La capsula del tempo della Westinghouse è stata una delle attrazioni dell’expo di New York nel 1939.
Destinata ad essere aperta dopo 5000 anni o perlomeno dopo la catastrofe globale prossima ventura, contiene artifatti della vita quotidiana e alcuni libri, riviste e giornali sotto forma di microfilm.
Un testo con il contenuto e la sua storia è scaricabile da qui in vari formati.
Per facilitarne il ritrovamento, la Westinghouse ha stampato un libro che è stato inviato a biblioteche, templi, monasteri, lamaserie e a tutti i luoghi che hanno qualche possibilità di sopravvivere all’armageddon. Il testo, che trovate qui, contiene le mappe per ritrovare e portare alla luce la capsula, una grammatica e un dizionario essenziale di inglese e i saluti alle generazioni future scritti da Einstein, dal fisico Milliken e da Thomas Mann.
Questa prima capsula è stata seguita da un’altra realizzata nel 1965, localizzata circa 3 metri a nord della precedente e destinata ad essere aperta alla stessa data.
Entrambe le capsule sono sepolte a 15 m di profondità nel luogo ove si tenne l’expo di New York del 1939, che oggi è il parco di Flushing Meadows.
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Cage & Varèse (with Max Neuhaus)
Fa un certo effetto vedere insieme due leggende della musica del ‘900: Edgar Varèse (sin.) e John Cage (centro) con il percussionista Max Neuhaus (des.) in una foto ormai sgranata pubblicata sul New York Times (September 1, 1963).
Micronazioni
In breve, la notizia (segnalata da Nicola) è questa;
il gruppo svedese anti-copyright The Pirate Bay sta raccogliendo fondi per acquistare una micronazione e piazzarci un server per distribuire contenuti sfuggendo alle leggi sul copyright grazie all’extra territorialità.
La storia è simpatica, e ci offre l’opportunità di raccontare qualcosa sulle micronazioni (penso che pochi sappiano cosa sono e che esistono, oltre naturalmente a quella già note come il Vaticano, S.Marino, Andorra, etc).
In pratica, un micronazione è un lembo di territorio che, per qualche anomalia geografica e/o storica non sembra ricadere sotto la giurisdizione di alcuno stato oppure una parte di territorio che ha rivendicato la propria indipendenza e ottenuto qualche tipo di riconoscimento.
Nella prima categoria ricade, per esempio, l’isola artificiale di Sealand (nella foto) che è proprio quella che The Pirate Bay vorrebbe comprare.
La storia è questa. Durante la seconda guerra mondiale il governo inglese aveva costruito delle piattaforme marine dotate di artiglieria poco oltre le acque territoriali. Servivano per avvistare in anticipo gli aerei e soprattutto i missili nazisti (V1 e V2) e abbatterli prima che arrivassero sul territorio inglese.
Alla fine della guerra vennero tutte demolite tranne una, il famoso royal fort Roughs Tower che sorge a nord della foce del Tamigi a 7 miglia dalla costa (il limite delle acque territoriali era allora di 6 miglia).
Per molti anni Roughs Tower rimase abbandonata, res derelicta et terra nullius fino a quando, il 2 settembre 1967, l’ex maggiore Paddy Roy Bates la occupò, dichiarandola territorio indipendente, andando a viverci e dandole il nome di Principato di Sealand.
Ovviamente il governo inglese reagì inviando truppe. Vennero sparati anche alcuni colpi. Bates era sempre cittadino inglese, per cui venne arrestato e processato e qui arriva il colpo di scena.
Come era suo dovere, la giustizia inglese, che spesso è seria, si dichiarò incompetente per territorio, perché l’isola è fuori dalle acque territoriali. Roy di Sealand ritornò libero alla sua isola che ricevette un primo importante imprimatur di indipendenza.
Più tardi accaddero altri fatti cruenti. Nel 1978, mercenari olandesi al soldo di un uomo d’affari tedesco occuparono l’isola con la forza, ma vennero poi sconfitti e fatti prigionieri da Roy (che in quel momento si trovava in Inghilterra) e dai suoi uomini. Di conseguenza, i governi olandese e tedesco intavolarono trattative con Sealand per il rilascio dei prigionieri, dando all’isola un ulteriore riconoscimento di sovranità.
La situazione attuale di Sealand sembra essere tranquilla. Un internet provider, HavenCo Limited, ha anche posto la propria sede sull’isola, dotandola di una connessione ad alta velocità e pubblicizza la propria sede extra-territoriale come fonte di sicurezza per dati sensibili e transazioni finanziare al riparo dalle grinfie governative.
Ecco quindi l’interesse di Pirate Bay che vorrebbe farne un centro di distribuzione di materiale copyrighted in barba alle leggi europee. Per ora hanno raccolto solo $14.000.
