Sculture Sonore

sound sculpturesContinuo’s weblog recupera una bella incisione Wergo del 1985, ormai fuori catalogo, dedicata alle sculture sonore.

I costruttori degli oggetti sonanti rappresentati nel disco appartengono tutti all’area austro-tedesca, selezionati dal critico Klaus Hinrich Stahmer. Vi si trovano compositori come Anestis Logothetis, di origini greco/bulgare, naturalizzato austriaco, già noto per le sue partiture grafiche degli anni ’70, o costruttori di strumenti come Hans-Karsten Raecke, fino a Herbert Försch-Tenge, con un bel brano generato suonando le proprie sculture.

I singoli brani si possono ascoltare su UbuWeb, l’opera completa su Continuo’s weblog.

Alcuni estratti:

 

Monochord

Monochord è una parte di Zeitgeist di George Crumb, una suite per due pianoforti amplificati composta nel 1988, quindi 10 anni dopo l’ultimo libro del Makrokosmos da cui eredita la ricerca sonora fatta di suoni delicati prodotti manipolando direttamente le corde del pianoforte e ascoltabili grazie all’amplificazione.

Registrazione effettuata a Lecce nel 2007. Esecutori Andrea Rebaudengo, Carlo Palese.

Vortex Temporum

La grande partitura di Grisey

Note dello stesso Grisey

The title Vortex Temporum indicates the beginning of the system of rotation, repeated arpeggios and their metamorphosis in various transient passages. The problem here is to enter the depths of my recent research on the use of the same material at different times. The three basic forms are the original event – a sinusoidal wave – and two continuous events, an attack with or without resonance as well as a sound held with or without crescendo. There are three various spectra: harmonics, ‘stretched disharmonics’ and ‘compressed disharmonics’; three different tempos: basic, more or less expanded, and more or less contracted. These are the archetypes that guide Vortex Temporum.

In addition to the initial introductory vibration formula taken directly from Daphnis et Chloe, ‘Vortex’ suggested to me harmonic writings focused around the four tones of the diminished seventh chord, a rotational chord par excellence. Treating each of these tones as leading ones, we obtain the possibility of multiple modulations. Of course, we aren’t dealing here with the tonal system but rather with considerations of what might still be relevant and innovative in this system. The chord about which I’m speaking is thus a common part of the three previously written spectra and determines other displacements.

The piano used in the work is tuned a quarter tone lower, which changes the sound of the instrument, at the same time facilitating the integration within microintervals, which are essential in this work. In Vortex Temporum the three archetypes described above revolve around one fragment and the other in temporary intervals, differing among themselves as among people (the tempo of speech and breathing), whales (spectral time of sleeping rhythms), and birds or insects (extremely contracted time, whose contours become obliterated). Thanks to this imagined microscope, the notes become sound, a chord becomes a spectral complex, and rhythm transforms into a wave of unexpected duration.

The three portions of the first part, dedicated to Gérard Zinsstag, develop three aspects of the original wave, well known to acoustic engineers: the sinusoidal wave (vibration formula); the square wave (dotted rhythm) and the jagged wave (piano solo). They develop the tempo, which can be defined as ‘joyful’, the tempo of articulation, rhythm of human breathing. The isolated piano section reaches the boundaries of virtuosity.

The second part, dedicated to Salvatore Sciarrino, approaches the same material in expanded time. Initial Gestalt appears here only once, spreading throughout the entire part. I tried here to create the feeling of the confused speed inside the slow tempo.

Part three, dedicated to Helmut Lachenmann, introduces a long process allowing the creation of interpolation, which appears between the various sequences. Continuity gradually establishes, and expands, finally becoming a kind of widely conceived projection of the events from the first part. The spectra originally developed in the harmonic discourse of part two expand here to an extent degree, enabling the listener to detect the structure and entrance into other time dimension.

Short interludes are planned between the parts of Vortex Temporum. A few breaths, noises and discrete noises colour the awkward silence, and even the discomfort of the musicians and listeners, who hear their own breathing between he parts. Treating waiting time this way, linking the time of the audience with the time of the work, refers to some of my earlier works, for example Dérives, Partiels or Jour, Contrejour. Here, of course, these tiny noises are allied with the morphology of Vortex Temporum.

Overthrowing the material in favor of pure endurance is a dream, which I have been carrying out for many years. Vortex Temporum is perhaps only a history of the arpeggio in time and space – from the point of view of our ears.

Vortex Temporum was commissioned by the French Ministry of Culture, Ministerium für Kunst Baden-Würtemberg and the Westdeutsche Rundfunk Köln, at the special request of ‘Ensemble Recherche’.

