Una delle non molte composizioni di Steve Reich e di tutta la minimal music che mi piacciono veramente.
Per me, il problema del minimalismo è che si basa su una idea che non ha mai avuto un vero sviluppo. In altre parole, questa musica si basa essenzialmente sulla sovrapposizione di pattern che, nel tempo, possono
cambiare melodicamente, per esempio sostituendo via via le note (Glass) o invertendo note e pause (Reich)
cambiare ritmicamente, introducendo, ogni tanto, una mutazione nelle figurazioni
cambiare timbricamente, sostituendo gradualmente i gruppi strumentali che eseguono i vari pattern
sfasarsi temporalmente accelerando o rallentando il metro (a volte usando metronomi diversi fin dall’inizio)
Non mi sembra ci siano altri espedienti e a mio avviso, il tutto diventa estremamente prevedibile. Ciò non toglie che, a volte, il risultato possa essere affascinante e coinvolgente, ma non si può continuare per una vita così.
Il primo movimento di Sud di J.C. Risset, è un bell’esempio di composizione elettroacustica che sfrutta ed elabora alcuni elementi del paesaggio sonoro che, ad onta delle immagini del video, è quello della Francia meridionale (NB: il video non ha niente a che fare con il brano).
La composizione è del 1985. Qui abbiamo solo la prima sezione. Più sotto, le note di copertina
The first movement of Sud may be perceived as a sequence of soundscapes and sonic fields represented as the subsections shown in figure I below. Transitions between subsections are characterised by subtle transformations of character and juxtaposition of extrinsic identities, as discussed below. The various subsections cohere into sections that suggest a general construction plan for the movement.
The first section (0’00 – 2’49) presents the sonic subjects of the movement, indeed many of the subjects of the composition. It is dominated by mimetic discourse and the manipulation of environmental soundscapes. The transition between sections I and II is the only instance within Sud in which an abrupt interruption is perceived. This pause creates expectation regarding the continuation of the musical discourse. The previous development suggested a sequence of soundscapes clearly connected with extrinsic identities. The second section (2’49 – 5’44) then presents a sequence of sonic fields that suggest extrinsic identities only at the level of basic structures, being dominated by an aural discourse. The identification of relationships between Gestalten occurs in a much less direct way, inviting the listener to penetrate the abstract world devised by the composer with a different approach. The third section (5’44 – 9’45) marks a return to the manipulation of environmental soundscapes, being characterised by a balance between mimetic and aural discourses.
No, non è l’ennesimo appello per una nuova politica, ma la constatazione che nel mondo c’è qualcuno che si diverte a spostare le canzoni da maggiore a minore o viceversa.
In realtà, il fatto che il modo maggiore comunichi felicità, gioia e che il minore sia più adatto alla tristezza e alla malinconia è un po’ più di una credenza. Un ricercatore ha scoperto che l’intervallo di terza minore compare nella parlata degli attori quando vogliono comunicare tristezza (qui l’articolo su Scientific American), almeno nella cultura occidentale. Nella nostra musica, questa connotazione dei modi è in uso fin dal 17mo secolo.
Ora scopro che qualche buontempone impiega tempo e risorse per cambiare il modo delle canzoni producendo curiosi quanto, a mio avviso, discutibili risultati.
Ecco, per esempio, Hey Jude, spostata da maggiore a minore.
Notate che il farlo sarebbe semplice se il pezzo venisse rieseguito, ma questi lo fanno editando digitalmente il file originale e ri-intonando solo le note e gli accordi che vanno cambiati, la qual cosa non è così semplice.
Il principale autore di questo rifacimento è tale Oleg Berg, musicista ucraino, che ha varato il progetto Major versus minor.
