Microworlds

La microfotografia (o nanofotografia) ha la capacità di svelare paesaggi inaspettati e misteriosi, tali da poterci costruire sopra delle storie, come fa Alan Jaras.

Guardatevi questa serie, denominata MicroWorld, partendo dalla prima immagine.

Time stretch (on Gesualdo)

Nonostante il nome, Bruno Mantovani è un giovane compositore francese (nato nel ’74). Qui vi propongo Time stretch (on Gesualdo), una composizione per orchestra del 2006.

Nota del compositore:

Time stretch (on Gesualdo) ha come punto di partenza uno dei madrigali del 5° libro del compositore italiano, “S’io non miro non moro”.
Ho estratto da questo breve brano per 5 voci un quadro armonico di 130 accordi che ho rielaborato eliminando tutti gli elementi non significativi per l’ascolto (principalmente ottave) e poi ho “stirato” questa griglia sulla durata totale del pezzo per creare un percorso armonico a partire dal quale ho composto.
Se le tensioni dovute al linguaggio cromatico di Gesualdo sono percettibili in questo brano, non si tratta assolutamente di un “pastiche”, di una citazione, ma di un’opera originale dove il riferimento è presente solo in secondo piano.
Indipendentemente dalla struttura armonica, Time stretch rimanda e delle problematiche drammaturgiche sempre presenti in me: la ricerca di una energia costante, i contrasti radicali, le transizioni continue fra episodi conflittuali, ma il discorso è unificato dall’onnipresenza della periodicità ritmica, delle pulsazioni che creano un senso di ordine all’interno di una musica rapsodica.

 

Procrastinazione strutturata

Se cercate “procrastinazione” su Google, troverete una sfilza di siti che insegnano ad evitarla dipingendola come una pessima abitudine.

Tutto ciò mi ha sempre provocato una certa quantità di sensi di colpa, perché io ho sempre tirato tardi. Sono uno di quelli che invia il 31 il modulo che scade il 31 (fa fede il timbro postale), che finisce alla notte il pezzo da presentare al concerto del giorno dopo (ecco perché non scrivo volentieri musica strumentale), che prepara la notte prima la lezione per il giorno seguente.

Ho sempre pensato, però, di aver bisogno di procrastinare. Non posso semplicemente fare una cosa. Devo aspettare che, dentro di me, scatti qualcosa. Devo aver esaminato ogni aspetto di quello che devo fare e io penso alle cose complesse mentre faccio cose semplici, tipo fare solitari al computer, passeggiare con il cane, guardare fuori dalla finestra…

Finalmente ho trovato qualcuno che mi sostiene e teorizza la procrastinazione strutturata e ci ha vinto un Ig-Nobel. Leggete qui. Questo è il primo paragrafo.

I have been intending to write this essay for months. Why am I finally doing it? Because I finally found some uncommitted time? Wrong. I have papers to grade, textbook orders to fill out, an NSF proposal to referee, dissertation drafts to read. I am working on this essay as a way of not doing all of those things. This is the essence of what I call structured procrastination, an amazing strategy I have discovered that converts procrastinators into effective human beings, respected and admired for all that they can accomplish and the good use they make of time. All procrastinators put off things they have to do. Structured procrastination is the art of making this bad trait work for you. The key idea is that procrastinating does not mean doing absolutely nothing. Procrastinators seldom do absolutely nothing; they do marginally useful things, like gardening or sharpening pencils or making a diagram of how they will reorganize their files when they get around to it. Why does the procrastinator do these things? Because they are a way of not doing something more important. If all the procrastinator had left to do was to sharpen some pencils, no force on earth could get him do it. However, the procrastinator can be motivated to do difficult, timely and important tasks, as long as these tasks are a way of not doing something more important.

[da J. Perry, Structured procrastination]

NB: John Perry is a professor of philosophy at Stanford University.

Musical typewriter

Questo oggetto è una rara macchina da scrivere musicale prodotta da Keaton, S. Francisco, California. Brevettata in una prima versione a 14 tasti nel 1936 e allargata a 33 tasti nel 1956, era sul mercato negli anni ’50, in vendita a $225.

Oggi ne restano circa una dozzina. Quella in figura vale circa $6000.

CubeStormer II

Questo robot risolve il cubo di Rubik in 5.35 secondi. È l’attuale record mondiale. Può sembrare un giochino, ma non lo è.

CubeStormer II solves the Rubik’s Cube puzzle faster than the human world record.

This ARM Powered robot was designed, built and programmed by Mike Dobson and David Gilday, creators respectively of CubeStormer http://youtu.be/eaRcWB3jwMo and Android Speedcuber http://youtu.be/ylFb4pqAUd8.

The mechanics are constructed entirely from LEGO, including four MINDSTORMS NXT kits, with the addition of a Samsung Galaxy S II smartphone running a custom Android app as the robot’s brain. Both the MINDSTORMS NXT kits and the Samsung Galaxy SII use a variety of ARM –based processors.

