Six Japanese Gardens

Sei brevi brani per percussioni ed elettronica di Kaija Saariaho. In ciascuno dei brani l’autrice sviluppa un aspetto ritmico particolare collegato a quello specifico materiale musicale.

Le sonorità strumentali sono arricchite da suoni naturali, canti rituali e altri suoni percussivi eseguiti dal percussionista giapponese Shinti Ueno, registrati e modificati dall’elettronica.

Kaija Saariaho – Six Japanese Gardens (1993/95)

Lezrod, again

Un altro lavoro di Lezrod (aka David Velez) pubblicato, come al solito da test tube. Questa volta si tratta di 10 pezzi che accompagnano altrettanti video da proiettare in un sushi bar a Las Vegas. Il tutto con il significativo titolo di  fear and loathing in rio/tokyo (paura e disgusto in rio/tokyo).

Data la destinazione, tutti i brani durano 3 minuti e alcuni hanno un carattere tonale che di solito è assente dalle composizioni di Lezrod, ciò nonostante l’atmosfera rimane quella tipica di questo musicista.

Le note di Lezrod:

By the end of Spring I was hired to compose 10 pieces for a series of 10 videos to be displayed in a Brazilian Sushi Restaurant in Las Vegas. Even though the nature of this pieces is abstract, the fact that they have to work with the videos (produced by Daniel Roversi) and that they were going to be performed in a restaurant somehow brought back ‘musical’ elements which were part of my early work. After I finished them I felt it might be interesting to publish this material that if it wasn’t for this project I wouldn’t have ever done it.

The videos were based on cultural elements from both Brazil and Japan but I wanted to make something more universal and I feel my love for soundtracks and film music in general, were particularly influential here. The soundtrack projects of people such as Ry Cooder, Quincy Jones, Lalo Schifrin, Herbie Hancock, Vangelis, Edward Artemyev, Vincent Gallo and John Frusciante sure served here as inspiration.

The title of this release pays tribute to film director Terry Gilliam and novelist/journalist Hunter S. Thompson and their movie/book ‘Fear and loathing in Las Vegas’ where a unique atmosphere of delirium and disregard is built through the entire story, creating confusion between the sometimes-vague line between reality and imagination. This confusing atmosphere were present on the videos, as Daniel Roversi allowed contradictory elements to play together, as the relationship between the video themes and the relation between Japan and Brazil culture required certain level of abstraction to work altogether.

Also by the time I composed some of the pieces for this release I had a at home some of Luis Buñuel movies which I am sure inspired this work as well. This release pays tribute to him and in particular to his movie ‘Le Charme discret de la bourgeoisie’ where this delirium and disregard atmosphere can be found as well. This is a soundtrack for a move composed by 10 chapters, 10 stories that the listener could write, direct, shoot and perform, on his own mind.

Come al solito i brani sono licenziati in Creative Commons e possono essere scaricati qui.

Alcuni estratti. Provateli per cena.

36 Chambers
Ciudad sin Dios

Exotica

UBUWeb ha messo in linea una serie di film di Mauricio Kagel. Li trovate qui

Nel frattempo, ho trovato su YouTube questa esecuzione di Exotica (1971-1972), una composizione in cui sei esecutori di tradizione e cultura europea sono costretti a confrontarsi con musica e cultura extra-europea. In Exotica gli esecutori non sanno suonare gli strumenti che si trovano a maneggiare (almeno 10) perché provengono tutti da culture non europee. Proprio per questo la partitura prescrive essenzialmente durate e dinamiche, mentre la linea melodica è generalmente una monodia oppure si limita a intervalli vicini.

La partitura impone anche di cantare, a volte emettendo suoni più o meno snaturati. La voce è una parte molto importante del brano, tanto che, nei punti in cui un interprete sia impossibilitato ad eseguire insieme le parti strumentali e vocali, quest’ultima è prioritaria.

Esistono inoltre 12 nastri su cui è incisa autentica musica extra-europea, che gli esecutori devono imitare con un grado di accuratezza variabile, prescritto in partitura per i vari parametri.

Performer — Christoph Caskel, Michel Portal, Siegfried Palm, Theodor Ross, Vinko Globokar, Wilhelm Bruck.