Ancora più strana suona The House of Rising Sun
Vi riporto questa cosa come curiosità. Ovviamente non sono contrario. Ognuno è padrone di usare il suo tempo come vuole. Mi lascia solo un po’ perplesso il fatto che una cosa che facevamo per gioco quando eravamo al liceo venga proposta come un’idea interessante e soprattutto che venga messa in vendita. $10 per l’album e $1 per il singolo brano, come se fosse roba sua. Oltretutto, cambiare un brano di un autore senza il suo permesso e venderlo non è una cosa simpatica. Tecnicamente è anche un reato. Ora, a me del diritto d’autore interessa poco. I miei brani sono in CC, ma se qualcuno prende un mio pezzo cambiando qualcosa e lo vende, mi inca**o anch’io.
Visibile in grandi dimensioni su Vimeo (anche su You Tube, ma io in genere preferisco Vimeo: i video sono meno oppressi dal contorno e più valorizzati. Anche la qualità video mi sembra migliore)
Art Direction: Mat Maitland
Direction: Smith & Read / Mat Maitland
Animation: Natalia Stuyk
Production: Alastair Coe at Big Active
Music: ‘Mädchen Amick’ by Buffalo Tide
Se c’è qualcuno a cui Dio deve qualcosa, è J. S. Bach
Emil Cioran
Si tratta di un film di Francesco Leprino che ricostruisce la vita e l’opera del vecchio Bach. Ecco la descrizione dell’autore:
Sul nome B.a.c.h. è un film che si svolge su più piani strettamente interrelati e intercalati: il piano dell’esecuzione musicale dell’Arte della Fuga con elaborazioni strumentali per diversi organici, il piano dell’esplorazione di tutti i luoghi bachiani, quello del racconto biografico, quello dell’analisi discorsiva dell’Arte della fuga raccontata a più voci fra i luoghi bachiani dagli stessi personaggi, quello delle interviste ai vari esperti sugli aspetti del fenomeno bachiano (biografico, numerico-pitagorico, logico-matematico, esoterico, spirituale, profano, umano…), quello di Bach stesso, che in livrea si aggira muto nei “suoi” luoghi e ci guarda, dal remoto passato e dal lontano futuro al tempo stesso (interpretato da Sandro Boccardi, emblematico personaggio che ha promosso la musica antica in Italia fondando l’ultra trentennale festival “Musica e Poesia a San Maurizio”) e a cui dà voce il più grande attore in lingua tedesca: Bruno Ganz. La voce guida è quella altrettanto celebre di Arnoldo Foà e Sonia Bergamasco, insieme ad altri valenti attori che “interpretano” i personaggi principali della vita di Bach: il figlio Carl Philip Emanuel, autore del necrologio, Forkel, primo biografo, Anna Magdalena, la devota consorte, i severi superiori… tutti personaggi che costituiscono i testimoni di ieri.
Testimoni di oggi sono invece i personaggi intervistati, fra i più autorevoli in campo bachiano: Enrico Baiano, eccellente clavicembalista, Alberto Basso, che ha scritto il monumentale Frau Musika, Hans Eberhard Dentler, musicista e studioso, che nel suo volume su l’Arte della fuga ne ha decodificato il livello pitagorico-numerico, Ton Koopman, massimo interprete e direttore specializzato nelle esecuzioni bachiane, Douglas Hofstadter, autore dell’originalissimo saggio Goedel, Escher e Bach e studioso di intelligenza artificiale, Piergiorgio Odifreddi, logico matematico che ha approfondito le relazioni con il linguaggio musicale, Quirino Principe, autorevole musicologo e germanista particolarmente sensibile agli aspetti esoterico-cabalistici, Don Luigi Garbini, responsabile per la musica della Curia di Milano, che ha scritto una pregevole Introduzione alla musica sacra, Benedetto Scimemi, musico-matematico che con le sue lezioni-concerto ha divulgato le complessità delle fughe bachiane, Matteo Messori, clavicembalista e studioso di Bach, che ha inciso l’Arte della fuga al clavicembalo, Luca Cori, compositore e studioso che ha approfondito le relazioni strutturali e simboliche dell’Arte della fuga, Salvatore Natoli, filosofo da sempre interessato alle relazioni fra filosofia e musica. Tutti nomi riuniti in un grande convegno internazionale virtuale che fa il punto sulla figura di Johann Sebastian Bach.
