The making of Strawberry Fields

Cancello dell'orfanotrofio di Strawberry HillStrawberry Fields Forever (1967) è sicuramente una delle canzoni più complesse di tutta la produzione del Beatles. Ricordo che quando l’ascoltai (avevo 13 anni e studiavo già musica) mi fece una grande impressione proprio perché era un brano armonicamente diverso dal solito e con sonorità per l’epoca nuove.

Uscita come singolo nel febbraio 1967, era il lato B di Penny Lane. Sono entrambe canzoni nostalgiche: “Strawberry Field” era il nome di un orfanotrofio situato in Beaconsfield Road, Woolton, Liverpool, vicino alla casa d’infanzia di Lennon (nella foto il cancello dell’orfanotrofio). Lui e i suoi compagni di giochi Pete Shotton, Nigel Whalley, e Ivan Vaughan erano soliti giocare nel giardino alberato dietro l’edificio.

Venne poi inserita nell’LP Magical Mistery Tour. È attribuita al solo Lennon che iniziò a lavorarci ad Almería, in Spagna, durante le riprese del film diretto da Richard Lester How I Won the War (Come ho vinto la guerra) nel settembre–ottobre del 1966. La sua gestazione fu lunga e complicata, con numerose registrazioni anche non complete, arrangiate in modo diverso, due delle quali sono state poi tagliate, collegate e mixate fino ad ottenere il prodotto finale.

Bisogna ricordare che i registratori disponibili all’epoca avevano al massimo 4 piste, non le 48 o 64 delle macchine degli anni ’80 o le centinaia dell’attuale HD recording, quindi le sovra-incisioni possibili erano molto limitate. Si potevano certamente prendere 4 piste e mixarle in una (mono) oppure in due (perché il brano alla fine doveva essere stereo), mettendole su un secondo registratore, per poi registrare altre 4 piste e rifare lo stesso processo, ma ogni mix introduceva un po’ di rumore di fondo e costringeva a sincronizzare più registratori, con la conseguenza che già arrivare a 16 tracce era difficile.

Fortunatamente i Beatles, che musicalmente erano più o meno autodidatti, non erano così bravi a scrivere su pentagramma le proprie idee: il loro metodo per memorizzarle era registrare. Oggi che anche i demo tapes e le registrazioni inutilizzate dei Beatles sono state pubblicate, si può così ricostruire l’intero processo che ha portato alla versione finale di Strawberry Fields e valutare anche il contributo essenziale del loro arrangiatore e tecnico George Martin.

Qui abbiamo due video che tentano di chiarire le varie fasi attraverso le quali il brano è passato: dai primi accenni del solo Lennon con chitarra, all’arrangiamento orchestrale di Martin. I video sono riportati qui sotto. Questo articolo di Joe Brennan della Columbia University (autore di una utile guida alle registrazioni dei Beatles) è più completo, ma meno immediato. Anche questa pagina di wikipedia offre molte informazioni utili.

Notate che in alcune parti del video il suono può uscire da una sola cassa (di solito la sin.) perché si tratta di un mix temporaneo monofonico. In altre si può sentire un insieme strumentale su una cassa e uno strumento singolo o due sull’altra: questi ultimi sono quelli incisi sulle nuove piste, usando il mix precedente come base.

 

Olimpiadi

Olimpiadi 2012Per le Olimpiadi di Londra i pubblicitari hanno avuto abbastanza fondi da potersi scatenare e devo dire che la maggior parte delle loro realizzazioni è tecnicamente egregia e professionalmente ineccepibile (vedi il video qui sotto).

Però sto guardando adesso la cerimonia di apertura. Qualche richiamo storico nella prima parte (Shakespeare, Blake, Milton…) con un’isoletta verde in stile hobbit, per arrivare rapidamente ai Beatles e alla pop music. Gli aspetti culturali più profondi, che con le edizioni di Atene e Pechino avevano raggiunto il massimo, qui sono stati un po’ trascurati. O, almeno, mi è sembrato che, più che per gente come Bacon, Newton o Dowland, gli organizzatori amino ricordare la propria nazione per Mr. Bean, la swingin’ London e la pop music.