Fin qui la storia di Sealand, ma pochissimi sanno che un tentativo analogo è stato fatto anche in Italia. Nel 1965, un costruttore, tale ing. Rosa, edificò una piattaforma in Adriatico, davanti a Bellaria, poco fuori le acque territoriali.
L’isola venne aperta al pubblico nel 1967. Si pensava di impiantarvi una serie di attività commerciali: un ufficio postale, un negozio di souvenir, un piccolo albergo, un ristorante, un bar ed un night-club.
Il 1 maggio 1968 venne dichiarata l’indipendenza e la piattaforma venne battezzata Isola delle Rose. Le azioni di Rosa furono viste dal governo italiano come uno stratagemma per raccogliere i proventi turistici senza il pagamento delle relative tasse e la reazione fu dura: 55 giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza, il 25 giugno 1968, un gruppo di quattro carabinieri ed alcuni ispettori delle imposte atterrarono sull’isola e ne presero possesso, senza alcun atto di violenza, con un’azione ai limiti del diritto internazionale. Il governo della Repubblica dell’Isola delle Rose inviò telegrammi di protesta anche al governo italiano, ma fu ignorato. L’11 febbraio 1969, sommozzatori della Marina Militare Italiana distrussero con l’esplosivo la piattaforma artificiale, eseguendo la sentenza del Consiglio di Stato di giovedì 17 luglio 1969. La proprietà si rifece prima al TAR, poi al Tribunale Internazionale dell’Aja, ma, alla fine, cedette e dell’Isola delle Rose e di ciò che si favoleggiava attorno, nessuno parlò più.
Tomba di Oggi, 06/01
Rudolf Hametovich Nureyev.
Giace al cimitero di Sainte Genevieve Des Bois, Esson, France.
Non è un musicista, ma basta e avanza.
Dedicata a Valeria e Valentina.
Alban Berg
Il 24 Dicembre 1935, dopo aver completato il concerto per violino e orchestra, moriva Alban Berg (1885-1935), grande sostenitore e scardinatore della dodecafonia.
Qui lo ricordiamo con la sua op.1, la sonata per pianoforte del 1908, una delle più notevoli opere prime mai scritte, da qualsiasi compositore. La sonata è quasi un prototipo dell’idea della variazione continua, passata da Brahms a Schoenberg e poi a Berg: l’intera composizione deriva dalla successione di quarte della frase iniziale.
December 24, after completing his concert for violin, Alban Berg died. He was a great promoter of Schoenberg’s twelve tone technique of which he made a highly personal adaptation that enabled him to combine frank atonality with more traditionally tonal passages and harmonies.
His Piano Sonata op.1 is one of the most formidable initial works ever written by any composer. It is a striking example of the developing variation technique — the whole composition can be derived from the opening quartal gesture and from the opening phrase.
Alban Berg – Sonata per pianoforte op.1 (1908) – Maria Yudina pianoforte
La più antica canzone del mondo
Secondo il Prof. Anne Draffkorn Kilmer (professor of Assyriology, University of California, and curator at the Lowie Museum of Anthropology at Berkeley), quella che vedete potrebbe essere la partitura del più antico brano musicale attualmente conosciuto.
La tavoletta, che proviene dall’antica città assira di Ugarit (oggi Ras Shamra in Siria), risale a 3400 anni fa. Nella parte superiore si trova il testo, mentre la parte inferiore reca informazioni sull’esecuzione.
Il punto è che, sempre secondo l’interpretazione del Prof. Kilmer, la musica che ne esce è diatonica (scala maggiore ovviamente non temperata ma verosimilmente basata su una scala naturale) e armonizzata. Ho messo questi dati in neretto perché, se fossero veri, smentirebbero in un solo colpo ben due assunti della musicologia tradizionale: l’idea che le prime scale strutturate risalgano ai greci (2000 anni fa) e che le prime manifestazioni musicali fossero solo melodiche.
Ma a Hollywood non hanno i consulenti?
Ho visto “Il Gladiatore” in tv (il film di Ridley Scott con Russel Crowe).
L’avevano già fatto, ma l’altra volta non l’avevo guardato bene. Stasera non avevo niente da fare e così l’ho guardato bene. Sono rimasto colpito dalla quantità di errori che contiene. Storici, militari, di ambientazione…
Alcuni sono evidenti licenze per migliorare la trama (l’imperatore Commodo non è morto in duello nel colosseo, Marco Aurelio è morto di polmonite, non ucciso) e ci passiamo sopra, ma altri sono veramente grossolani. Quelli di latino, poi, non si contano.
Va bene che sono anche laureato in storia, quindi, nonostante la memoria se vada con la vecchiaia, ne so un po’ di più di un ingegnere, ma dannazione, la maggior parte sono banalità che potrebbero essere sistemate in 2 minuti per fare un lavoro ben fatto.
