Bombardato due volte

Yamaguchi TsutomuIl 4 Gennaio di quest’anno è morto Tsutomu Yamaguchi (山口 彊, 16 March 1916 – 4 January 2010), una delle poche persone ad aver subito due bombardamenti atomici ed essere sopravvissuto.

Yamaguchi era a Hiroshima il 6 agosto 1945 per un viaggio di lavoro per la società per cui lavorava, la Mitsubishi Heavy Industries. Stava scendendo dal tram quando la prima bomba atomica, Little Boy, fu sganciata sulla città.

L’esplosione gli provocò notevoli lesioni, distrusse i suoi timpani, lo accecò seppure temporaneamente e gli lasciò serie ustioni sulla metà superiore sinistra del suo corpo. Fu avvolto in bendaggi per le sue ferite e divenne completamente calvo.

Trascorse la notte successiva in un rifugio antiaereo prima di tornare alla sua città natale, Nagasaki, il giorno seguente. Yamaguchi stava spiegando ai suoi supervisori quanto vicino alla morte era stato, quando, a circa 3 km di distanza, fu sganciata la seconda bomba, Fat Man.

Anche questa volta sopravvisse. Nel 1957 gli venne riconosciuto lo status di hibakusha (vittima dell’esplosione) per la bomba di Nagasaki. Per molti anni tenne per sé la sua storia. Solo a ottant’anni scrisse un’autobiografia riguardante la sua esperienza e fu invitato a partecipare ad un documentario (nel 2006) intitolato Nijuuhibaku (“Bombardati due volte”) sulle 165 persone vittime di entrambe le bombe atomiche giapponesi.

Fuori dal tempo

MandelaParliamo un po’ di Sud Africa in un altro modo.

Questo volto è stato per 27 anni quello di Nelson Mandela. Arrestato nel 1963 e condannato all’ergastolo nel 1964 per tradimento e sabotaggio, cioè per aver guidato l’ala militare dell’African National Congress (Umkhonto we Sizwe, la Lancia della nazione) organizzando la lotta armata anti-apartheid, Mandela rimase in carcere fino al 1990, anno della sua liberazione in seguito al crescere della pressione internazionale.

Nel frattempo, fuori, si stampavano clandestinamente manifesti e magliette con il suo viso, ma, un po’ perché il regime non diffondeva volentieri sue immagini, un po’ perché così si voleva ricordarlo, l’aspetto di Mandela non cambiava mai.

Non era morto. Era in carcere e invecchiava, ma all’esterno, per la gente e perfino per i media, il suo viso era sempre quello. Per 27 anni l’immagine di Mandela è rimasta fuori dal tempo, bloccata a quel 1963, rientrandovi bruscamente solo l’11 Febbraio 1990 al momento della sua relativamente inattesa liberazione. Inattesa perché è vero che la pressione internazionale stava montando e si pensava che prima o poi il regime, sempre più isolato, avrebbe dovuto cedere, ma non si capiva quando sarebbe avvenuto.

nelson mandela freedIn quel giorno, per quelli che non lo avevano più visto dal 1963 e per i moltissimi che non lo avevano mai visto e che di lui conoscevano solo quell’immagine e il messaggio che era riuscito a far uscire dal carcere nel 1980 (“Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l’incudine delle azioni di massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l’apartheid!”; ricordiamo che nel 1985 aveva rifiutato un’offerta di liberazione in cambio della rinuncia alla lotta armata), Mandela è riemerso, con il viso e le movenze tremolanti di un vecchio (aveva 72 anni e il carcere non lo aveva certo aiutato a invecchiare bene).

Da quel momento è ritornato nel tempo. Ha smesso di essere un’icona ed è tornato ad essere una persona. Ovviamente non una persona comune, è sempre un eroe ed è stato presidente del Sud Africa da 1991 al 1999, ma è un uomo che si vede cambiare con il tempo, lo si vede invecchiare, anche se il suo paese, a giudicare dalla statua, imponente ma bruttina, che gli dedicato (qui sotto), lo vorrebbe per sempre giovane.

Mandela

Snorkel Quintet

The SuRRism-Phonoethics net label was a Frankfurt, Germany based non-profit netlabel specializing in Experimental music (The domain is now for sale). Some of their releases could be classified as Electronic art music/Electronic music, industrial or experimental music with sub-genres like Electro-Acoustic, Improvisation & Cut-Up.