Le elaborazioni strumentali, ad opera di due autorevoli compositori (Ruggero Laganà e Alessandro Solbiati), per quanto si mantengano fedeli alla scrittura bachiana (non aggiungendo né togliendo alcuna nota), sono volta a volta traduzioni ad hoc per il particolare organico, con un’opportuna assegnazione e circolazione delle voci, che ne mette in luce relazioni nascoste e virtuali, prendendo ad esempio la strumentazione del Ricercare a sei da “L’offerta musicale” di Anton Webern.
Infine gli interpreti, oltre 50 musicisti che costituiscono un insieme unico di grandi solisti riuniti appositamente per l’esecuzione di un’opera.
Puntualizzo che io non ho visto il film. Mi sono imbattuto nei vari frammenti posti su You Tube. Alcuni mi piacciono, altri meno. Nell’insieme, però, mi sembra un lavoro abbastanza interessante da segnalarlo.
Con riferimento a questo post del 2006 (La più antica canzone del mondo), un attento lettore mi ha fatto notare come su You Tube, ne esistesse anche una versione interpretata. Ovviamente moderna, fatta da qualcuno che, basandosi sulla trascrizione di quella pagina, l’ha eseguita.
Così possiamo avere un’idea più precisa di come una persona del nostro secolo la può cantare con la nostra prassi esecutiva e il nostro sistema temperato. Naturalmente questo ci dice ben poco su come suonasse in Mesopotamia nel 1400 A.C. perché la loro prassi esecutiva e il loro rapporto con la notazione ci sono del tutto sconosciuti.
Per chiarire, molte partiture che risalgono anche solo al barocco (1600 d.C., cioè 400 anni fa) ci appaiono costituite da una semplice sequenza di note, che, in esecuzione diventa quasi irriconoscibile perché infarcita di abbellimenti e note di passaggio che non venivano notate in quanto facevano parte della prassi esecutiva dell’epoca.
Altro esempio più pop: provate a trascrivere un solo di un chitarrista rock senza il bending (le corde tirate), le pennate, gli abbellimenti della mano sinistra e i leggeri ritardi e anticipi e verrà fuori tutt’altra cosa.
David Bowie compie 66 anni e li festeggia rilanciando il suo sito e riempiendolo di video che vanno dal 1972 ad oggi ripercorrendo 40 anni di intelligente carriera.
Inoltre, dopo 10 anni di assenza, sta preparando il nuovo album The Next Day, atteso per Marzo, da cui è tratto il brano “Where Are We Now?”, lanciato con questo video diretto da Tony Oursler, in cui il viso di Bowie, insieme a quello di una donna sconosciuta, spunta da uno schermo su cui scorrono immagini in bianco/nero di una Berlino anni ’70, quasi da film di Wim Wenders.
Ricordi e nostalgia, anche nel testo:
Prossimo alla fine
Seduto alla discoteca Dschungel
A Nurnberger Strasse
Un uomo perduto nel tempo
Vicino alla KaDeWe
Semplicemente prossimo alla fine
Dove ci troviamo adesso?
Dove ci troviamo adesso?
Nel momento in cui sai
Tu sai
Tu sai
Finché ci sarà il sole
Finché ci sarà la pioggia
Finché ci sarà il fuoco
Finché ci sarò io
Finché ci sarai tu
…ma non per sfizio o per una qualche sfida artistica, ma proprio perché questi non possono fare altro.
E non si tratta di strumenti etnici, ma di strumenti della tradizione occidentale che quindi si misurano con il suono di quelli costruiti da fior di liutai. A sentire il violoncello che ha come cassa armonica un bidone, il risultato mi sembra fin troppo buono.
Miles Davis filmato live a Stoccolma e Karlsruhe nel 1967 con il suo leggendario quintetto (Davis, Shorter, Hancock, Carter, Williams) in due concerti per un totale di circa un’ora.
Si può vedere con risoluzione migliore.
Poi, però, ci si imbatte in quest’altro video girato a Copenaghen nel 1969 con Shorter, Corea, Holland e DeJohnette ed è incredibile sentire come tutto sia cambiato in soli due anni.