Questa immagine vi dà un’idea di come erano conciati gli esecutori alla prima esecuzione

Kagel – Exotica (1972, Vinyl) - Discogs

Lo Spazio tra le Pietre

sonogramma

Ho composto Lo Spazio tra le Pietre per la manifestazione “Musica e Architettura”, organizzata dal Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda il 18/10/2008.

Dal mio punto di vista, i rapporti fra musica e architettura non si esauriscono nella pur importante questione della progettazione di luoghi per la musica, ma hanno aspetti più profondi che investono certamente la composizione e arrivano fino alla fruizione.
Se, da un lato, un edificio esiste staticamente nello spazio, non può essere apprezzato nella sua totalità senza un intervallo temporale. La sua forma globale non è mai evidente nella sua interezza, nemmeno dall’alto. Si forma nella memoria di chi ci si è avvicinato da molti lati e ha visto la sua forma perdersi, mentre i particolari costruttivi e poi i materiali diventano via via più evidenti. Analogamente, un brano musicale esiste staticamente in una qualche forma di notazione e si svela nel tempo. L’ascolto temporale ne evidenzia, via via, la struttura interna, gli elementi costitutivi e i dettagli.
Così, è possibile pensare un brano musicale come un oggetto statico e un edificio come una struttura dinamica. Ma è da un punto di vista compositivo che le analogie si fanno più strette.

Sotto l’aspetto compositivo, quando lavoro con suoni completamente sintetici che non derivano da alcun suono reale, come nel caso di questo brano, generalmente seguo un approccio top-down. Dapprima immagino una forma, spesso in termini spaziali e poi costruisco i materiali e i metodi con cui realizzarla.
Così, come nell’architettura, per me comporre un brano significa costruire i materiali di base partendo dalle componenti minime e modulare il vuoto temporale e spaziale che li separa, cercando di assemblarli in un ambiente coerente.
I parametri che manipolo, come nella musica strumentale, sono temporali e spaziali, ma, a differenza della musica strumentale, si estendono a livello microscopico. Così, la manipolazione del tempo non si ferma alle durate delle note, ma arriva ai tempi di attacco e decadimento delle singole componenti di ogni suono (le parziali armoniche o inarmoniche). In modo analogo, a livello spaziale il mio intervento non si limita all’intervallo, che determina il carattere delle relazioni armoniche, ma si spinge fino alla distanza fra le parziali che formano un singolo suono, determinandone, in una certa misura, il timbro.
Il punto, però, è che, nella mia visione della composizione, molto più importanti dei materiali sono i metodi. Anzi, anche gli stessi materiali, alla fine, derivano dai metodi. Il mio problema, infatti, non è mai quello di scrivere una sequenza di suoni e svilupparla, bensì quello di generare una superficie, una “texture”, avente una precisa valenza percettiva.
In realtà, questa è texture music. Anche quando credete di ascoltare un singolo suono, in realtà ne ascoltate minimo 4/5. E non parlo di parziali, bensì di suoni complessi, ognuno dei quali ha da un minimo di 4 parziali, fino a un massimo di circa 30. Per esempio, il SOL# iniziale, che nasce dal nulla e poi viene circondato da altre note (FA, SIb, FA#, LA) è composto da 8 suoni con pochissima differenza di altezza che si rinnovano ogni 0.875 secondi. Così si crea la percezione di un suono singolo, ma dotato di un certo tipo di movimento interno.
Texture music, micro-polifonia che si muove molto al di sotto della soglia del temperamento base 12. In effetti, qui lavoro con una ottava divisa in 1000 parti uguali e in certi punti del brano coesistono migliaia di suoni complessi contemporaneamente per generare un singolo “crash”.
Ne consegue che non è possibile scrivere a mano una “partitura” del genere. Ho ideato e programmato personalmente un software compositivo chiamato AlGen (AlgorithmGeneration) mediante il quale io piloto le masse e il computer genera il dettaglio (i singoli suoni).
AlGen esisteva già nel 1984 ed era stato utilizzato per comporre Wires, a cui questo brano deve molto, ma, mentre a quei tempi era solo un blocco di routine che il sottoscritto aveva collegato al programma di sintesi Music360 di Barry Vercoe (l’antenato diretto dell’odierno CSound), per questa occasione è stato completamente riscritto ed è un software a se stante. Nella versione odierna incorpora varie distribuzioni probabilistiche, metodi seriali, algoritmi lineari e non-lineari per controllare meglio le superfici generate e soprattutto la loro evoluzione (per una volta, i frattali non c’entrano, per ora).
Ciò nonostante, AlGen non incorpora nessuna forma di “intelligenza”. Non prende decisione in base all’armonia, al contesto, eccetera. È un cieco esecutore di ordini. Pesca in un insieme probabilistico o calcola funzioni e genera note, ma fortunatamente non pensa e non decide. Quelli che tratta sono puri numeri e non sa nemmeno se sta calcolando durate, densità o frequenze.
Di conseguenza la completa responsabilità del risultato finale è attribuibile solo al sottoscritto. Quando ascolto una massa sonora  e riguardo i numeri che ho passato al programma, capisco perfettamente perché suona così ed è solo per quello che posso fare le necessarie correzioni.

