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Taiko
Taiko (太鼓, o daiko nei composti) significa tamburo in giapponese. In realtà ne esistono diversi tipi, ma ormai, al di fuori del Giappone, questa parola designa tutti gli ensemble di tamburi.
L’origine del taiko è legata al Gagaku (雅楽, letteralmente “musica elegante”), uno stile musicale di corte molto antico tramandato attraverso i secoli (si esegue tuttora), ma ben presto questi tamburo trovarono anche un impiego militare.
Lo stile moderno, quello noto in tutto il mondo e che vediamo nel filmato, è recente. Venne fondato del 1951 da Daihachi Oguchi, un batterista jazz nato nel 1924 e morto il 27 giugno di quest’anno. Secondo la leggenda. Oguchi mise insieme il primo ensemble con diversi tamburi e vari esecutori volendo aggiungere un tocco più ritmico ad un brano che doveva eseguire dirante una cerimonia in un tempio. L’idea, poi, si diffuse e vennero fondati molti ensemble che svilupparono il concetto del taiko ensemble secondo i criteri di spettacolarità che vediamo nelle esibizioni attuali.
Esistono, tuttavia, varie combinazioni di esecutori e tamburi, che vanno dai normali ensemble con molti tamburi e molti esecutori, passando per molti tamburi con un solo esecutore oppure un tamburo con più di un esecutore, fino a un tamburo e un solo esecutore. In questa performance si possono vedere tutte queste combinazioni.
È interessante notare, infine, che i taiko sono spesso ricavati da un unico pezzo di legno ottenuto scavando il tronco di un albero sufficientemente grosso.
La via più breve
Se non fosse per il fatto che, come in Inghilterra, si viaggia dalla parte sbagliata della strada, guidare in Giappone sarebbe bellissimo. Ma il problema della sinistra non esiste sulle tangenziali, dove le corsie sono separate da un muro.
Quando la densità abitativa raggiunge i livelli giapponesi, l’unico modo di costruire strade a percorrenza veloce è farle passare sopra le case. Le cosiddette tangenziali viaggiano in aria e il traffico scorre in un limbo gestito da divinità lontane.
Una tendenza che deve fare sempre i conti con lo sviluppo verticale delle grandi città. Così le strade girano intorno alle costruzioni, si avvolgono su sé stesse, si dividono e si ritrovano in un flusso che sembra liquido.
Ma, a volte, l’edificio non può essere aggirato né demolito e così non resta altro che passarci attraverso. Qui, a Osaka, la società che costruiva la tangenziale ha semplicemente affittato tre piani e ci ha fatto passare la strada.
Cliccate sulle immagini per ingrandire. Vedi anche Googlesighting.
Via Darwin
Enka I
Vi facciamo ascoltare un brano di quest’ultimo perché rappresenta molto bene l’atteggiamento giapponese nei confronti del silenzio.
Composta nel 1978, Enka I (esiste anche un Enka II), per soprano e nove strumenti, si ispira allo spirito (non allo stile) di un certo tipo di canzone popolare giapponese. Enka, in Giappone, è un genere musicale popolare, che potrebbe essere paragonato alle canzoni drammatiche di Gilbert Bécaud o Edit Piaf in Francia.
Qui, Susumu Yoshida vuole analizzare, estrarre e ricostruire l’essenza drammatica dell’Enka, ma lo fa con gesti che, a noi occidentali, appaiono estremamente misurati, nella tradizione del teatro giapponese in cui anche la semplice posizione di una mano ha un significato preciso.
Bellissimo e spiazzante è ciò che il compositore dice del silenzio, che abbonda in quest’opera:
La mia musica si basa sul silenzio. È una musica concepita “in negativo” in quanto le note esistono solo per creare e condizionare questo silenzio. Il silenzio non è il Nulla, non è solo il momento in cui non si sente più niente, è una forma di esistenza in sé, che si nasconde dietro alle note.
Questi silenzi non sono cageani e non sono espressivi. Non si può non pensare al giardino di pietre e sabbia del tempio Ryoanji a Kyoto, oppure ai vuoti delle pitture orientali.
Susumu Yoshida – Enka I (1078), per soprano e nove strumenti – mp3 – streaming audio
Yumi Nara soprano – Orchestra Colonne, Hikotaro Yazaki cond.
