Golden Record

La sonda Voyager 1 è stata lanciata il 5 Settembre 1977. Dopo aver sfiorato Giove e Saturno, il Voyager 1 si è lanciato verso i confini del sistema solare, destinato a perdersi nello spazio.

Attualmente è l’oggetto più lontano mai costruito dall’uomo. Si trova a circa 17 miliardi e 900 milioni di chilometri dalla Terra e si allontana alla velocità di 17.056 km/sec. Sembrerebbe aver oltrepassato l’eliopausa (il limite a cui arriva il vento solare) nel 2010, ma sono in corso ulteriori analisi per averne la certezza. Al di là di questo limite c’è solo lo spazio interstellare, pur rimanendo sempre all’interno della nostra galassia. In questa pagina trovate la distanza del Voyager 1 e della sua gemella Voyager 2, costantemente aggiornata.

Non tutti sanno che, nella remota possibilità che il Voyager 1 venga intercettato da una civiltà extraterrestre, è stato sistemato a bordo un disco in oro (la cosiddetta Golden Record) che contiene immagini, suoni e musica della Terra, oltre a messaggi in tutte le lingue e saluti del presidente degli USA Jimmy Carter e del segretario generale dell’ONU Kurt Waldheim, insieme alle istruzioni per accedervi. I contenuti sono stati selezionati da una commissione presieduta da Carl Sagan.

Per essere americani, (ma francamente non so chi erano i componenti la commissione, oltre a Sagan), la selezione è incredibilmente cosmopolita. L’americanismo viene fuori solo nel rock, dove spicca l’assenza (almeno) dei Beatles che negli anni ’70 erano già qualcosa… Naturalmente, per quanto riguarda la musica contemporanea, al massimo si arriva a Stravinsky.

La lista dei contenuti musicali è la seguente:

  • Bach, Brandenburg Concerto No. 2 in F. First Movement, Munich Bach Orchestra, Karl Richter, conductor. 4:40
  • Java, court gamelan, “Kinds of Flowers,” recorded by Robert Brown. 4:43
  • Senegal, percussion, recorded by Charles Duvelle. 2:08
  • Zaire, Pygmy girls’ initiation song, recorded by Colin Turnbull. 0:56
  • Australia, Aborigine songs, “Morning Star” and “Devil Bird,” recorded by Sandra LeBrun Holmes. 1:26
  • Mexico, “El Cascabel,” performed by Lorenzo Barcelata and the Mariachi México. 3:14
  • “Johnny B. Goode,” written and performed by Chuck Berry. 2:38
  • New Guinea, men’s house song, recorded by Robert MacLennan. 1:20
  • Japan, shakuhachi, “Tsuru No Sugomori” (“Crane’s Nest,”) performed by Goro Yamaguchi. 4:51
  • Bach, “Gavotte en rondeaux” from the Partita No. 3 in E major for Violin, performed by Arthur Grumiaux. 2:55
  • Mozart, The Magic Flute, Queen of the Night aria, no. 14. Edda Moser, soprano. Bavarian State Opera,
  • Munich, Wolfgang Sawallisch, conductor. 2:55
  • Georgian S.S.R., chorus, “Tchakrulo,” collected by Radio Moscow. 2:18
  • Peru, panpipes and drum, collected by Casa de la Cultura, Lima. 0:52
  • “Melancholy Blues,” performed by Louis Armstrong and his Hot Seven. 3:05
  • Azerbaijan S.S.R., bagpipes, recorded by Radio Moscow. 2:30
  • Stravinsky, Rite of Spring, Sacrificial Dance, Columbia Symphony Orchestra, Igor Stravinsky, conductor. 4:35
  • Bach, The Well-Tempered Clavier, Book 2, Prelude and Fugue in C, No.1. Glenn Gould, piano. 4:48
  • Beethoven, Fifth Symphony, First Movement, the Philharmonia Orchestra, Otto Klemperer, conductor. 7:20
  • Bulgaria, “Izlel je Delyo Hagdutin,” sung by Valya Balkanska. 4:59
  • Navajo Indians, Night Chant, recorded by Willard Rhodes. 0:57
  • Holborne, Paueans, Galliards, Almains and Other Short Aeirs, “The Fairie Round,” performed by David
  • Munrow and the Early Music Consort of London. 1:17
  • Solomon Islands, panpipes, collected by the Solomon Islands Broadcasting Service. 1:12
  • Peru, wedding song, recorded by John Cohen. 0:38
  • China, ch’in, “Flowing Streams,” performed by Kuan P’ing-hu. 7:37
  • India, raga, “Jaat Kahan Ho,” sung by Surshri Kesar Bai Kerkar. 3:30
  • “Dark Was the Night,” written and performed by Blind Willie Johnson. 3:15
  • Beethoven, String Quartet No. 13 in B flat, Opus 130, Cavatina, performed by Budapest String Quartet. 6:37