Lo Spazio tra le Pietre è stato composto nel mio studio in settembre – ottobre 2008 e sintetizzato in 4 canali mediante CSound. Algoritmo di sintesi: FM semplice.
Partitura CSound generata grazie al software di composizione assistita AlGen realizzato dall’autore.

L’intero brano è pensato come una struttura spaziale. Il suo skyline è evidente del sonogramma a inizio pagina e la sua struttura. come alternanza di forme, pieni e vuoti, è ben visibile nell’ingrandimento di un frammento di circa 1 minuto (qui sotto, come al solito potete cliccare sulle immagini per ingrandirle).

Mauro Graziani – Lo Spazio tra le Pietre (2008), computer music

Dimenticavo: con le normali cassettine da computer ne sentite all’incirca la metà.

sonogramma frammento

Nocturne

Nocturne by Gordon Green
an improvisation embellished in real time with MIDI processing software, uses the resonance of the piano to create a still, nocturnal atmosphere wherein different harmonies can be mulled over in a leisurely way. The software embellished the improvisation by cycling through repeating sets of intervals, and fragments were recalled and varied as the improvisation unfolded. The original idea for this came from the bird-call transcriptions in Olivier Messiaen’s piano music, which often use more sophisticated variations of similar techniques.

Gordon Green’s (b. 1960) varied influences include the work of Charles Ives, Morton Feldman, and Olivier Messiaen, as well as Indian music, cartoon music, and John Philip Sousa marches. His music combines the expressivity of improvised gestures with the sonic capabilities of electronics, and is informed by his work as a painter and software developer.

A native of Boston, Massachusetts, Green studied music at Vassar College in Poughkeepsie, New York and computer art at the School of Visual Arts in New York City, with additional studies at the Berklee College of Music, Juilliard School, Mannes College of Music, and New York University. His principal teachers were Rudolph Palmer and Richard Wilson. Green has been commissioned by pianist Frederick Moyer, the Ethos Percussion Group, and Schween-Hammond Duo, and supported by the Jerome Foundation, Millay Colony, and W.K. Rose Fellowship in the Creative Arts. His music can be found on the Capstone, Centaur, and JRI labels; his recent release, Serpentine Sky, is a surround-sound recording of music for multiple computer-controlled pianos.

Gordon Green – Nocturne (2001), for piano and computer-controlled Disklavier grand piano – Gordon Green performer

Ylem

Ylem è un termine usato da Gamow, Alpher e dai loro associati nei tardi anni ’40 per dare un nome a una ipotetica sostanza primordiale o a uno stato condensato della materia che ha dato origine alle particelle subatomiche e agli elementi come li conosciamo oggi. Era il nome che Gamow e soci davano alla “cosa” che presumibilmente esisteva immediatamente dopo il Big Bang insieme a una grande quantità di fotoni ad alta energia, il cui residuo termico oggi si osserva sotto forma di Radiazione Cosmica di Fondo.

Il termine deriva da un vocabolo dell’inglese medioevale che designa qualcosa come “primordial substance from which all matter is formed [wikipedia]” e a sua volta discende dal greco hylem, “materia”.