The app uses the phone’s camera to capture images of each face of the Rubik’s Cube which it processes to determine the scrambled colours. The solution is found using an advanced two-phase algorithm, originally developed for Speedcuber, enhanced to be multi-threaded to make effective use of the smartphone’s dual-core ARM Cortex-A9 1.2GHz processor. The software finds an efficient solution to the puzzle which is optimised specifically for the capabilities of the four-grip mechanism. The app communicates via Bluetooth with software running on the ARM microprocessors in the LEGO NXT Intelligent Bricks which controls the motors driving the robot. During the physical solve, the app uses OpenGL ES on the phone’s ARM Mali-400 MP GPU to display a graphical version of the cube being solved in real time.

Human speedcubers’ solve times only include the physical manipulation of the cube and don’t include some time which is allowed to “inspect” the cube beforehand. Times recorded by CubeStormer II are for the total solve including: image capture, software solution calculation and physical solve.

Want to see it in action?? Check it out at ARM TechCon 2011 in Santa Clara, California Oct 26-27th http://www.armtechcon.com.

Campi armonici

Pierre Sauvageot distribuisce un migliaio di strumenti eolici su una grande superficie. La fruizione avviene muovendosi all’interno del sito. Si può passare, così, da un’area lunga quasi 400 metri in cui sono sparse più di 300 campane balinesi a uno slalom fra canne di bamboo forate e intonate, per poi finire in uno spazio cosparso di glockenspiel pentatonici azionati da turbine.

Il tutto mosso solo dal vento. Il video si riferisce all’installazione del 2010 a Martigues, nei pressi di Marsiglia.

Accidenti, è morto anche Dennis Ritchie

ken_n_dennisPochi giorni dopo Jobs, muore anche Dennis Ritchie (qui con Ken Thompson; Ritchie è a destra).

Probabilmente pochi sanno chi era, infatti non ne hanno parlato in molti. Eppure Ritchie ha inciso sul mondo dell’informatica ben più di Jobs perché, alla fine degli anni ’60, ha sviluppato il sistema operativo Unix che oggi è alla base di Linux, Mac Os-X, iOS (il sistema operativo di iPhone e iPad), Android e di molti altri derivati.

La chiave del successo di Unix sta nel suo livello di astrazione. Prima di Unix, il programmatore doveva comportarsi diversamente con ogni computer e con ogni dispositivo (hard disk, stampanti, monitor, tastiera, schede varie). In pratica, stampare con una stampante IBM richiedeva comandi diversi da quelli di una stampante HP e anche cambiare scheda grafica significava mettere mano ai programmi. In Unix, invece, tutti i dispositivi sono visti nello stesso modo, ovvero come un file. Di conseguenza il programmatore può trattarli tutti con le stesse modalità. Spetta, poi, ai device driver interpretare i comandi del programma a basso livello, in modo da far funzionare correttamente quel particolare dispositivo.

Il fatto che anche macchine neonate prendano vita grazie a un SO creato 50 anni fa testimonia la validità e l’eleganza di Unix che ha attraversato i decenni senza invecchiare.

In seguito, insieme a Brian Kernighan e Ken Thompson, ha marcato un’altra tappa fondamentale dell’informatica creando il linguaggio di programmazione C, uno dei linguaggi più utilizzati al mondo, con cui sono state sviluppate migliaia di applicazioni di tutti i tipi e parti di vari sistemi operativi (fra gli altri, anche i sistemi Windows da NT a 7, sono in gran parte scritti in C).

Kernighan e Ritchie hanno anche scritto lo storico manuale “The C Programming Language“, su cui si sono formate generazioni di programmatori (anche il sottoscritto), tanto da essere universalmente noto semplicemente come il K&R.

Insieme al suo collega Ken Thompson, ha ricevuto il Turing Award nel 1983, la IEEE Richard W. Hamming Medal nel ’90, la National Medal of Technology nel 1999 e il Japan Prize for Information and Communications proprio quest’anno.

Eppure nessuno è andato in TV a dire che Ritchie era un genio e lui stesso avrebbe rifiutato questo appellativo. Di carattere riservato e schivo, rifuggiva le platee, preferendo rimanere nella sua cerchia di hacker (nel senso originale del termine). Però, se Ritchie fosse l’inventore del motore a scoppio e qualcun altro ci avesse costruito intorno l’automobile, Jobs sarebbe al massimo l’inventore della vernice metallizzata.

Stay Hungry, Stay Foolish

Sono rimasto un po’ colpito dalle reazioni al luttuoso evento, sia quelle dei media che della gente comune. Ho sentito una grande quantità di inesattezze, come è tipico dei media. In certe trasmissioni sembrava che Jobs avesse inventato l’interfaccia a mouse, finestre e icone, che invece era stata adottata grazie ad un accordo con Xerox che l’aveva realizzata per prima. In altre, sembrava quasi che fosse l’inventore di internet.