Giudicate voi. Non me li ricordo neanche tutti e li cito come mi vengono in mente. Cominciamo:
- I legionari usano il pilum come una falange greca. Errato: serviva solo per essere lanciato.
- I legionari portano il gladio a sinistra, mentre era a destra per non intralciare lo scudo.
- I legionari menano fendenti e tagliano braccia e gambe con il gladio. Errato: il gladio si usava di punta, non era nemmeno affilato sui lati.
- Gli arcieri romani tirano contro i germani a parabola. Questo metodo è stato inventato da Guglielmo il Conquistatore nella battaglia di Hastings (mi pare verso il 1060).
- I proiettili incendiari esistevano, ma quelli del film sono razzi katiuscia.
- Il grado di generale non esisteva.
- Le staffe non esistevano; sono arrivate con gli Unni.
- Il termine Colosseo è medievale. I romani lo chiamavamo anfiteatro massimo (o flavio).
- Le tigri nel circo non c’erano.
- I tempi sono tutti sfasati: Marco Aurelio dice di avere regnato per 25 anni (in realtà 19); Lucio Vero, il bambino, all’inizio del film ha 8 anni, ma il film inizia con la morte di Marco Aurelio, cioè nel 180 e termina con la morte di Commodo, cioè nel 192 e Lucio Vero è ancora un bambino; sempre Lucio Vero, il bambino, dice di portare il nome del padre, ma l’imperatore Lucio Vero è morto nel 169 quindi il bambino non può avere 8 anni nel 180, dopo la morte di Marco Aurelio.
- Nella tenda di Marco Aurelio si vedono libri! Non esistevano.
- Il gladiatore è chiamato Massimo, ma dice che il suo nome completo è Massimo Decimo Meridio. Errato, avrebbe dovuto chiamarsi Decimo Massimo Meridio, perché i romani dicevano prenomen, nomen, cognomen.
- I figli degli imperatori non venivano chiamati principi
- Nella casa di Massimo in Spagna ci sono le bougainville che sono piante originarie dell’America del Sud importate dopo Colombo.
- In Africa si fa pubblicità al combattimento con manifestini. Assurdo: la pergamena costava l’ira-di-dio.
Il tutto è abbastanza assurdo. È solo per la superficialità con cui si guarda un film che la cosa sta in piedi. Un libro non reggerebbe neanche 20 pagine.
Ma qualche consulente pagato due lire in una produzione da uno zilione di dollari, no?
Pop (?) music that I loved (3)
Dylan non canta, abbaia.
Con questo statement mi sono attirato le ire di parecchi dylaniani. Nessuno ha capito che il mio era un apprezzamento.
Perché mi piace Dylan quando abbaia, ve lo spiegherò con una canzone di Woody Guthrie. Quello che sulla chitarra aveva scritto “questa macchina ammazza i fascisti”.
Si intitola Deportee (Plane Wreck at Los Gatos). È stata scritta nel 1948 e parla di quando gli americani riempivano di messicani qualche aereo residuato bellico (tipicamente i vecchi bimotori dakota) e li portavano a lavorare negli USA per poi riportarli indietro. Non li volevano come immigrati, ma solo come braccianti a basso costo. E poi, ogni tanto, uno di questi aerei cadeva e allora il New York Times riportava solo i nomi del pilota e dei 3 americani che erano a bordo, perché gli altri 28 morti, lavoratori messicani, erano soltanto dei deportati.
Questa canzone, resa famosa da Pete Seeger, esiste in moltissime versioni, tutte più o meno nello stile del country e/o western. Questa, per esempio, è di Arlo Guthrie, nello stile canonico.
La canzone viaggia. Arriva nelle mani di un quartetto d’eccezione nell’area country: Johnny Cash, Kris Kristofferson, Waylon Jennings, Willie Nelson (scusate l’interruzione brutale alla fine; il file era danneggiato) che ne danno una versione struggente e dondolante, come l’andare a cavallo.
Ai tempi di Easy Rider, poi, passa fra le dita dei Byrds e arrivano le frasettine bottleneck e le chitarre sono più libere. Tira aria di California, ma l’insieme è sempre maledettamente educato; i 3/4 ben scanditi.
La cantano anche Nancy Griffith & Lucinda Williams con contorno di amici vari: voci fra Joan Baez e Peter, Paul & Mary. Il country diventa folk, malinconico, ma gentile.
Anche Billy Bragg, pur essendo un cantautore della classe operaia (e per di più inglese) non è molto più arrabbiato. Non si sfugge alla tradizione.