Golden RecordSe poi volete anche ascoltare le registrazioni, andate qui, poi cliccate la sonda che appare al centro e infine il disco dorato. Apparirà un’immagine come quella a destra.

Cliccate il cerchio a sinistra in altro e una applicazione vi permetterà di accedere alle registrazioni.

Cassini

Questo breve video è un montaggio di scene raccolte dalla NASA grazie al sistema di ripresa della sonda Cassini, entrata in orbita intorno a Saturno nel 2004 per studiare il sistema formato dal pianeta e dai suoi satelliti.

Un saggio di psichedelia in bianco e nero.

La musica è tratta da Ghosts I – IV di Nine Inch Nails.

Canti delle balene in tempo reale

whalesong.net è un interessante sito la cui “mission” è quella di promuovere la conservazione e la tutela dell’ambiente sottomarino.

In questa ottica, hanno sviluppato il progetto WhaleSong destinato a diffondere in tempo reale, via internet, le voci delle balene e di altri mammiferi marini mediante il sistema schematizzato nella figura qui sotto.

Si tratta, sostanzialmente, di un microfono sottomarino (idrofono) collegato ad un trasmettitore che invia i segnali raccolti dall’idrofono a un ricevitore piazzato sulla costa. Da cui i segnali vengono instradati nella rete grazie ad un server audio e possono essere ascoltati grazie ad una internet radio raggiungibile dal sito di cui sopra o direttamente da questo link.

Fisicamente, il tutto è piazzato sull’isola di Maui, nelle Hawaii, uno dei più importanti siti di whale-watching del globo.

Naturalmente non sempre è possibile contare sulla presenza di vari mammiferi marini nel sito in quanto questi animali compiono lunghe migrazioni. In questo caso la radio trasmette le registrazioni dell’anno precedente.

La vita nella zona morta

A 25 anni dall’incidente la zona di Chernobyl è tuttora off-limits per gli esseri umani e lo sarà ancora per molti anni.

Non così per la natura. Abbiamo già parlato dell’esplosione di vita che si registra nella zona di alienazione, tale da lasciare sbigottiti scienziati e ambientalisti che ormai consideravano quel cerchio di 30 km di diametro come una zona morta.

Le immagini che vedete qui sotto (click per ingrandire e ancora click per dimensione massima) sono tratte dal documentario Chernobyl – Life in the dead zone, un bellissimo film, visibile anche su You Tube, che, dietro alla storia di una gatta e dei suoi gattini, mostra come, nonostante la radioattività, flora e fauna prosperino in modo mai visto prima.

È un film poetico che sembra pieno di speranza. In fondo la zona non è diventata quel deserto radioattivo che tutti immaginavano.

Lasciata a sé stessa, senza l’interferenza della specie umana, la natura trova sempre il modo di andare avanti.