Alcuni articoli, come quello di Wired Italia, dipingono Jobs come un immenso genio dell’informatica. La BBC ha voluto scendere ancora più in profondità sottoponendo il cervello di Alex Brooks, un fan infatuato di Apple, a vari test neurologici nel corso del documentario Secrets of the Superbrands per verificare le sue reazioni di fronte ad alcuni dispositivi della casa di Cupertino. La sorpresa, almeno per i neuroscienziati, è stata quella di rintracciare reazioni neurali analoghe a quelle dell’esperienza mistica o risposte simili a quelle che i fedeli di una religione provano nel vedere oggetti sacri (“Simply viewing Apple kit provokes religious euphoria” in The Register).

Ora, Jobs non era un genio dell’informatica. All’inizio di tutto, quando con Steve Wozniak e Ronald Wayne si apprestava a fondare la Apple, veniva anche preso un po’ in giro per non essere un hacker. Il genio tecnico era Wozniak. Fu lui a progettare l’Apple I e a distribuirne liberamente il progetto nel più puro spirito hacker.

Jobs, semmai, era un genio del marketing. Lo aveva dimostrato da subito, quando Woz, in base al progetto di John Draper (aka Captain Crunch), aveva costruito una blue box, una macchinetta che permetteva di fare chiamate telefoniche gratuite dalle cabine, inviando alla centrale il segnale che informava che l’utente aveva inserito una moneta, Jobs era riuscito venderne un bel po’ ai propri compagni di scuola e ai loro amici. È sintomatico il fatto che, grazie alla blue box, Jobs aveva rivelato le proprie qualità, mentre Draper era finito in galera.

Il genio di Jobs consisteva nell’ideare delle modalità semplici e intuitive per rapportarsi con la tecnologia, un’interfaccia utente che fosse comprensibile anche per la gente comune. E riusciva a farlo proprio per il fatto di non essere un hacker. Un hacker non ha bisogno di queste facilities, non ci pensa nemmeno. Invece Jobs ci pensava e aveva il coraggio di chiederle e scommettere sul fatto che avrebbero avuto successo nonostante i costi che comportavano. Apple, infatti, ha sempre realizzato prodotti di nicchia, estremamente costosi rispetto alla concorrenza, ma anche estremamente belli e facili anche a costo di limitarne le funzionalità.

L’unico tasto del mouse Apple, per esempio, è una demenza. Quando lavoro con il Mac del Conservatorio, lo stacco e collego un mouse normale, a due tasti perché con il secondo esce il menu contestuale anche sul Mac, lo stesso che, con il mouse originale, esce facendo Ctrl-click, con due mani.
Ricordo, per esempio, una pubblicità del Mac che diceva “Apple ha insegnato l’uomo a Macintosh: l’uomo ha 10 dita, ma ne usa uno solo…”.
La cosa interessante è che questo mouse, che mi limita, costa € 50, con il filo o € 65 nella versione wireless.

Ecco, un’altra qualità di Jobs era quella di convincere la gente di aver bisogno di cose di cui non ha veramente bisogno e di imporre queste caratteristiche come delle pietre miliari che poi tutti vanno a copiare. Marketing. Certo, alcune di queste lo sono davvero. I prodotti Apple sono innegabilmente più belli (esteticamente) e facili rispetto alla concorrenza.

Ma la Apple è anche una corporation ed è una delle corporation più chiuse e simili ad una chiesa che esistano. Non si possono fabbricare cloni del Mac. Nonostante il reverse engineering sia comunemente accettato nel mondo dell’informatica, Apple ha sempre messo in atto sistemi atti a impedire l’imitazione dei propri prodotti, anche a scapito della comodità degli utenti (il sistema operativo su ROM dei primi Mac ne è un esempio).

Con i prodotti più recenti, la chiusura di Apple si è estesa anche al software. Per creare delle App per iPhone e iPad, per esempio, bisogna identificarsi e la Apple ha il diritto di bloccarne la distribuzione sui propri store e impedire che girino sui sistemi suddetti. E le applicazioni bloccate non sono solo quelle che hanno caratteristiche illegali o offensive. Ce ne siamo già occupati. Vedi qui, qui o qui.

C’è anche un lato più inquietante e scomodo della Apple, cioè il fatto di essere uno dei principali clienti della famigerata Foxconn, l’azienda taiwanese nota per l’alto tasso di suicidi fra i propri operai, dovuti, a quanto sembra, alle allucinanti condizioni di lavoro. Alla Foxconn si fabbricano iPod, iPhone, iPad, ma anche prodotti di altre aziende, come PlayStation2 e PlayStation 3, Wii, Xbox 360, Amazon Kindle, Televisori LCD Sony Bravia. Colpisce, comunque, il contrasto fra l’immagine libertaria tipica del marketing di Apple e queste modalità produttive.

Rileggendo tutto, mi sembra di aver elencato solo i lati negativi. In effetti, come ho già accennato, in questi giorni ho sentito un po’ troppe esagerazioni. Comunque, mi piace ricordare le sue ultime parole rivolte ai laureandi di Stanford: stay hungry, stay foolish.
Puntualizzo solo che non sono sue. Come lui stesso racconta:

Quando ero un ragazzo c’era una incredibile rivista che si chiamava The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. (…) Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste trovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto la foto c’erano le parole: «Stay Hungry. Stay Foolish». Siate affamati, siate folli. Era il loro messaggio di addio.