Synth Museum), una macchina ancora analogica, ma la prima ad essere programmabile via nastro perforato.

Born in 1916 in Philadelphia Pennsylvania, has been one of the most prominent musical figures of the 20th century. His pioneering work with electronic tape, synthesized sounds, and his development of serial composition have established an essential place for him in musical history. As composer, writer, and teacher, he has greatly influenced the most important composers of his time, as well as created controversy, challenging his audience to rethink their very definition of music, and the relationship between a creative artist and his public.

Babbitt studied violin, clarinet, and saxophone as a child, but wished to follow his father’s footsteps and become a mathematician. He began his studies in math at the University of Pennsylvania, but soon felt a pull towards music as a career, these aspirations taking him to New York University where he studied composition, becoming very interested in the twelve-tone music. His studies then took him to Princeton University where he was a student of Roger Sessions.

He soon developed his own method of composing with the twelve-tone techniques of the Second Viennese School. In addition to pitch, he arranged other musical elements into a series, such as dynamics and rhythm, creating a “total serialism.” That and the introduction of other complex mathematical principals result in a dense and highly textured music. His innovations invited the attention of musicians, composers, and historians around the world, although these “complex, advanced, and problematical activities,” as he would call them, tended to alienate the public.
Babbitt has strong beliefs about his creative process and his relationship to his audience. He adopted the philosophy of Roger Sessions, who said that composers must:

abandon resolutely chimerical hopes of success in a world dominated overwhelmingly by ‘stars’, by mechanized popular music, and by the box-office standard, and set themselves to discovering what they truly have to say, and to saying it in the manner of the adult artist delivering his message to those who have ears to hear it. All else is childishness and futility.

The Transforms

Blue Gene Tyranny – The Transforms (1972 – 1992)

Within the environmental sounds were small events – rhythms, quasi-melodic inflections, ringing harmonics – a fine, sub-rosa level brought out by electronic scans called transforms’. Heard through small-band “windows”, the two channels cross-modulate each other, creating a simple field in which everything affects everything, like the body’s perceptors transducting an outside sound. The sensation of a transform is like the feeling left after a sound has ended, or a concert is over.

The transforms heard here are

  • A Dream Without Images
    The feeling behind the action. A telegraphic ringing relaxes into cascades of harmonics, acetylcholine neurons flash in the brain, calcium deposits from exploding stars leave traces in the synapses, and we dream of being helpful for no reason at all, while sferics sweep the atmosphere.
  • X Marks The Spot (Daydream)
    This music occurs simultaneously in both forward, historical time and backward, daydream time. This is analogous to interior imagination and visual perception physically sharing the same pathways only moving in opposite directions (in the occipital parietal temporal lobes). Background and foreground positions gradually cross from one world to the next, and curious illusions occur at the exact midpoint of this crossing (‘X’). “X Marks The Spot” at which the inside and the outside meet.

AGGIORNAMENTO 15/02

La particolarità di questi brani risiede nel fatto che derivano da registrazioni di suoni ambientali derivati da comuni attività giornaliere. I suoni della vita di tutti i giorni vengono isolati, trattati, a volte utilizzati come sorgenti di controllo per altri suoni. È questo modo di trovare la musica nei suoni di tutti i giorni che trovo degno di nota.

Treffpunkt

Negli anni ’60, Stockhausen raccolse intorno a sè un piccolo gruppi di esecutori e tecnici con i quali lavorare e sperimentare. Con questo gruppo, che è quanto di più vicino a una ‘band’ si sia mai visto nella musica cosiddetta colta, aveva iniziato a sperimentare varie forme di improvvisazione più o meno controllata che ricadevano sotto l’etichetta di Musica Intuitiva.

Il massimo della musica intuitiva viene raggiunto nel 1968 con il ciclo Aus den sieben Tagen (dai 7 giorni: accenno evidente alla creazione). Le partiture dei 12 brani che lo compongono sono in realtà brevi testi di istruzioni sommarie che spesso richiedono all’esecutore anche un impegno meditativo non banale e a volte tale da portarlo anche vicino allo stato del Buddha («…arriva a uno stato di non pensiero…»).

Peraltro, alcuni dei brani sono decisamente belli, grazie evidentemente alla bravura degli esecutori e alla direzione di Stockhausen che partecipa alle esecuzioni.

Sul concetto di Musica Intuitiva Stockhausen afferma:

I call this music Intuitive Music, because with a text like the one for IT [citato sopra, in rosso; nota mia], one should exclude all the possible systems which are usually used for any kind of improvisation ­ if one understands the term “improvisation” in the way it has always been used. I therefore prefer the term Intuitive Music. We shall see how Intuitive Music is going to develop in the future.

Question: Were there ever any performances which ­ in your view ­ were failures?

Stockhausen: Do you mean, in which we couldn’t play at all?

Question: No, in which something was played which to your musicians’ creative sense seemed to be rubbish? Or is there such a thing as rubbish?

Stockhausen: Absolutely. The first sign of rubbish is the emergence of clichés: when pre-formed material comes out; when it sounds like something which we already know. Then we feel that it is going wrong. There is a sort of automatic recording within us, which also automatically spits out all the recorded stuff ­ also the garbage ­, and then one stops.

Question: Have you any way of eliminating acoustical rubbish from the creative process?

Stockhausen: Certainly. While playing Intuitive Music it becomes extremely obvious which musician has the most self-control; the musicians soon reveal whether they are critical, whether the physical and spiritual sides are in a certain balance etc. Some musicians are very easily confused, because they do not listen. That is the usual reason for rubbish ­ rubbish in the sense that they produce dynamic levels which erode the rest for quite some time, without realising it themselves. In certain situations some become very totalitarian, for example, and that leads to really awful situations of ensemble playing. The sounds then become extremely aggressive and destructive; they operate on a very low level of communication, and destructive elements prevail (I hope we understand one another: I do not only mean simply “ugly” or “beautiful” when I say “low” level; I mean bodily, physically destroying each other). Then they all play at once. This is one of the most important criteria, that one must constantly remind oneself: “Do not play all the time”, and “Do not get carried away to act all the time”.

After several hundred years of having been forced to play only what was prescribed by the composers, once musicians now have the opportunity ­ in Intuitive Music ­ to play all the time, they do. The playing immediately becomes very loud, and the musicians do not know how to get soft again, because everybody wants to be heard. I mean, it is easy to get loud, but how can you get soft again? Finally you think: “Nobody hears me anyway, so I might as well stop”.

These are the general principles of group behaviour, of group playing.

From: Questions and answers on Intuitive Music, vedi anche Stockhausen – Questions and answers on Intuitive Music Pt 1 e Pt 2

Qui ascoltiamo due esecuzioni di Treffpunkt (punto di incontro) il cui testo base, che risale all’8/5/1968, è il seguente:

Everyone plays the same tone

Lead the tone wherever your thoughts
lead you
Do not leave it, stay with it
Always return
to the same place

Le due esecuzioni sono state registrate nello stesso giorno (27/8/1969).

Esecutori: Aloys Kontarsky (piano), Rolf Gehlhaar (tam-tam with microphone and bamboo flute), Carlos R. Alsina (piano), Michel Portal (tenor saxophone and clarinet), Vinko Globokar (trombone), Karlheinz Stockhausen (glissando flute, short-wave receiver, 1 filter and 2 potentiometers for tam-tam).