First Orbit

Il 12 Aprile di 50 anni fa Yuri Gagarin faceva il primo giro nello spazio intorno alla Terra. Ho cercato per parecchi giorni qualcosa di sufficientemente interessante per commemorare l’evento. Solo adesso mi sono imbattuto in questo film realizzato appositamente.

First Orbit è una ri-creazione, pressoché in tempo reale, della prima orbita mai vissuta da un essere umano. Le scene del film cercano di mostrare ciò che vide Gagarin per la prima volta nella storia dell’umanità. Sono state girate interamente nello spazio a bordo della International Space Station e combinate con l’audio originale della missione di Gagarin e colonna sonora originale di Philip Sheppard.

Lo potete vedere qui, ma vi consiglio di andare a guardarlo in alta definizione su You Tube. Settate 1080 punti e schermo intero.

Esiste anche il sito dedicato.

Mandelbrot RIP

Benoît Mandelbrot, l'”inventore” della geometria frattale, è morto giovedì scorso a Cambridge (Massachusetts) all’età di 85 anni. Che i frattali siano con lui.

Musicofilia

Oliver Sacks, MusicofiliaIl libro di Oliver Sacks, Musicofilia (Adelphi Ed., 2008-2009), è una miniera di aneddoti e considerazioni sulle più disparate affezioni che coinvolgono la percezione e l’apprezzamento della musica.

Neurologo e psichiatra, ma anche membro onorario dell’Institute for Music and Neurologic Function, che ha contribuito a fondare, Sacks ha avuto fra i suoi pazienti parecchi musicisti e si è ritrovato a trattare molti casi di distorsione percettiva relativamente poco comuni e decisamente complessi, alcuni dei quali vengono descritti in questo libro.

Così, fra un caso di epilessia musicogena (crisi epilettiche indotte dalla musica che colpiscono un critico: giusta nemesi :mrgreen: ), uno di amusia cocleare (deviazione nella percezione dell’altezza dei suoni che affligge un compositore: idem) e il sorprendente capitolo dedicato a un medico che, dopo essere stato colpito da un fulmine, sviluppa un insaziabile desiderio di ascoltare musica per pianoforte, suonare e perfino comporre, si passano ore piacevoli a riflettere sulla complessità di quel sistema percettivo il cui funzionamento è in massima parte determinato dalla comunicazione bilaterale orecchie -> cervello che alla fine dà vita al fenomeno musicale.

Fenomeno, peraltro, ancora poco indagato e compreso, soprattutto se si confronta con quanto, invece, conosciamo della percezione visiva. Fenomeno che è stato sempre sottovalutato, a partire dallo stesso Darwin che ne era palesemente sconcertato, tanto da scrivere nell’Origine dell’uomo, che

Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità [di produrle] sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo … devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato.

È una vecchia storia questa dell’inutilità della musica d’ascolto, avvalorata dal fatto che presso molte tribù “primitive” che pure dedicano alla musica varie ore al giorno, il concetto di musica nemmeno esiste (se si chiede a uno di loro che cosa stia facendo, si ottiene una risposta tipo “batto il tamburo per propiziare la caccia”).
Una storia diffusa al punto da contagiare anche uno scrittore e scienziato come Arthur Clarke, visto che perfino gli alieni venuti a salvarci da noi stessi, i Superni de Le Guide del Tramonto, sono del tutto insensibili alla produzione di suoni svincolati da una funzione.
Una credenza che, fortunatamente, viene lentamente demolita da studi come quelli di Steven Mithen, il quale, nel suo Canto degli Antenati (The Singing Neanderthal, di cui abbiamo già parlato), ipotizza che la musica e il linguaggio abbiano un’origine comune e che una caratteristica della mente neandertaliana fosse proprio una combinazione di proto-musica e proto-linguaggio (Mithen chiama questa sorta di linguaggio cantato fatto di significati, ma senza singole parole così come noi le intendiamo, HMMMM che sta per holistic-mimetical-musical-multi-modal).