Their official launch occurred in 2008, with a release for Undress Béton (aka Jaan Patterson). All their releases are free for download under Creative Commons or Copyleft licenses.

SuRRism-Phonoethics production was very interesting, dedicated to artists who wish to push the boundaries.

Today I am pleased to present you the Snorkel Quintet,  here on Free Music Archive and here on SoundCloud, a Barcelona-based group of six (yes!) players devoted to improvisation and influenced by contemporary music and jazz.

Some excerpt from their album called Snorkel Quintet – Improvisaciones realizadas entre enero-abril 2010 Barcelona, España. Go to this page to download the whole work.

Francobollo Mino Reitano?

francobollo mino reitanoNon voglio sembrare inutilmente polemico, però un francobollo dedicato a Mino Reitano nella Giornata della Musica 2009 mi sembra eccessivo.

E proprio nel 2009 ci sarà un bis per la musica leggera italiana con un francobollo che sarà dedicato a un altro brano di popolarità indiscussa: la canzone di Mina «Tintarella di luna». La Consulta ha dato l’ok a vari francobolli aggiuntivi tra i quali quelli destinati a celebrare il centenario del Corriere dei piccoli, la storica moto italiana «Ducati», il terremoto di Messina del 1908, il centenario della morte di Edmondo De Amicis. La Consulta ha pure integrato il Programma delle emissioni 2009 con francobolli dedicati a Indro Montanelli e Norberto Bobbio, nel centenario della nascita, e a padre Agostino Gemelli, nel cinquantenario della morte.

[Corriere della Sera, 3/1/2008]

Immagino che quello dedicato a Mike Bongiorno sia in preparazione…

Nello stesso giorno, ne hanno emessi atri due dedicati a Nino Rota e Pavarotti. In entrambi i casi anche la grafica fa un po’ pena.

Oltre a quello già citato, un altro francobollo legato alla musica leggera è quello che ricorda il 50mo anniversario di Volare (Nel blu dipinto di blu).

La gerontocrazia commemora sé stessa. Come tale, non è in grado di celebrare non dico il futuro, ma nemmeno la contemporaneità.

Cfr. la serie delle poste inglesi Classic Album Covers – 7 January 2010.

Ecco i dati del francobollo:

Data di emissione: 24 ottobre 2009
Valore: € 1,00
Tiratura: tre milioni di esemplari
Vignetta: il valore di € 1,00 raffigura il cantante Mino Reitano durante un’esibizione;
Su ogni francobollo è riprodotto, in basso al centro, il logo della manifestazione “ITALIA 2009”.
Completano ciascun francobollo le leggende “GIORNATA DELLA MUSICA” e “FESTIVAL INTERNAZIONALE DELLA FILATELIA”, la scritta “ITALIA”, il nome e la data “MINO REITANO 1944 – 2009”,e il valore “€ 1,00”
Bozzettista: Rita Fantini
Stampa: Officina Carte Valori dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., in rotocalcografia
Colori: sei
Carta: fluorescente, non filigranata
Formato carta: mm 30 x 40
Formato stampa: mm 26 x 36
Dentellatura: 13¼ x 13
Foglio: cinquanta esemplari, valore “€ 50,00”

Per Elisa non è di Ludwig van?

In questo articolo, pubblicato su l’Unità online, Roberto Cotroneo ci fa sapere che, secondo lo studioso italiano Luca Chiantore, Per Elisa non sarebbe di Ludwig van, ma si tratterebbe di un falso realizzato da un giovane musicologo tedesco, tale Ludwig Nohl, che nel 1865 scoprì il manoscritto autografo con gli appunti di Beethoven a Monaco di Baviera. Appunti mai portati a compimento, non una partitura.

Lo studioso italiano Luca Chiantore ha presentato all’università di Barcellona i risultati di un lungo lavoro musicologico. Questo lavoro dice una cosa: il più celebre, il più suonato brano musicale per pianoforte, “Per Elisa”, non è stato scritto da Beethoven. Ma fu un’opera, uscita dai cassetti del grande compositore 40 anni dopo la morte, riscritta da un giovane musicologo tedesco Ludwig Nohl, che nel 1865 scoprì il manoscritto autografo con gli appunti di Beethoven a Monaco di Baviera. Si trattava semplicemente di appunti, e non di un’opera per pianoforte compiuta.