Potete scaricare il brano in formato flac dal sito AGP
師走 : gli insegnanti corrono
Dato che, a quanto ne so, parecchi fra voi sono insegnanti di vario ordine e grado, vi farà piacere sapere quanto segue.
Rispolverando un po’ del mio malandato giapponese, mi torna in mente che, in Giappone, il mese di Dicembre viene chiamato anche shiwasu (師走) che letteralmente significa “teachers running” (insegnanti che corrono). Il primo dei due ideogrammi, infatti, è “shi”: insegnante, maestro, mentre il secondo è la radice del verbo hashiru che significa correre, muoversi rapidamente.
Tutto ciò a riflettere il fatto che Dicembre è un mese così “busy” che perfino gli insegnanti, che normalmente ciondolano qui e là senza avere molto da fare, sono in estrema agitazione perché ci sono un sacco di carte da presentare e cose da chiudere.
A peggiorare la considerazione di noi insegnanti c’è anche il fatto che una mia amica giapponese mi ha tradotto shiwasu con “teachers run around” che a prima vista sembra uno dei tanti phrasal verb tipo run about, ma invece c’è una bella differenza. Secondo il Merriam-Webster, infatti, run around significa “mettere in atto una azione evasiva e/o ritardante in risposta a una richiesta precisa”.
Andiamo bene… 😯
Shamisen
[NB: la descrizione dello strumento è tratta da HÔGAKU: musica tradizionale giapponese]
Lo shamisen (chiamato anche sangen [tre corde]) è uno strumento a corda della famiglia del liuto con una piccola cassa armonica di forma approssimativamente quadrata formata da una fascia di legno ricoperta da entrambi i lati di pelle di gatto o di cane. Il manico è lungo e sottile e penetra attraverso tutta la lunghezza della cassa fuoriuscendo dalla parte opposta; su questo spuntone del manico alla base della cassa sono legate le tre corde di seta, che passano poi su un ponticello appoggiato sulla parte inferiore della cassa armonica e su un secondo ponticello fisso alla sommità del manico (capotasto), per finire sui tre lunghi piroli di accordatura. Il manico è privo di tasti (ponticelli) e il cavigliere dei piroli è curvato all’indietro rispetto alla direzione del manico. La lunghezza totale dello strumento è 95 – 100 cm.
In generale la corda più bassa dello shamisen non è appoggiata sul capotasto ma su una tacca posta di fianco ad esso e passa sopra una protuberanza della superficie del manico (sawari no yama) contro cui urta quando è in vibrazione. Questo dispositivo serve a produrre un suono ronzante (chiamato sawari) che è una importante caratteristica timbrica dello strumento e che viene emesso quando la corda è lasciata “vuota”, sia che essa venga suonata direttamente, sia (in misura minore) quando vibra per risonanza con le altre corde.
Benché sia stato introdotto in Giappone in epoca relativamente tarda, lo shamisen ebbe un successo immediato ed una enorme diffusione sia nella musica classica che in quella popolare, tanto che oggi lo si può forse considerare come lo strumento più importante della musica giapponese. Tra i principali generi in cui esso svolge una parte di primo piano si possono citare il jôruri (musica del teatro classico dei burattini), il nagauta (musica del teatro kabuki) ed il jiuta (musica vocale da camera).
Lo shamisen viene suonato con un grosso plettro di legno chiamato bachi; il suonatore siede in posizione seiza e tiene lo strumento in diagonale, appoggiandone la cassa sulla coscia destra.
Le tre corde possono essere accordate in tre modi:
- 4a e 5a (es. DO – FA – DO)
- 5a e 4a (es. DO – SOL – DO)
- 4a e 4a (es. DO – FA – SIb)
Il brano che ascoltiamo è chiamato Tsugaru aiya bushi [Canto aiya di Tsugaru]. Aiya è uno stile e tsugaru è la regione all’estremo nord di Honshu (l’isola principale dell’arcipelago giapponese) e corrisponde all’odierna prefettura di Aomori.
Si tratta di musica tradizionale, ma in Asia non c’è distanza fra musica tradizionale e repertorio classico (per es., secondo la visione asiatica, i valzer di Strauss sarebbero musica tradizionale austriaca, ma anche gli autori molto caratterizzati geograficamente, come i compositori russi, alcuni spagnoli e altri ancora, verrebbero inseriti nella musica tradizionale).