E tuttavia, se è difficile spiegarne l’origine, non c’è niente di strano al pensiero di produrre qualcosa per puro piacere estetico e/o intellettuale, attività che, peraltro, non è ad esclusivo appannaggio delle civiltà tecnologicamente avanzate. Spesso e giustamente si dice che l’arte si può fare solo quando i bisogni primari (principalmente l’assillo del cibo) sono soddisfatti, sottintendendo che soltanto una civiltà progredita possa permettersela.
Si dimentica, però, che molte delle società cosiddette primitive, se lasciate indisturbate, sono ben integrate nel proprio ambiente e tutt’altro che assillate da problemi vitali. Ricordo di aver letto uno studio dedicato agli aborigeni (di cui purtroppo ora non riesco a ritrovare gli estremi; non sono a casa e mi connetto con una miserabile chiavetta a tempo limitato), in cui si calcolava che ogni membro adulto del villaggio lavorasse (caccia, raccolta, preparazione del cibo, manutenzione varia, etc) fra le 12 e le 18 ore settimanali (l’orario di un insegnante). Il resto del tempo trascorre in attività di svago che comprendono anche il cantare insieme, che da loro è descritto come “raccontare storie” 😎 .

A beautiful sonic boom

In particular conditions the sound waves can become visible. This Atlas V launched from Kennedy Space Center at Feb. 11 2010, fly through a sun dog.

A sun dog is a prismatic bright spot in the sky caused by sun shining through ice crystals. The Atlas V rocket exceeded the speed of sound in this layer of ice crystals, making the shock wave visible from the ground (from 1’56”).

In caduta libera

Nota: mi rendo conto che, in questi ultimi tempi, vi sto parlando un po’ poco di musica contemporanea e un po’ più di altre cose. Ciò è dovuto ad una certa noia che sto provando nell’ascoltare parecchie produzioni recenti. Passerà. Nel frattempo vi passo qualche consiglio che vi sarà di certo più utile, considerato che molti di voi stanno per salire su un aereo.


Free fallDunque, se a un certo punto vi svegliate, o meglio, riprendete conoscenza con addosso una gran nausea, il cuore che va a mille, un grande freddo, la sensazione di non riuscire a respirare e vi rendete conto che state cadendo, rallegratevi: significa che siete sopravvissuti all’esplosione del vostro aereo.
Probabilmente vi trovate alla quota di circa 9000 metri e state per svenire per mancanza di ossigeno. Vi riprenderete a circa 5/6000 metri, se siete fortunati anche più in alto, quando l’atmosfera sarà abbastanza ricca per mantenere un briciolo di coscienza e l’aria fredda vi risveglierà senza troppa grazia.

Qui comincia la fase finale. State cadendo e la vostra destinazione finale è il suolo. Se potete fare qualcosa per salvarvi, dovete farlo adesso. Non lasciatevi andare. Ci sono stati molti casi di cadute di questo tipo in cui il soggetto è sopravvissuto ed anche piuttosto bene.

Innanzitutto, una distinzione basilare:

  1. siete in caduta libera, solo;
  2. siete un wreckage rider, uno che cavalca rottami, ovvero mentre precipitate siete più o meno connesso a parti dell’aereo.

La situazione (b) è la più comune e di gran lunga la migliore. Se state cavalcando qualche rottame fate il possibile per non abbandonarlo. I rottami possono veleggiare nell’aria e offrire resistenza fino a ridurre la velocità a livelli accettabili. Inoltre offrono una certa protezione al momento dell’impatto.

Se invece vi trovate nella situazione (a), non disperate. Il tempo gioca a vostro favore. Pensate che cadere da un grattacielo è molto peggio: innanzitutto avete solo pochi secondi a disposizione e poi quasi certamente vi schianterete su qualcosa di duro.