-Gérard Grisey

De Natura Sonoris

Una delle composizioni più materiche del polacco Krzysztof Penderecki (1933) questa De Natura Sonoris per orchestra che esiste in due versioni, la prima del 1966 e la seconda del 1971. In realtà si tratta di due composizioni diverse, accomunate dalla medesima ispirazione legata alla varietà degli aspetti della natura e al loro evolvere.

Come già nella famosa Threnody, del 1960, per 52 archi (probabilmente il suo brano più noto), Penderecki si adopera per creare nuove sonorità strumentali, soprattutto con gli archi e fa un uso esteso di alcune delle sue tecniche compositive favorite, come quella che si basa sulla libera combinazione di piccole frasi melodiche assegnate dapprima a un ristretto gruppo strumentale, per estendersi, poi, gradualmente a tutta l’orchestra.
Nel secondo brano, inoltre, il compositore utilizza vari effetti percussivi, come quello ottenuto da una sbarra di ferro colpita con un martello e con una sega.

È una musica semplice sotto l’aspetto formale, basata più sull’effetto fonico che su una rigorosa struttura, ma rimane comunque affascinante.

Tierkreis

Tierkreis (1974) è una composizione unica nell’universo di Stockhausen perché, da un lato fa un passo deciso verso una semplicità fino a quel momento sconosciuta nella sua produzione, mentre dall’altro è collegata allo Stockhausen più visionario e radicale, quello che si diceva in contatto diretto con il cosmo, arrivando fino a sostenere con decisione il proprio essere alieno.

In origine si trattava di un ciclo di 12 melodie, con uno scarno sviluppo armonico, collegate ai segni zodiacali – il titolo si traduce, appunto, con Zodiaco – destinate ad incarnarsi in forma di carillon inclusi in una pièce teatrale chiamata Musik im Bauch e così uscirono all’epoca su LP DGG.

Il loro ruolo, però, non era destinato ad esaurirsi qui: esse acquistarono in breve una dignità di opera autonoma, da eseguirsi con un qualsiasi strumento melodico, a tastiera o combinazione dei due. La partitura prescrive che l’esecuzione inizi dal segno zodiacale di quel momento per proseguire seguendo l’ordine dello zodiaco fino a tornare al segno di partenza, con il vincolo che ogni melodia deve essere eseguita almeno da tre a quattro volte con variazioni e improvvisazioni.

Di conseguenza, ne furono create molte versioni, con formazioni anche diverse da quella prescritta, alcune per iniziativa di Stockhausen, ma altre sviluppate da vari gruppi di esecutori che spesso si prendono libertà che travalicano le istruzioni del compositore.

In questo modo Tierkreis ha assunto il carattere di opera semiaperta, passibile sia di interpretazione rigorosa, che utilizzabile come materiale da elaborare, al punto che le molte versioni hanno durate ben diverse, che vanno dai 12 ai 63 minuti. L’opera, comunque, mantiene sempre la sua impronta stockhauseniana anche perché le singole melodie pervadono la successiva produzione del compositore.

Stockhausen, infatti, le ha impiegate in altri lavori di ampia portata come l’intera sezione centrale di Sirius, un’opera per soprano, basso, tromba, clarinetto basso e otto canali di musica elettronica del 1975-77, in cui quattro messaggeri stellari giungono da Sirio per portare musica e pace agli uomini. In modo analogo, frammenti delle melodie di Tierkreis si ritrovano anche nella colossale Licht, una serie di opere, ciascuna dedicata a un giorno della settimana.

C’è da dire, in effetti, che la struttura stessa delle melodie è intimamente collegata al pensiero musicale di Stockhausen. Tanto per cominciare, ognuna di esse è centrata intorno ad una nota diversa, perché, se 12 è il numero dei segni zodiacali, 12 è anche il numero delle note nell’ottava. Così, la serie inizia dal LA per il Leone (il segno di Stockhausen), per passare al LA#/SIb per la Vergine, SI per la Bilancia, DO per lo Scorpione, eccetera.

Inoltre la loro velocità metronomica è collegata alla nota di base rovesciando la frequenza di quest’ultima in durata, secondo l’idea dell’unità tempo/altezza espressa da Karlheinz nel suo famoso saggio del 1957 “…Wie die Zeit vergeht …” (…come scorre il tempo…). In questo scritto teoretico, Stockhausen considera il fatto, ben noto alla fisica, che, essendo l’altezza data da una ripetizione ciclica dell’onda sonora, ad ogni nota può essere associata una durata temporale pari all’inverso della sua frequenza. Di conseguenza, ogni fenomeno ciclico può essere visto come una nota, pur se troppo bassa per essere udibile.