Ylem, per 19 esecutori, composto da Stockhausen nel 1972, è una allegoria dell’esplosione primordiale e della teoria oscillatoria dell’universo. Prende la forma di una partitura in gran parte indeterminata, formata da solo testo, senza alcuna notazione, secondo la quale gli esecutori iniziano concentrati intorno al pianoforte, per poi “esplodere” suonando la nota centrale del proprio strumento con densità via via minore, mentre i 10 esecutori di strumenti portatili si allontanano dal punto centrale fino a disporsi intorno al pubblico.

Inizia poi il processo inverso: la musica gradualmente si addensa egli esecutori tornano a concentrarsi per dare vita ad una nuova esplosione. L’insieme delle istruzioni, comunque, è più complesso di questa mia breve semplificazione. Prescrive varie azioni, fra cui il passaggio di un segnale costituito dalla sillaba sacra HU (il nome del senza-nome), l’utilizzo di un ricevitore a onde corte e alcune istruzioni specifiche per i 4 esecutori di strumenti elettronici (sintetizzatori).

Colpisce anche il fatto che si tratta di un brano ad altezze quasi totalmente invarianti. La maggior parte degli strumentisti, infatti, si concentra su una singola nota o un accordo, eseguendo al massimo brevi fluttuazioni in un suo intorno.

Karlheinz Stockhausen – Ylem (1972), per 19 esecutori

Zyklus

Zyklus für einen Schlagzeuger (“Cycle for a percussionist”) is a composition by Karlheinz Stockhausen. It was composed in 1959 at the request of Wolfgang Steinecke as a test piece for a percussion competition at the Darmstadt Summer Courses, where it was premièred on 25 August 1959 by Christoph Caskel. It quickly became the most frequently played solo percussion work, and “inspired a wave of writing for percussion” (Kurtz 1992, 96).

The title of Zyklus is reflected in its form, which is circular and without a set starting point. The score is spiral-bound, and there is no “right-side up”-it may be read with either edge at the top. The performer is free to start at any point, and plays through the work either left to right, or right to left, stopping when the first stroke is reached again. (In this way, it is an example of what Stockhausen calls “polyvalent” form.) The instruments are arranged in a circle around the performer, in the order they are used in the score. The notation is only conventional in some details, and an early review of this first graphic score by Stockhausen remarked that “The initial impression is that one is looking not at a score, but at a drawing by Paul Klee” (Lewinski 1959). Zyklus contains a range of notational specificity, from exactly fixed at one extreme, to open, “variable” passages at the other. Stockhausen composed these elements using a nine-degree scale of statistical distribution, but states that the listener is not “supposed to identify these nine degrees when you hear the music, nevertheless the music that results from such a method has very particular characteristics. . . .” (Stockhausen 1989, 51).

In principle, the percussionist decides on the starting point and direction through the score only at the moment of commencing a performance, but in practice this is almost universally worked out well in advance. Only the percussionist/composer Max Neuhaus claims to have consistently given “spontaneous” versions (Neuhaus 2004).
[text from wikipedia]

Il manoscritto della 9a

nonaSul sito della Biblioteca di Stato di Berlino è in linea il manoscritto originale della 9a Sinfonia di Beethoven. Il sito è solo in tedesco; cliccate “Digitale Abbildungen” nel menu a sin. per aprire l’indice che permette di andare all’inizio di ciascun movimento.

Ecco una delle pagine con la famosa melodia, con tanto di testo autografo (click per ingrandire). Emozionante.

Potete portarvi a casa l”intero manoscritto in un singolo pdf di quasi 30 Mb (425 immagini) scaricandolo dall’IMSLP.

Intervista Lachenmann

Ermes mi segnala che l’Osservatore Romano ha pubblicato una breve intervista con Helmut Lachenmann, premiato il 3 ottobre dalla Biennale musica di Venezia con il Leone d’Oro alla carriera con la seguente motivazione:

Amatissima e controversa, la musica di Helmut Lachenmann ha avuto ed ha una grande influenza sui compositori di almeno due generazioni. La concezione molto radicale e utopica a un tempo di un suono disseccato, spogliato di peso semantico fino a raggiungere uno stato che si può definire “minerale”, ha emblematicamente siglato le estreme conseguenze dell’avanguardia musicale strutturalista. Ma contemporaneamente, e questo è l’aspetto forse più interessante e anche sorprendente, ha aperto un nuovo mondo sonoro forzando provocatoriamente i limiti della percezione. Nata da una concezione negativa dell’orizzonte semantico, ha infine dischiuso una nuova idea di linguaggio e, per così dire, una nuova forma di “verginità” della materia sonora

L’intervista, nella sua, brevità, è simpatica e il premio a Lachenmann è sacrosanto (appunto 🙂 ), ma la motivazione mi inquieta un po’.