Nel caso della caduta libera il vostro nemico è uno solo: l’accelerazione di gravità. 9.8 metri al secondo per secondo, ovvero la vostra velocità aumenta di 9.8 m/sec per ogni secondo di caduta. Se esistesse solo l’accelerazione di gravità, precipitando da 10000 m, arrivereste al suolo a più di 1500 km/h.
Fortunatamente avete due amici che sono in grado di limitare notevolmente la vostra velocità di caduta: la spinta di Archimede e l’attrito. La prima è la stessa che fa sì che le navi possano galleggiare nonostante il loro peso. Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato. L’aria è come l’acqua, con l’unica differenza che il suo peso è decisamente inferiore, perciò anche la spinta verso l’alto che ricevete è minore e non vi permette di galleggiare facendo il morto.
Tuttavia, fare il morto è un ottimo sistema per spostare più aria e massimizzare la spinta di Archimede. Quindi assumete la posizione del paracadutista che veleggia nell’aria: braccia e gambe larghe e distese, testa alta e petto in fuori.
Così facendo, esponete la massima superficie e sfruttate a dovere anche l’attrito.

Queste due forze combinate costituiscono un freno molto potente, al punto che un corpo umano in caduta libera riesce a rallentare fino a circa 150 km/h (per avere un’idea della loro potenza, considerate che varie fonti indicano in circa 250 km/h la massima velocità che un corpo umano può raggiungere se fa il possibile per accelerare, cioè assume la posizione di massima aerodinamica). Sfruttate i vestiti: una giacca chiusa, ma larga, può creare un ottimo effetto tunnel aiutandovi a veleggiare e aggiunge una componente laterale alla vostra velocità, il che significa ridurre la componente verticale.

E qui arriviamo all’ultimo atto: il suolo. L’impatto con il terreno è rimandabile, ma inevitabile.

La consistenza del suolo è un fattore determinante. Il miglior terreno su cui atterrare è sicuramente la neve alta. Molte persone si sono salvate per questo, cadendo anche da altezze notevoli.
Al secondo posto sta il terreno paludoso e morbido. Nel 1995 una bambina colombiana di 9 anni è sopravvissuta a una caduta da 9000 metri atterrando in una palude.
Anche gli alberi sono buoni, a patto di non finire impalati. L’ambiente migliore è la giungla, soprattutto quella di tipo amazzonico, con alberi alti fino a 30 m e un fittissimo sottobosco, tale da costituire un ambiente a sé stante. Ma anche le foreste di conifere non sono male perché le punte sono cedevoli.
Infine l’acqua. Terreno ingannevolmente amico perché non comprimibile. Cadere di piatto sull’acqua, a questa velocità, è come cadere sul cemento, con l’unica differenza che l’oceano non restituirà i vostri frammenti. L’unico sistema è entrare in acqua dritti come una freccia, con i piedi in avanti (punte in su e talloni in giù), braccia distese in alto e mani unite, a proteggere la testa (non fate i tuffatori, è imperativo proteggere la testa).

Ricordate che, in caduta libera, voi siete il pilota e il vostro corpo è l’aereo. I dati riportati dai paracadutisti indicano che lo spostamento laterale che si può raggiungere senza tute apposite, è di circa 2/3 rispetto alla quota da cui si cade, quindi, cominciando a lavorare a circa 5000 m, potete spostarvi lateralmente per più di 2 km.

Dunque, per quanto possibile, scegliete il terreno. Alla partenza, siate consapevoli della rotta del vostro aereo e quando, alla fine, l’aereo rollerà dolcemente sulla pista della vostra destinazione, pensate che ormai i voli commerciali sono molto sicuri e raramente avrete l’opportunità di mettere in pratica questi consigli, ma meglio conoscerli che ignorarli. In fondo, attualmente, il numero di incidenti catastrofici annuali nel mondo, per l’aviazione  commerciale, è dell’ordine di 25, cui corrisponde all’incirca un migliaio di vittime.


Altre informazioni: The Free Fall Research Page

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