Così Tierkreis diventa una nuova “Musica delle Sfere”, riproponendo un’unità che va dall’universo fino alla nota emessa da uno strumento musicale, vista come atto creatore in quanto metafora della vibrazione primordiale che pervade il cosmo.

Qui in 3 versioni

  • per pianoforte, flauto, sassofono
  • Dynamis Ensemble: Birgit Nolte, flutes – Isabella Fabbri, saxophones – Candida Felici, piano

  • per flauto e clarinetto
  • duo 1010: Stephanie Bell, flutes – Liam Hockley, clarinets

  • per pianoforte e elettronica
  • Massimiliano Viel, piano and electronic

Piano Etudes

Piano Ètudes by Jason Freeman è un altro esempio di opera aperta via web in cui l’utente crea un brano seguendo un percorso fatto di frammenti. Andate qui.

Notate:

  • dopo aver scelto uno studio, cliccando “settings” potete vedere le note o il piano roll
  • cliccando “sharing” potete salvare la vostra creazione
  • potete apporre il vostro nome come autore accanto a quello di Jason Freeman cliccando “Anonymous”

Note dell’autore:

Inspired by the tradition of open-form musical scores, I composed each of these four piano etudes as a collection of short musical fragments with links to connect them. In performance, the pianist must use those links to jump from fragment to fragment, creating her own unique version of the composition.

The pianist, though, should not have all the fun. So I also developed this web site, where you can create your own version of each etude, download it as an audio file or a printable score, and share it with others. In concert, pianists may make up their own version of each etude, or they may select a version created by a web visitor.

I wrote Piano Etudes for Jenny Lin; our collaboration was supported, in part, with a Special Award from the Yvar Mikhashoff Pianist/Composer Commissioning Project. Special thanks to Turbulence for hosting this web site and including it in their spotlight series and to the American Composers Forum’s Encore Program for supporting several live performances of this work. I developed the web site in collaboration with Akito Van Troyer.

Cos’è successo al pianista?

Nel vedere questo estratto del Concert for Toy Piano and Orchestra (2005) di Matthew McConnell, brillantemente eseguito da Keith Kirchoff, sembra che un incantesimo abbia colpito pianista e pianoforte.

Il piano giocattolo, invece, è uno strumento con un repertorio specifico (fra gli altri, Cage, che peraltro non è l’unico).

New England Conservatory Symphony Orchestra. Sergio Monterisi, conductor. Recorded in NEC Jordan Hall

R.I.P. Henri Pousseur

Nato nel 1929 a Malmédy, in Belgio, e divenuto un affermato esponente della scuola di Darmstadt insieme a Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Bruno Maderna e Luciano Berio, è stato uno dei primi a contaminare il serialismo e lo strutturalismo tipici dell’epoca con altri stilemi, seguito a breve da altri colleghi.

Da sempre interessato alla musica elettronica, ha lavorato negli studi di Colonia e di Milano, in cui ha realizzato lo storico Scambi del 1957, per poi fondare, nel 1958, lo studio di Bruxelles.

Ci siamo incontrati qualche volta, l’ultima nel 2002 a Verona. Eravamo nello stesso concerto. Pousseur presentava uno dei suoi Seize Paysages planétaires (musica elettroacustica). In quell’occasione parlammo a lungo, più di tutte le altre volte. Gli confessai che i suoi Trois Visages de Liège erano tra i brani che più mi avevano colpito quando ero ragazzino. Lui sorrideva.

Ensemble

L’AGP rilancia un vecchio vinile che contiene i risultati di un esperimento realizzato durante l’edizione del 1967 dei corsi estivi tenuti da Stockhausen a Darmstadt (il disco è stato poi realizzato nel 1971).

12 compositori sono stati invitati a scrivere dei brani per strumento solista e nastro o trasmettitore a onde corte (1 solo esecutore), tali da poter essere eseguiti simultaneamente. Per soddisfare questa condizione, i pezzi non dovevano essere dei prodotti finiti, bensì una collezione di interventi sonori suscettibili di dilatazioni e/o spostamenti temporali.
L’elenco di strumenti, compositori ed esecutori è:

Instrument Composer Musician
Flute Tomas Marco Ladislav Soka
Oboe Avo Somer Milan Jezo
Clarinet Nicolaus A.Huber Juraj Bures
Basoon Robert Wittinger Jan Martanovic
French horn John McGuire Jozef Svenk
Trumpet Peter R.Farmer Vladimir Jurca
Trombone Gregory Biss Frantisek Hudecek
Violin Jurgen Beurle Viliam Farkas
Violoncello Mesias Maiguashca Frantisek Tannenberger
Double Bass Jorge Peixinho Karol Illek
Percussion Rolf Gelhaar Frantisek Rek
Hammond Organ Johannes G.Fritsch Aloys Kontarsky

Gli esecutori sono stati poi divisi a gruppi di 2/3 i cui output venivano inviati a uno di quattro mixer ciascuno collegato a 2 altoparlanti. A un ulteriore, solitario altoparlante è collagato l’organo hammond. Ne risulta quindi uno spazio sonoro a 9 altoparlanti in cui viene diffuso simultaneamente l’insieme di tutti brani, secondo lo schema seguente:

La direzione dell’esecuzione è dello stesso Stockhausen. L’album, ormai fuori catalogo, contiene una riduzione effettuata da Stockhausen di una performance di circa 4 ore.

