Noise

noise Katarzyna Kijek e Przemysław Adamski sono animatori polacchi che inseriscono elementi di animazione in riprese vere e proprie creando un gioco di immaginazione strettamente legato al suono.

La loro tecnica è quella dell’ormai desueta stop motion in cui viene impressionato un fotogramma per volta muovendo gli oggetti animati fra uno scatto e l’altro. Dico desueta perché la stop motion, largamente in uso un tempo, è stata ormai sostituita quasi completamente dalla grafica computerizzata. Kijek e Adamski, invece, riescono ancora a trarne situazioni di grande suggestione dove la connessione con il suono è evidente e ricca.

Potete anche vedere il video su vimeo.

5000 campanelli

5000 campanelli da bicicletta compongono questa installazione sonora di Ronald van der Meijs (o, forse, componevano, visto che il lavoro ha 2 anni e non sempre le installazioni durano molto).

L’idea, però, è bella. I campanelli sono sospesi su steli metallici oscillanti piantati nel terreno e possono toccarsi ad ogni alito di vento.

Submerged Turntable

In questa scultura di Evan Holm dei giradischi, con relativo disco in vinile, sono leggermente sommersi e tuttavia funzionano. Dico leggermente sommersi perché il braccetto e la maggior parte del blocco che decodifica la vibrazione della puntina stanno fuori, quindi si tratta solo di qualche millimetro di acqua.

Ciò nonostante, come si può sentire nel video qui sotto, il suono è praticamente perfetto come non avrei mai immaginato. È evidente che il motore deve essere protetto dall’acqua e che la stessa non deve penetrare il blocco della puntina. La prima cosa non è complicata (qui c’è un making of  in cui si vede che la parte elettrica del motore è esterna, appesa all’albero), ma la seconda mi riesce difficile immaginare come sia possibile. Dal making of  non si evincono particolari accorgimenti per impedire all’acqua di penetrare nel foro da cui esce il sostegno della puntina. Evidentemente l’acqua è così poca che non ci arriva.

Tuttavia il moto che si genera nell’acqua dovrebbe interferire con l’aderenza della puntina al solco, arrivando a far levitare il braccetto. L’unica spiegazione è che quest’ultimo sia decisamente pesante e in effetti la lunghezza del braccetto depone a favore di questa ipotesi. Il tutto, comunque, non è un gioco e nemmeno uno studio sulla resa del giradischi. Ecco la nota dell’autore:

There will be a time when all tracings of human culture will dissolve back into the soil under the slow crush of the unfolding universe. The pool, black and depthless, represents loss, represents mystery and represents the collective subconscious of the human race. By placing these records underneath the dark and obscure surface of the pool, I am enacting a small moment of remorse towards this loss. In the end however this is an optimistic sculpture, for just after that moment of submergence; tone, melody and ultimately song is pulled back out of the pool, past the veil of the subconscious, out from under the crush of time, and back into a living and breathing realm. When I perform with this sculpture, I am honoring and celebrating all the musicians, all the artists that have helped to build our human culture.

Kodak Aerochrome III

Kodak Aerochrome III è una pellicola fotografica sensibile agli infrarossi ormai fuori produzione. In origine era utilizzata per la rilevazione aerea di zone di vegetazione che appaiono color magenta o rosso, in contrasto con il grigio e il blu delle aree “fredde” di materiale in prevalenza non biologico. Di conseguenza aveva anche un impiego militare, per individuare installazione mascherate con il colori della vegetazione.

Come ho già accennato, oggi questa pellicola non è più in produzione, ma ne rimane ancora una certa quantità da smaltire e ovviamente alcuni fotografi hanno trovato dei modi interessanti per utilizzarla. Richard Mosse ha realizzato vari progetti con la Kodak Aerochrome III, fra cui  Infra (2010/11) che testimonia la difficile situazione nella regione del Nord Kivu (Congo orientale) con il contrasto fra la vegetazione tropicale e lussureggiante e gli eserciti che la attraversano.