Comunque la cerimonia olimpica fa sempre pensare. Sfila la Cina e molto dopo, in ordine alfabetico, sfila Taipei. Passano le due Coree, passa la Siria, sfila l’Arabia Saudita, con un’atleta, donna, tuttora combattuta fra il gareggiare con il velo, come vuole il comitato olimpico del suo paese, oppure senza, come chiede il comitato olimpico internazionale, passa Timor Est, passano gli Stati Uniti, con divise disegnate in America da Ralph Lauren, ma interamente prodotte in Cina, arriva la Gran Bretagna, con Heroes di Bowie come colonna sonora…

01:00 – la sfilata è finita. Adesso suonano le Scimmie Artiche. Glob!

01:39 – per chiudere, dopo discorsi e cerimonie di accensione, Paul McCartney canta, con un po’ di fatica, Hey Jude.

Olympic Stadium – London 2012 from squintopera on Vimeo.

Concerti barocchi per chitarra a 8 corde

Un po’ di musica “leggera” per questi giorni di afa. In questo disco, Daniel Estrem esegue musica barocca di Vivaldi e Bach trascritta per chitarra a 8 corde. Le due corde in più espandono decisamente le possibilità dello strumento dando alla chitarra una completezza armonica che, a mio avviso, normalmente non ha.

In circa 30 anni di carriera Vivaldi ha scritto più di 500 concerti, molti dei quali sono stati poi trascritti per vari strumenti.
L’Estro Armonico, Op. 3, scritto nel 1711, è una raccolta di 12 concerti per 1, 2 e 4 violini che ha influenzato molti compositori dell’epoca, tanto che lo stesso J.S. Bach ne ha trascritto ben sei.

In questa incisione si eseguono il num. 2 e il num. 8 nonché il concerto in Sol Maggiore (Alla Rustica), particolarmente vicino alla musica popolare e molto adatto ad una trascrizione chitarristica.

Dall’opera di J.S. Bach sono tratti il famosissimo terzo Brandeburghese e il doppio concerto in Re minore, originariamente per due violini.

Una parola sul terzo Brandeburghese, il cui primo e terzo movimento sono due allegri, mentre il secondo è un adagio cosi breve che nelle esecuzioni pubbliche spesso si preferisce saltarlo oppure sostituirlo con un tempo lento tratto da un’altra composizione, come in questo caso.

Questa incisione si può scaricare gratuitamente in MP3 oppure acquistare in formato non compresso da Magnatune cliccando sul link riportato sotto il player.

Cliccate invece un brano nel player per ascoltarlo qui.

Baroque Concertos on 8 String Guitar by Daniel Estrem

RIP Lol Coxhill

Qualche giorno fa, il 10, se ne è andato Lol Coxhill. Io ero impegnato in un corso estivo in un luogo ameno fuori dal mondo e anche dalla rete, per cui ne scrivo solo adesso.

Coxhill era un sassofonista che mi piaceva perché la sua musica non aveva confini. Sebbene fosse fondamentalmente un improvvisatore di stampo jazzistico, nella sua sterminata discografia ha attraversato vari stili passando e spesso mescolando free jazz, bebop, ma anche musica contemporanea “colta”, free music, elettronica (con Simon Emmerson), rock e punk, Canterbury scene, progressive e blues.

L’album Digswell Duets del 1978, accreditato a Coxhill, Simon Emmerson e Veryan Weston, è stato inserito dalla rivista britannica The Wire nella lista dei 100 album che hanno incendiato il mondo (quando nessuno li ascoltava) (qui l’intera lista).

With Kou Katsuyoshi (guitar), John Edwards (bass), Steve Noble (drums) at Cafe Oto London. 23 November 2009.

Turner (drum set), Coxhill (soprano sax) and Cooper (electronics) play at the Red Rose, London. 6th February 2007.

Max Eastley (self-made instrument – arc), Steve Beresford (electronics), Lol Coxhill (soprano sax) at Battersea Arts Centre week of free improvised music curated by Adam Bohman. 20th February 2010.

 

 

8 Breaths Of Different Lengths

Non si cerca la varietà in un brano di Steve Roden.

Anche artista visuale, pittore, scultore, creatore di installazioni, Roden è stato fra i primi esponenti del movimento lowercase, una forma estrema di minimalismo ambientale in cui suoni molto flebili si alternano a lunghi silenzio, Roden si è poi evoluto in uno stile sonoro più continuo, fatto di un drone sottile, quasi granulare, composito, irregolare ma di vasto respiro.

Come in questo 8 Breaths Of Different Lengths, tratto da Three Roots Carved To Look Like Stones edito dalla netlabel francese Sonoris nel 2003.