Poi Cotroneo continua dicendo che, in fondo, lui lo aveva sempre sospettato:

Ma è stato fino ad oggi un brano inspiegabile per un compositore come Beethoven. Strano, pieno di banalità compositive, persino bruttarello in quella terza parte del brano che sembra scimmiottare Beethoven senza averne né il genio e neppure le capacità. Chiunque ha eseguito le sonate per pianoforte del grande compositore, di fronte a “Per Elisa” rimane costernato.Come poteva aver scritto una cosa del genere, un genio come Beethoven?

Oddio, io al massimo ho pensato che alcune soluzioni erano un po’ banali, ma ho pensato anche che, in fondo, capita a tutti. O magari LvB temeva che la tipa a cui era dedicata (che fosse Therese Malfatti von Rohrenbach zu Dezza o Elisabeth Roeckl) non avrebbe apprezzato una elucubrazione complessa e così tutto lo sforzo sarebbe stato vano…

La stessa notizia, in formato più scarno, sul Corriere.

Il canto degli antenati

Qualche report sui libri letti durante l’estate. Inizio con il bellissimo “Il canto degli antenati” di Steven Mithen (Tit. orig. The singing neanderthal, 2005). Sottotitolo: Le origini della musica, del linguaggio, della mente e del corpo.

Mithen, archeologo britannico, parte da un assunto: la propensione a fare musica è uno dei più misteriosi, affascinanti e allo stesso tempo trascurati tratti distintivi del genere umano. La letteratura scientifica ha sottovalutato questo campo di studio, definendo la musica come una tecnologia, un prodotto, creato unicamente a scopo ludico e ricreativo, e non come un adattamento selettivo. Diversamente, Mithen sostiene che lo studio dell’origine del linguaggio, e più in generale dell’abilità comunicativa dei nostri antenati, dovrebbe essere rivalutato alla luce dell’aspetto musicale, che a sua volta non può prescindere dall’evoluzione del corpo e della mente.

Si tratta di un’idea che per molti musicisti è intuitivamente vera, ma che finora non era stata sostenuta dalla letteratura scientifica e dalla ricerca. Ma l’ipotesi di Mithen va più in là. Citando la recensione di Giuseppe Mirabella su Le Scienze (Apr. 2007):

La musica è un elemento proprio di tutte le culture umane. Strumenti musicali, canti e danze rituali fanno parte di tutte le società, da quelle moderne alle più primitive. E l’enorme diffusione delle abilità musicali ha fatto ipotizzare che questa capacità avesse un ruolo evolutivo. Ma quale può essere stato il vantaggio selettivo offerto dalla musica ai nostri antenati? Steven Mithen, archeologo cognitivo dell’Università di Reading, prova a formulare una teoria molto accattivante, secondo la quale i primi ominidi comunicavano attraverso un linguaggio musicale, un miscuglio tra il linguaggio e la musica come li intendiamo noi oggi. Secondo Mithen, questa forma di comunicazione avrebbe toccato l’apice nei neandertaliani. Che avevano una configurazione delle alte vie respiratorie che avrebbe consentito loro di parlare, ma non disponevano dei circuiti nervosi deputati al controllo del linguaggio. Le difficili condizioni ambientali in cui vivevano e la crescente complessità dei loro gruppi sociali richiedevano uno scambio continuo di informazioni, e quindi si sviluppò un sistema di comunicazione articolato che includeva sia suoni sia gesti del corpo.

Per definire il sistema di comunicazione dell’uomo di Neanderthal, Mithen ha coniato l’acronimo “Hmmmm”, per olistico (holistic), multi-modale, manipolativo and musicale (invidio molto la facilità dell’inglese nella creazione di acronimi):

“Its essence would have been a large number of holistic utterances, each functioning as a complete message in itself rather than as words that could be combined to generate new meanings.”

Probabilmente anche i primissimi Homo sapiens comunicavano in questo modo, ma lo sviluppo del cervello consentì loro di evolvere un vero e proprio linguaggio dotato di una grammatica, cioè di un sistema per combinare i simboli base a formare nuovi significati. L’ipotesi di Mithen è necessariamente di natura speculativa, ma le prove indirette che porta a suo sostegno sono numerose e convincenti.