Tre immagini dal progetto Infra di Richard Mosse (cliccare l’immagine per ingrandire).

Colonel Soleil’s Boys
North Kivu, Eastern Congo
2010
Even Better Than The Real Thing
North Kivu, Eastern Congo
2011
Vintage Violence
North Kivu, Eastern Congo
2011

Daniel Zvereff, invece, l’ha usata per Introspective, un progetto solo apparentemente inadatto alle caratteristiche della pellicola: un viaggio verso l’artico, luogo in cui di vegetazione se ne trova ben poca. Ma proprio per questo, il diradarsi delle zone in colore dà l’esatta immagine del cambiamento del paesaggio, dal colore al (quasi) bianco/nero. Un viaggio fatto di foto, disegni e diario.

Tombstone, Yukon Kulusuk, Greenland Longyearbyen, Svalbard

Mi piace molto quando l’arte riesce a reinventare gli oggetti che la tecnologia si lascia dietro.

Genesi: Sebastião Salgado a Venezia

sebastiao-salgado

C’è una mostra da vedere a Venezia. 240 immagini di Sebastião Salgado ispirate alla terra incontaminata. 240 foto prese in quel 40/45% del nostro pianeta che rimane quasi intoccato da mano umana o perlomeno toccato ma a un livello ampiamente sostenibile, in cui il poco di umanità che lo abita non consuma più di quanto la terra possa produrre.

Otto anni e 32 viaggi per riempire le cinque sezioni di questa mostra, dedicate al altrettante aree del globo in cui la “civiltà” non è riuscita a introdursi in modo massiccio: l’Antartide e il sud dell’Argentina, l’Africa, alcuni luoghi piccoli ma peculiari come il Madagascar, Papua Nuova Guinea e l’Irian Jaya, il Grande Nord e infine l’Amazzonia, il polmone verde del pianeta, che contiene oltre un decimo della biodiversità presente sulla terra.

C’è una incredibile bellezza in queste immagini. Una bellezza che ognuno può interpretare come vuole (per me assolutamente laica), ma che rimane innegabile e sublime, termine, quest’ultimo, che non sono mai riuscito ad associare alle creazioni umane. A parte i molti viaggi di quando ero più giovane, io colleziono tuttora immagini della terra senza l’uomo e trovo che, anche dal punto di vista estetico, siano inarrivabili. C’è un equilibrio fra diversità e ripetizione, fra struttura e casualità che è una grande fonte di ispirazione, ma anche qualcosa di irraggiungibile.

Mi spiace solo che la natura non sia riuscita, finora, a porre un serio limite alla crescita umana. Ha tentato molte volte, con e senza il nostro aiuto, raggiungendo anche risultati apprezzabili, ma non ci è mai andata nemmeno vicina. Forse tenterà di nuovo e fallirà meglio. O forse, prima o poi, troverà una soluzione un po’ brusca, tipo un asteroide ben centrato, che darà al pianeta qualche millennio di tregua per riprendersi.

Perché, secondo me, la conservazione del pianeta non è questione di intelligenza da parte nostra. Anche se un po’ più di attenzione non sarebbe male, anzi, a dire la verità, sarebbe obbligatoria e potrebbe ottenere buoni risultati, non c’è niente da fare. È solo una questione di quantità.

Genesi è aperta dal 1 Febbraio al 11 Maggio alla Casa dei Tre Oci, alla Giudecca. Sito di riferimento.

Le foto sono in bianco/nero, ma, come diceva Samuel Fuller “la vita è a colori, ma il bianco e nero è più realista”. Altre immagini qui.

Il Dottor Stranamore: titoli alternativi

Dagli archivi di Stanley Kubrick è saltata fuori una paginetta in cui il regista annotava idee per dare un titolo al Dottor Stranamore, famoso film del 1964 liberamente ispirato al romanzo Allarme Rosso (Red Alert, 1958) di Peter George.

Già dai titoli si può intuire una certa differenza fra il romanzo e il film. Mentre il romanzo è molto serio, centrato sulla minaccia nucleare e sulla relativa facilità con cui la catastrofe può essere innescata, il film affronta lo stesso tema in modo semiserio, tanto da poter essere definito una commedia più che un film catastrofico o di fantapolitica.