Ascoltatelo nel silenzio. Non alzate il volume. Note di programma (all’intero disco):

this work was originally an installation presented at inmo gallery, in chinatown/los angeles, december 2000. the work was created using 3 objects purchased at chinatown giftshops: a toy wooden flute, a small aluminum wind chime, a small paper accordion. each track was created using one of these objects as the only sound source. some of the sounds have been processed electronically. the installation was created in response to: the generic sounding ‘muzak’ playing in most of the public spaces of chinatown; the private landscape of chinatown lingering unnoticed in alleys and second floor windows; and, a book on the history of chinese philosopher’s stones. the audio was installed in front of a large picture window facing the chinatown pedestrian area.

Metropolis

Michael Daugherty (n. 28/04/1954) è probabilmente il più interessante fra quei compositori che, memori della lezione post-moderna, includono nelle proprie composizioni diversi stili con citazioni tratte dal pop, dal jazz, come dai classici sia dell’800 che del primo ‘900.

Mi rendo conto che, detta così, fa pensare a una zuppa infame, ma invece Daugherty è un compositore molto preparato, nonché fine orchestratore e anche alle mie orecchie, che pure non amano più di tanto simili commistioni, riesce a risultare, tutto sommato, piacevole.

In realtà Daugherty è attualmente uno dei più eseguiti, commissionati e premiati compositori americani, sicuramente anche perché i suoi brani sono ascoltabili anche da un pubblico più vasto della ristretta cerchia amante della sperimentazione.

Sebbene, a mio avviso, la sua produzione migliore non sia quella orchestrale, qui vi propongo un movimento di Metropolis (1988-93), opera sinfonica in 5 movimenti (eseguibili anche separatamente), dove il riferimento culturale del titolo non è Fritz Lang, ma Superman. Metropolis è, infatti, la città in cui era ambientato il famoso fumetto.

I titoli dei movimenti sono

  1. Lex (1991)
  2. Krypton (1993)
  3. MXYZPTLK (1988)
  4. Oh, Lois (1989)
  5. Red Cape Tango (1993)

L’ultima incisione, diretta da Giancarlo Guerrero con la Nashville Symphony Orchestra è stata fra le nomination in sei categorie ai Grammy Awards del 2011 e ha portato a casa i premi per Best Orchestral Performance, Best Engineered Album e Best Classical Contemporary Composition.

Proprio da questa incisione e grazie a You tube, vi propongo il quinto movimento. Occhio (orecchio) alle citazioni. Una può essere tratta perfino dai Deep Purple (anche se quei tre accordi possono essere qualsiasi cosa, ma sono così simili anche nel tempo…)

Strumentazione: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto; 4 corni, 4 trombe, 3 tromboni, tuba; timpani, 4 percussioni; piano; archi.

Tutta Metropolis è ascoltabile su You Tube.

La filosofia in un grafo

Drunk&Lampposts ha realizzato questo grafo che cerca di visualizzare le connessioni fra gli esponenti della storia della filosofia.

La metodologia utilizzata non è una scelta personale, ma deriva strettamente da quanto pubblicato in wikipedia. Simon Raper, che ha realizzato materialmente l’immagine, ha utilizzato la sezione “influenced by” contenuta in ogni voce dedicata ad un filosofo in wikipedia, anzi, più precisamente, in dbpedia che altro non è se non una versione strutturata in forma di database delle informazioni contenute in wikipedia (non so quanti di voi ne conoscono l’esistenza).

Ogni dichiarazione di influenza è stata tradotta in un link, mentre la quantità di “influenze” ha determinato la grandezza del cerchio rappresentante il filosofo.

Il tutto è stato tradotto in immagine da Gephi, un software open source interattivo per la realizzazione di grafi dinamici e gerarchici che rappresentano network e sistemi complessi. La mappa, quindi, non si deve leggere come una opinione di Raper, ma come “wikipedia riporta che…”

Attenzione, l’immagine originale è trasparente, quindi lo sfondo traspare condizionandone la leggibilità. Quello che vedete qui è un estratto. È conveniente cliccare l’immagine per vedere l’originale.

Naturalmente potete anche scaricarla, ma sappiate che l’originale è 8.1 Mb.