In questo genere musicale si lascia spazio anche all’improvvisazione, ma questa esecuzione è abbastanza misurata.
Questo video mostra bene la tecnica esecutiva.
L’esecutore è Yu Takahashi, in concerto presso la Chiesa di Sant’Ambrogio, Milano, 16 febbraio 2012.
Koto
Kazue Sawai esegue un brano al koto.
Questo strumento è un cordofono appartenente alla famiglia della cetra introdotto dalla Cina in Giappone durante il periodo Nara (710 – 794 d.C.).
All’inizio il koto venne usato per lungo tempo solamente presso la corte imperiale. Questo stato di cose cambiò nel XVII secolo soprattutto ad opera di Yatsuhashi Kengyô (1614-1684) che sì applicò a rendere il koto maggiormente accessibile presso la popolazione. Ideò una nuova accordatura, detta hirajoshi, che divenne una delle più utilizzate e creò composizioni divenute dei classici della letteratura per questo strumento come Rokudan e Midare, che è il brano che ascoltiamo qui.
Si tratta quindi di un esempio di musica classica giapponese del ‘600.
È interessante osservare come la musica classica giapponese sia altamente formalizzata. Questo brano, per esempio, appartiene alla categoria dei danmono che è una forma classica di brani per koto solamente strumentali, composti da diverse sezioni chiamate dan [lett. “gradino, ripiano, livello”]. Nella forma più tradizionale di danmono, ogni dan è formato da 104 haku [pulsazione, battito, unità fondamentale di misura del tempo] e costituisce una variazione su un unico tema.
Questo brano, però, fa eccezione perché i vari dan non sono formati dallo stesso numero di beat e proprio per questo si intitola Midare [乱 lett. “confusione, caos”].
Per quanto riguarda il koto, il corpo dello strumento è costituito da una cassa armonica, lunga circa due metri e larga tra i 24 ed i 25 cm, costruita, in genere, con legname di Paulownia (Paulownia Tomentosa o kiri, in giapponese). Su di essa corrono tredici corde di uguale diametro ed aventi stessa tensione, ognuna delle quali poggia su di un ponticello mobile (ji, 柱).
Questo fatto va sottolineato perché è un sistema completamente diverso da quello occidentale in cui si usano corde di vario diametro e tensione.
Qui le corde sono tutte uguali e tirate alla stessa tensione. Per ottenere note diverse, quindi, l’unico sistema è variare la lunghezza della corda. Infatti ognuna di esse ha il proprio ponte che viene piazzato in punti diversi.
Le corde, poi, sono pizzicate con la destra, mentre la sinistra non suona, ma crea abbellimenti sotto forma di vibrati e di veloci glissati, sia nell’attacco che in coda al suono, ottenuti premendo la parte della corda che sta oltre il ponte. Naturalmente il fatto che tutte le corde abbiano la stessa tensione facilita questo compito perché così una data pressione genera un glissato della medesima estensione su ogni corda, cosa che non avverrebbe se la tensione fosse diversa.
L’esecutore si pone in ginocchio o seduto di fronte allo strumento e pizzica le corde tramite l’ausilio di tre plettri (tsume) fissati al pollice, all’indice ed al medio della mano destra.
Lo spartito per koto si presenta generalmente sotto forma di intavolatura che si legge dall’alto in basso e da destra verso sinistra (il senso di lettura normale anche nel giappone moderno: i libri sono impaginati così, sebbene ormai sia diffusa anche la scrittura orizzontale).
Il koto viene paragonato al corpo di un drago cinese disteso. Per tale motivo, le diverse parti di cui esso è formato assumono dei nomi che ricordano quelle del mitico animale, come ad esempio:
- Ryuko (schiena del drago): è la parte superiore della cassa armonica,
- Ryuto e ryubi (testa e coda del drago): sono le estremità dello strumento.
Kazue Sawai è considerata uno dei massimi virtuosi viventi di questo strumento.
Ora, invece, vediamo la stessa interprete impegnata in una composizione contemporanea per koto.