Se da un lato non ho nulla da eccepire al premio, dall’altro mi è difficile non rilevare che la motivazione suddetta si adatterebbe benissimo a qualche compositore di musica elettronica o, meglio, digitale. Musica che, invece, viene generalmente ignorata, o al massimo sopportata, dalla gran parte delle rassegne nazionali.

In anni recenti, anzi, abbiamo assistito alla ripresa e al “porting” (per usare un termine informatico) in area strumentale di idee sviluppate dall’elettronica e dal digitale. La stessa musica spettrale, che, per carità, ha prodotto opere notevoli nelle mani di compositori come Grisey, Murail, Radulescu e quant’altri, altro non è che un adattamento strumentale tecnicamente improbabile di idee sviluppate e utilizzate già da anni nella musica digitale.

E dico “tecnicamente improbabile” perché è assurdo chiedere a un violinista di eseguire un RE# crescente di 28 cents, in quanto 23° armonico di un LA 110 Hz, anche se, bontà sua, approssimato al quarto di tono. Gli strumenti classici non sono fatti per questo e a mio avviso, dal punto di vista tecnico, l’intera nozione di musica spettrale strumentale è soltanto un’idea, un concetto, una fonte di ispirazione. Si tratta, in pratica, di un ideale che viene tradotto per approssimazione in una partitura che, a sua volta, è tradotta in modo approssimato in esecuzione. L’unico modo di farlo davvero è utilizzare un sistema digitale, cosa che, del resto, è stata fatta ben prima da persone come, per es., Truax e Risset.

Lo stesso discorso può applicarsi, in fondo, a cose come la fasce sonore di Ligeti (che resta sempre un grande). Nello stesso modo, la musica concreta strumentale di Lachenmann è bellissima, ma, secondo me, non ha affatto “aperto un nuovo mondo sonoro forzando provocatoriamente i limiti della percezione”. Elaborazioni di suoni strumentali e non che fanno la stessa cosa ne esistono da sempre nella musica concreta analogica e digitale.

Quindi, senza alcuna vena polemica, mi chiedo per quanto ancora una gran parte del mondo musicale accademico si ostinerà a restare per quanto possibile unplugged e se questo dipenda da ragioni estetiche o semplicemente dal fatto che la musica elettronica, digitale, via laptop, etc., scardina meccanismi di mercato consolidati assicurati dalla triade compositore – editore – interprete.

In altre parole, è soltanto l’impossibilità di disporre di una partitura standard per gli strumenti elettronici a generare il problema o c’è dell’altro?

Zavoloka

Kateryna Zavoloka is an experimental electronic music composer and graphic designer from Kyiv city, Ukraine.

Zavoloka mainly explores digital and analogue synthesis, sometimes she uses recorded herself songs, separate phrases, words, instruments, etc.

One of her big influences is the traditional Ukrainian culture. She traveling by Ukraine and recording native traditional ethnic folk songs, which singing old people in country-sides of Ukraine. The aim is to reach interplay between the electronic context and rough unprocessed voices that common people sing with. This produces a very ‘human’ outcome (owing to the spirit that unaffected voices bring), yet staying electronically saturated, post -sounding and edgy.

Zavoloka’s music consists of intensive varied sound motions and unexpected combinations piped into carefully controlled electronic flows. Never try to predict anything, it can turn out in what one just cannot predict. Some of Zavoloka’s friends amongst musicians admit, that her music is very unusual from the structural point of view.When asked about the motive of building such a diverse and complicated constructions, she explained her intention to produce more and more frank music that could reflect her momentary shades of feelings and emotions. She also pointed out that her music is intended to be a natural expression of her private freedom.

  • exhale (2008) – mp3
  • inhale (2008) – mp3
  • rankova – mp3