Nell’articolo originale Raper rileva alcuni problemi della mappa (il principale è l’assenza di frecce nei link che non fa capire chi influenza chi), ma offre anche varie chiavi per capirla meglio. Per esempio, fa notare come il software tenda a centrare gli elementi più grossi, per cui i nomi più importanti sono, in genere in posizione più centrale. Offre anche un’interpretazione dei colori. Gli amanti del genere, infine, troveranno anche alcune note tecniche sull’estrazione di dati e la realizzazione del grafo.

Comunque, sebbene io sia un appassionato di mappe, la mia opinione è che questa è molto bella da vedere, ma solo relativamente usabile perché la sua complessità ne limita notevolmente la leggibilità nelle parti più dense (sfido chiunque a seguire i link nella zona di Hegel o Kant). Una versione finale potrebbe assumere, per esempio, la forma di un applet Java che permetta di selezionare cosa vedere, spostare i box et similia. Però è simpatica come idea.

mappa della filosofia

La fine di Radio Music?

Il 2012 è il centenario della nascita di John Cage e il ventennio dalla morte (Los Angeles, 5 settembre 1912 – New York, 12 agosto 1992). Ovviamente le celebrazioni sono molte. Presumibilmente, quasi tutta la sua opera sarà eseguita quest’anno e qualcuno si accorge anche di qualche problema.

Peter Urpeth, nel suo blog silentmoviemusic, ha fatto notare che, probabilmente, uno dei più famosi e caratteristici brani di Cage, Radio Music, composto nel 1956, diventerà ineseguibile a partire dal 2017 e forse la stessa fine farà Imaginary Landscape 4 (e qualche altro brano basato sulla radio). Questi pezzi, infatti, sono scritti per un certo numero di esecutori (da 1 a 8 il primo, 12 il secondo), ognuno munito di una radio. La partitura di Radio Music riporta una lista di frequenze su cui gli apparecchi devono essere sintonizzati nel corso del brano. La lista è indipendente dal luogo e dall’orario dell’esecuzione, per cui ne esce un insieme indeterminato di suoni. Occasionalmente, su qualche frequenza non c’è alcuna trasmissione e quindi si sente il silenzio della radio, fatto di rumore di statica con qualche disturbo casuale.

Il fatto che mette in pericolo Radio Music è lo spegnimento del segnale analogico previsto per il 2017, segnando il passaggio definitivo alle trasmissioni digitali. Le conseguenze sono due:

  1. la statica del digitale è definitivamente silenziosa e anche i disturbi sono molto rari, se non nulli, ma, ancora peggio,
  2. nella radio digitale non ci sono frequenze, ma solo canali, quindi è impossibile sintonizzarsi su una data frequenza e se è vero che ogni transponder lavora su una sua frequenza, quest’ultima non ha niente a che fare con le vecchie frequenze analogiche e ogni transponder corrisponde a un blocco di canali, non a una singola trasmissione.

La partitura, dunque, appare obsoleta rispetto a un recente salto tecnologico. Non è la prima volta che questo accade nella storia della musica. Penso, per esempio, al passaggio dall’arco barocco a quello moderno, o dal clavicembalo al pianoforte, tuttavia, in questi casi, la sostanza del discorso musicale, cioè la successione di altezze, rimaneva e consentiva una nuova interpretazione.

Ci sono, poi, altri casi legati a un salto tecnologico. Nella musica elettronica il passaggio dall’analogico al digitale ha messo in crisi varie partiture. Tuttavia con il digitale si può emulare il 99% di quello che si faceva in analogico, sia pure con qualche differenza, ma che, in fondo, non è più grande di quella provocata dall’abbandono del clavicembalo in favore del pianoforte.

In questo caso, invece, è proprio la sostanza del brano a cambiare e se il suo significato, che consiste nella sovrapposizione casuale di varie sorgenti radiofoniche, può essere riprodotto, vengono a mancare sia una serie di rumori (statica, disturbi, ricerca della sintonia), che quella commistione di trasmissioni normali e di servizio (sistemi di trasporto, emergenze, CB) che un tempo lavoravano con lo stesso medium, ma che ora sono definitivamente separati.

Non credo, comunque, che Cage si sarebbe preoccupato più di tanto della fine di Radio Music, anzi l’avrebbe accolta come un altro passo verso il silenzio, ma il silenzio digitale è troppo perfetto…

Nell’immagine David Tudor e John Cage (click per ingrandire), trovata via johncage.org. Vi riporto anche il bel sito JOHN CAGE unbound: a living archive, creato dalla New York Public Library for the Performing Arts, segnalato da Franz.

Tudor & Cage