Compositore: Tadao Sawai (Composto nel dicembre 1988. Per commemorare il decimo anniversario della fondazione dell’Istituto Sawai Koto. Eseguito per la prima volta da Kazue Sawai)
Lo strumento a 17 corde, inventato da Michio Miyagi, ha una storia di circa 70 anni (nota: all’epoca della sua composizione), e ha superato di gran lunga il suo scopo originale come supplemento per basso, ed è stato recentemente utilizzato come strumento solista . Naturalmente, il processo per arrivare a questo punto è dovuto ai grandi sforzi degli esecutori, dei compositori e delle persone che creano gli strumenti, ma la profondità e la forza del suono della 17 corde, così come la lunghezza del suono persistente, sono fattori importanti. Il suo fascino continuerà a catturare i cuori delle persone. E ora sembra che Jushichigen stia diventando il fiore all’occhiello del mondo musicale giapponese. [Testo: Tadao Sawai, Trad. Google]
Opere buone
ANSA – Tokyo, 14/07/2007
Un misterioso personaggio da circa un mese sperpera il suo patrimonio riempiendo di banconote i bagni pubblici in Giappone. Il denaro finora ritrovato dagli avventori nelle toilette pubbliche e’ di decine di migliaia di euro. Il ‘cerimoniale’ osservato dall’uomo misterioso e’ sempre lo stesso: una banconota da 10.000 yen (60 euro) e’ chiusa in una busta accompagnata dalla scritta ‘opere buone’. All’interno oltre al denaro c’e’ un messaggio che esorta a compiere buone azioni.
L’isola di Hashima
L’isola di Hashima (端島 trad. qualcosa come isola di confine o isola del bordo), chiamata anche Gunkanjima (軍艦島 trad. isola nave da guerra, a causa delle coste cementate e la forma), è una delle 500+ isolette disabitate nei pressi di Nagasaki, nella parte sud-ovest del Giappone.
Il fatto è che, invece, fino al 1974, era uno dei luoghi a più alta densità abitativa del globo. L’isola fu acquistata dalla Mitsubishi nel 1890, con l’idea di scavarvi una miniera di carbone.
Nel 1916 vennero costruiti gli alloggi per i lavoratori e la miniera venne sfruttata fino al 1974. Nel 1959 la popolazione raggiunse i 5000 abitanti circa, cioè 835 abitanti per ettaro, che equivalgono alla pazzesca densità di 83500 ab. per Km2 (1 ettaro = 0.01 Km2; per confronto, la regione italiana con la densità maggiore è la Campania: 421 ab./Km2).
Il verde era quasi completamente scomparso dall’isola, tanto che qui venne girato il film Midori Naki Shima (The Greenless Island, 1949). Un altro famoso (in Giappone) film ambientato in Gunkanjima è il recente seguito di Battle Royale: Battle Royale II, The Requiem (2003).
Negli anni ’60, poi, iniziò il declino del carbone e l’isola venne gradualmente abbandonata, fino alla sua chiusura definitiva nel 1974 (chiusura anche a qualsiasi tipo di visita perché pericolosa: io l’ho visitata a suo tempo approfittando del caos creato da una manifestazione di Greenpeace).
Stranamente, non è stata fatta nessuna riconversione. Gli edifici sono stati abbandonati all’usura del tempo e sono ormai dei ruderi spettrali che stanno assumendo un valore di archeologia industriale al punto che il governo pensa di riaprirla (una decisione era attesa per Aprile, ma non ne so niente).
Trovate delle belle foto qui.
Yuki
Un altro brano di Takemitsu con sonorità decisamente notevoli.
Questo pezzo fa parte della colonna sonora del film Kwaidan (怪談, Kaidan: Storie di Spettri) diretto da Masaki Kobayashi nel 1964, un lavoro considerato un po’ come The Twilight Zone giapponese, anche se questa definizione non è del tutto appropriata. Si tratta di quattro storie di spettri tratte dalle raccolte di leggende giapponesi di Lafcadio Hearn.
Qui la musica di Takemitsu si fa onirica e perde anche le sue connotazioni orchestrali. Non ci è dato conoscere la formazione, anche perché questi brani non sono pensati per essere eseguiti dal vivo. Si indovinano sonorità percussive e di strumenti tradizionali giapponesi, ma a tratti il suono fa anche pensare a qualche elaborazione elettronica.
Grande lavoro di sound design per un film affascinante.