NB: il libro è effettivamente affascinante, ma non facilissimo. È un trattato scientifico che deve prendere in considerazione, riferire e valutare le ricerche e gli esperimenti condotti finora. Di conseguenza, a tratto, non è discorsivo e scorrevole. Vivamente consigliato a coloro che nutrono un interesse particolare per questo argomento.

21/12/2012

Allora, inviterei a leggere questo breve articolo di Antonio Aimi sulla data fatidica, attorno alla quale sta effettivamente nascendo un crescendo di fantasie e business che saranno vieppiù alimentate dall’uscita del film.

Aimi è effettivamente un importante studioso di arte e civiltà precolombiane. Ha recentemente pubblicato con Raphael Tunesi, Maya e Aztechi per Mondadori, Electa.

L’articolo è apparso oggi su La Stampa.it

21/12/2012: la fine del mondo?
di Antonio Aimi

Anche se un proverbio cinese ricorda che «quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito», nel caso del tormentone «2012 – la fine del mondo» (profezie apocalittiche, film, libri, siti Internet e chi più ne ha più ne metta) sarebbe bene guardare il dito. Anzi la persona che tiene il dito puntato verso il nulla. Ma capire le ragioni di queste mode new age va al di là delle possibilità di chi ha una certa familiarità col calendario maya, l’innocente motore immobile del circo che ci aspetta da qui alla data fatidica. In attesa di vedere come andrà a finire (ovviamente si accettano scommesse) può essere utile verificare che cosa sul 2012 hanno detto i diretti interessati. Innanzi tutto è importante osservare che si tratta sostanzialmente di una estrapolazione dal Conto Lungo, uno dei calendari maya. I Maya, in realtà, non fanno mai riferimento al 2012 né lo associano ad alcuna profezia.

Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire che cos’è il Conto Lungo. Sorprendentemente, in tutta la Mesoamerica – l’area archeologico-culturale che va dalle aree semidesertiche del Messico centro-settentrionale alle foreste pluviali dell’Honduras e della penisola di Nicoya in Costa Rica – veniva utilizzato un sistema calendariale completamente diverso da quelli usati nel resto del mondo. Esso si basava sull’interazione di due cicli: l’anno solare di 365 giorni senza bisestile e il calendario rituale di 260 giorni, basato sui passaggi zenitali (260 + 105) del Sole a Izapa (a circa 14° 55’ di latitudine Nord). Combinandosi tra di loro questi due cicli formavano un periodo di 18980 (minimo comune multiplo di 260 e 365) giorni, vale a dire un periodo di 52 anni, che si potrebbe chiamare con una certa forzatura «secolo mesoamericano». Quando finiva il «secolo mesoamericano», il calendario ricominciava da capo con giorni che avevano lo stesso nome di 52 anni prima. È evidente, dunque, che questo sistema calendariale veicolava una concezione iperciclica del tempo.

Le culture epiolmeche, tuttavia, e, alcuni secoli dopo, la cultura maya del Periodo Classico (300-900 d.C.), affiancarono al tradizionale calendario mesoamericano il Conto Lungo, un ciclo lunghissimo di 5125,36 anni che, pur rimanendo circolare, in realtà, per via della sua lunghezza, trasmetteva una concezione quasi lineare del tempo. All’interno del Conto Lungo una qualsiasi data veniva scritta con cinque numeri che da destra a sinistra indicavano: i giorni, gli uinal (mesi di 20 giorni), i tun (anni di 360 giorni), i katun (periodi di 20 tun) e i baktun (periodi di 20 katun). Ad esempio: 12.19.16.10.3 (corrisponde al 2 agosto 2009).