Potete scaricare il tutto in flac da AGP98.

ENSEMBLE is an experiment in adding a new concept to the traditional “concert”. We are used to comparing different pieces played sequentially. In ENSEMBLE “pieces” of 12 composers are played simultaneously.

These “pieces” are musical objects (“works”) not fully worked out. They are sound objects (produced on tape or with a short wave transmitter), with individual control, action and reaction models, and notated “events”, which are introduced by the composers to the ENSEMBLE play in the process of the actual performance.

Each composer has composed for one musician and tape or short wave transmitter. The total plan and the introduction of the parts for its synchronisation with the ENSEMBLE were established by Stockhausen. The twelve systems and their coordination were formulated during daily meetings. The resulting four hour process is more than the addition of the “pieces”: it is a composition of compositions, fluctuating between the complete isolation of the different events and the total dependence of each layer, and between extreme determinism and full improvisation.

On top of the 12 composers and musicians, who play together as “duos” – distributed throughout the room – four other musicians are responsible for using mixers to amplify and spacialize definite details and moments of the process via microphones and eight loudspeakers. Also, the position of the listener is not fixed. He can move in the room and thus establish his acoustical perspective.

The simultaneity of the compositions requires also that certain “pieces” should be heard together and related through superimposition.

This “verticalisation” of the perception of events and the relativisation of a definitive form (“piece” signed by an individual) happens not only in the field of music. — Notes by Karlheinz Stockhausen

Darmstadt International Music Institute
22nd International Seminar for New Music 1967, director Ernst Thomas

The LP version of “Ensemble” was realized in the WDR Electronic Music Studio between August 26 and September 22, 1971. The available material was:

– Recording of the rehearsal on August 28, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

– Recording of the concert on August 29, 1967 from 19:00-23:00 (6 stereo tapes, about 4 hours duration)

The challenge for me was to reduce a four-hour performance to 50-60 minutes, and therefore I proceeded as follows.

1. I wanted as much as possible to keep the formal pattern that we had developed during the Seminar

2. I wanted to keep a balance between the deterministic, less deterministic and non-deterministic material.

My working method was as follows:

1. I listened to all tapes of both recordings. The material that seemed to me adequate, I copied.

2. This selected material was listened to again, cutting out some sections, so that a series of musical events remained, which I deemed relevant.

3. In the third process – the most difficult one – this material was cut, faded in and out and mixed occasionally according to my vision (retaining the time plan in its basic structure)

Notes by Mesias Maiguashca

Il tecnicismo e l’interpretazione (ancora l’Escalier du Diable)

Un numero sempre maggiore di pianisti si cimenta con lo studio num. 13 dal secondo libro degli studi per pianoforte di Gyorgy Ligeti.

Come scrivevo un po’ di tempo fa, l’Escalier du Diable sta veramente diventando il brano virtuosistico per antonomasia del XXI° secolo anche grazie al fatto che, oltre ad essere difficile, è bello.

La cosa più interessante, secondo me, è vedere come, nonostante il tecnicismo estremo, resti ancora molto spazio per l’interpretazione. Si potrebbe pensare che, considerando anche il fatto che questo pezzo è musica contemporanea, che spesso richiede una visione rigorosa della partitura, e per di più è molto difficile, le qualità virtuosistiche necessarie per eseguirlo riducano drasticamente lo spazio interpretativo. Invece non è vero e al di là del dibattito sull’esecuzione migliore, che su You Tube è addirittura feroce, è bello sentire come, fermo restando il fatto che tutti gli esecutori sono tecnicamente ben preparati, altrimenti non potrebbero eseguirlo, le diverse sensibilità diano vita a delle esecuzioni molto diverse, alcune che personalmente apprezzo, altre perfino fastidiose in qualche momento, ma tutte rispettabili.

L’esecuzione di Anderson. considerata da molti la migliore

Quella di Aimard

Quella di Libetta, il cui video era scomparso e adesso riappare

Quella di Chuan Qin

Quella di Denis Kozhukhin, purtroppo, è scomparsa da youtube. Aveva ricevuto molti commenti positivi. Ma molte altre esecuzioni sono apparse…