L’elenco dei possibili titoli è curioso e stranamente non riporta quello che sarebbe poi diventato il titolo reale: Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba).

È anche difficile immaginare a che cosa si riferissero alcuni titoli, come, per es. Dr. Strangelove’s Secret Uses of Uranus.

Comunque, ecco un elenco completo:

  • Doctor Doomsday
  • Don’t Knock the Bomb
  • Dr. Doomsday and his Nuclear Wiseman
  • Dr. Doomsday Meets Ingrid Strangelove
  • Dr. Doomsday or: How to Start World War III Without Even Trying
  • Dr. Strangelove’s Bomb
  • Dr. Strangelove’s Secret Uses of Uranus
  • My Bomb, Your Bomb
  • Save The Bomb
  • Strangelove: Nuclear Wiseman
  • The Bomb and Dr. Strangelove or: How to be Afraid 24hrs a Day
  • The Bomb of Bombs
  • The Doomsday Machine
  • The Passion of Dr. Strangelove
  • Wonderful Bomb

ed ecco infine la pagina.
Strangelove

Grazie a Lists of Note

Face Substitution

Allora, questa, qui sopra è la media fra il mio viso e quello di Obama. Così anch’io, che sono pallido, posso sembrare un po’ più abbronzato.

Quella qui sotto, invece, mi piace di più. In questo caso la media è fatta con Terminator. Vi risparmio quella con Chuck Norris.

Il tutto è opera di un software che lavora via web. Attiva la vostra webcam (chiedendovi il permesso; non a vostra insaputa) e individua gli elementi salienti del viso (occhi, naso, bocca, contorno).

A questo punto potete scegliere un viso con cui mixare in tempo reale il vostro da una lista di una decina di personaggi famosi. Il risultato, poi, non è fisso, ma segue i vostri movimenti e le vostre espressioni facciali.

Il bello è che tutto è fatto semplicemente  in javascript e peraltro il codice è anche liberamente scaricabile da GitHub. L’autore è tale Audun Mathias Øygard, ispirato da un video di Kyle McDonald & Arturo Castro che trovate su vimeo.

Ma, mentre quello è un video, questo è un mix in tempo reale, oltretutto fatto via web. Lo trovate qui. Assicuratevi che il vostro viso sia in piena luce. Poi cliccate “start” e cercate di stare fermi finché non appaiono delle linee che contornano i punti salienti del vostro volto. A questo punto potete scegliere dalla lista accanto, il viso con cui mixare il vostro.

Naturalmente nessuno vi assicura che non si tengano la vostra faccia, magari associandola al vostro ip, browser e quant’altro, ma così va il mondo (scherzi a parte, non mi sembra il tipo, però siete stati avvertiti).

Un acquarello per la fine del tempo?

Henry Simon (1910 – 1987) era un pittore francese che lavorava principalmente in acquarello.

Catturato dai tedeschi a Dunkerque nel 1940, venne imprigionato nello Stalag 1B presso Olsztynek, nella zona di Dresda, in quella che allora era la Prussia Orientale. Durante la prigionia continuò a dipingere producendo, fra gli altri, il disegno riprodotto qui sopra che sarà pubblicato insieme ad altri dipinti di quel periodo (in tutto circa 20) nel 1941, dopo la resa della Francia, in un libro dal titolo Compagnons de Silence. Il disegno è titolato Le Violiniste au Camp (Simon, in effetti, era anche un musicista dilettante) e datato, come gli altri acquarelli, 1940/41.

Ora, se pensiamo che Olivier Messiaen, autore del celebre Quatuor pour la Fin du Temps, parimenti scritto in un campo di concentramento tedesco ed eseguito per la prima volta in campo di prigionia nel gennaio del 1941, venne rinchiuso nello Stalag V111-A, distante circa 200 km dall’1B di Simon, ma nella stessa zona, non si può non notare la coincidenza…