Il Conto Lungo aveva cominciato a «girare» il 6 settembre 3114 a.C., quando segnava 0.0.0.0.0 (per ragioni che qui è complicato spiegare questa data veniva scritta 13.0.0.0.0, indicando il completamento del ciclo precedente) in un giorno 4 Ajaw del calendario rituale e 8 Kumku’ dell’anno solare. Il bello di questa data iniziale è che era una pura speculazione teorica, perché si riferiva a un periodo sul quale gli inventori del Conto Lungo non avevano nessun dato, dal momento che nel 3114 a.C. le popolazioni epiolmeche e maya ancora non esistevano. Le prime stele col Conto Lungo compaiono oltre tremila anni dopo la data iniziale (la più antica, la Stele 2 di Chiapa de Corzo, è del 36 a.C.). Non si sa perché fu inventato questo nuovo calendario, né quale funzione avesse al suo esordio. È abbastanza chiaro, tuttavia, che durante il Periodo Classico, quando i monumenti e le stele col Conto Lungo costellavano i centri cerimoniali delle città maya, la data iniziale si riferiva alla creazione del mondo, probabilmente alla quarta creazione, quella degli uomini di mais. Inutile dire che i testi associati al Conto Lungo non contenevano fosche profezie sul futuro, ma guardavano, per così dire, al passato, perché celebravano le imprese e i lignaggi dei re maya collocandoli in un piano temporale che rinviava agli eventi del tempo mitico della creazione.

Per molto tempo alla data finale del Conto Lungo non si è prestata molta importanza, ma le cose hanno cominciato a cambiare quando si è scoperto il modo corretto di trovare le correlazione tra il Conto Lungo e il nostro calendario e si è osservato che il Conto Lungo terminerà il 21 dicembre 2012. Questa data, fino all’esplosione della passione per il 2012, è stata considerata dai mayanisti una semplice curiosità, perché nei loro testi i Maya del Periodo Classico non la citano quasi mai e non le attribuiscono un particolare valore apocalittico o epocale. L’unica eccezione è il Monumento 6 di Tortuguero, un piccolo sito agli estremi confini occidentali dell’Area maya, che presenta un testo molto eroso e per questo di difficile lettura, ma che in ogni caso non sembra avere alcun carattere profetico.

La ragione che spingeva i Maya, in genere abbastanza attenti ai momenti liminari del calendario, a non dare molta importanza alla fine del Conto Lungo, a parte il fatto banale che non aveva molto senso pensare a un evento così lontano nel tempo, è molto semplice. La data della fine del Conto Lungo, il 13.0.0.0.0, non replica le condizioni del giorno della creazione, perché cade in un giorno 4 Ajaw del calendario rituale e 3 K’ank’in dell’anno solare. Il discorso, ovviamente, sarebbe stato ben diverso se, invece, avesse ripresentato le date 4 Ajaw 8 Kumku’, il che avrebbe spinto i Maya a considerare il 21 dicembre 2012 un giorno favorevole a una nuova creazione. Quindi gli apocalittici devono rassegnarsi, la scadenza che ci attende tra qualche anno non vedrà la fine del mondo e nemmeno, purtroppo, una nuova creazione. Considerando i tempi che corrono, è certo che gli dèi maya potrebbero avere più di un motivo per volere una nuova umanità.

Il più antico strumento

flute

Quello che vedete è il più antico strumento musicale ritrovato finora. Si tratta di un flauto che misura circa 20 cm. È stato ricavato dall’osso dell’ala di un avvoltoio e risale a circa 35000 anni fa.

Un team di ricercatori dell’Università di Tubinga ne ha rinvenuti tre scavando nelle caverne di Hohle Fels, nel sud-ovest della Germania. Questo ritrovamento porta il numero degli strumenti musicali che ci sono giunti da questa epoca remota a otto, quattro dei quali ricavati dall’avorio dei mammut e altrettanti da ossa di uccello.

In questa pagina potete anche sentirne il suono (peccato che la pagina esista ancora ma il file audio no).

La cosa sorprendente è che l’accordatura è una scala pentatonica piuttosto precisa. Naturalmente non ci è dato sapere come questi strumenti venissero suonati 35000 anni fa. È difficile pensare che si eseguissero melodie come quelle dell’esempio, però, a quanto sembra, le note erano già quelle.

Un’altra questione è quella della funzione della musica a quell’epoca.

According to Professor Nicholas Conard of Tubingen University, the playing of music was common as far back as 40,000 years ago when modern humans spread across Europe.

“It’s becoming increasingly clear that music was part of day-to-day life,” he said.

“Music was used in many kinds of social contexts: possibly religious, possibly recreational – much like we use music today in many kinds of settings.”

“The modern humans that came into our area already had a whole range of symbolic artifacts, figurative art, depictions of mythological creatures, many kinds of personal ornaments and also a well-developed musical tradition.”

Qui trovate l’articolo di BBCNews.