Le cose cambiano un po’ con il Boss. Springsteen ha una voce leggendaria e qui si mangia ritmo e strofe, un po’ come fa con un altra canzone di Guthrie, This Land is your Land. La testimonianza di una memoria con uno stile ormai lontano dal country e anche dal folk, un modo per parlare del presente ricordando il passato.
Ma in un certo momento del 1976, Dylan la esegue ad un festival con Joan Baez. Lei cantava spesso questa canzone, con la sua bella voce impostata. Bella occasione per un duetto.
Però da subito si trova a correre disperatamente dietro a Dylan, che si accompagna malamente con la chitarra andando al 50% più veloce del normale e dal primo inciso in poi, abbaia il testo senza un attimo di respiro, annullando quasi del tutto le pause fra le strofe come solo lui e Mick Jagger sapevano fare. Ed è una corsa da brivido in cui le parole non sono più gentili, ma ti arrivano addosso come sassate, perché la rabbia è rabbia e si deve sentire.
Noi siamo morti sulle vostre colline e nei vostri deserti. Siamo morti nelle vostre valli e nelle vostre pianure. Siamo morti sotto i vostri alberi e nelle vostre foreste. Di qui e di la del fiume, siamo morti nello stesso modo.
Mi piace Bob Dylan quando abbaia…
The crops are all in and the peaches are rott’ning, The oranges piled in their creosote dumps; They’re flying ’em back to the Mexican border To pay all their money to wade back again
Goodbye to my Juan, goodbye, Rosalita, Adios mis amigos, Jesus y Maria; You won’t have your names when you ride the big airplane, All they will call you will be “deportees”
My father’s own father, he waded that river, They took all the money he made in his life; My brothers and sisters come working the fruit trees, And they rode the truck till they took down and died.
Some of us are illegal, and some are not wanted, Our work contract’s out and we have to move on; Six hundred miles to that Mexican border, They chase us like outlaws, like rustlers, like thieves.
The sky plane caught fire over Los Gatos Canyon, A fireball of lightning, and shook all our hills, Who are all these friends, all scattered like dry leaves? The radio says, “They are just deportees”
We died in your hills, we died in your deserts, We died in your valleys and died on your plains. We died ‘neath your trees and we died in your bushes, Both sides of the river, we died just the same.
Is this the best way we can grow our big orchards? Is this the best way we can grow our good fruit? To fall like dry leaves to rot on my topsoil And be called by no name except “deportees”?
Quelle strane riunioni di famiglia
L’altra sera mi sono ritrovato in mezzo a una di quelle strane pseudo-riunioni di famiglia in cui si parla e ci si vede via skype (potenza della tecnologia) con gente che non vedevi da 30 anni e che magari adesso sta a Londra o a Bruxelles e ha 3 figli.
La cosa buffa è sentirsi dire il classico “sei uguale!”. Sì, maledizione, non dubito di essere uguale a 30 anni fa quando mi vedi attraverso la malefica webcam di skype. Ho gli occhiali come allora e perlomeno, ho ancora tutti i capelli, io.
Ma è da vicino che dovresti guardarmi per vedere i segni delle cose fatte, delle bottiglie scolate, delle battaglie vinte e degli amori perduti (soprattutto l’ultimo, che è quello che lascia i segni più visibili).
Comunque, in omaggio a quelli che vedevo 30 anni fa e che si chiedevano perché mai mi ostinassi a fare quella strambissima musica contemporanea, quando anche quella normale mi veniva bene, ecco qui una delle pochissime registrazioni normali dell’epoca (con il suono un po’ ottuso a causa del degrado del nastro).
Fine anni ’70. Sangre y Arena.
Those were the days and that was the band →
(veramente ci sono state anche altre band altrettanto importanti per me, ma non sono rimaste registrazioni)
Il line-up di questa era
MG: basso elettrico con eco ed effetti vari, tastiere, synth e filtraggio di tutto
Margherita: voce con eco
Andrea Turco: sax
La batteria è la stramaledetta Boss da 2 lire.
Tomba di Oggi, 30/11
Da morto come da vivo, Oscar Wilde si fa notare.
La sua tomba è opera dello scultore americano Jacob Epstein ed è stata eretta 3 anni dopo la sua morte (avvenuta il 30/11/1900 in un hotel di Parigi) quando i suoi resti sono stati traslati nel prestigioso cimitero parigino di Père Lachaise dalla loro sede originaria (Bagneaux).
La parte sotto la scultura è segnata da molte impronte di labbra con rossetto, presumibilmente non tutte femminili. Sembra sia una consuetudine.
Di Wilde si ricordano migliaia di aneddoti, ma uno dei più simpatici, a mio avviso, è questo: quando, durante una cena, gli fu chiesto di fare un breve discorso sullo stato della letteratura, si alzò e disse
Signori, la letteratura versa in pessime condizioni: Omero è morto, Shakespeare è morto e anch’io non mi sento molto bene.