Igudesman & Joo non sono i primi a farci ridere con i classici. Guardatevi Dudley Moore, nei primi anni ’60, mentre si lancia in una parodia della sonata beethoveniana usando il tema del Ponte sul Fiume Kwai.
In this clip from the 1950’s-60s British comedy group “Beyond the Fringe,” Dudley Moore plays a very funny but also very musically well-done parody of a Beethoven Piano Sonata, using the famous whistling tune from “Bridge Over the River Kwai” as a thematic subject.
La Julliard School ha messo in internet la propria collezione di partiture manoscritte. Da Bach a Mozart, a Beethoven, attraverso i romantici fino a Debussy, Stravinsky, Malipiero, Britten e vari altri.
Il sito funziona molto bene ed è possibile zoomare sul testo fino ai minimi dettagli. The Julliard Manuscript Collection è qui.
I colori interni di questo brano emenano da cinque citazioni dall’Apocalisse (Rivelazione IV, 3; VIII,6; IX,1; XXI,11; XXI,19-20), come lo stesso Messiaen spiega qui sotto.
I riferimenti ai canti degli uccelli si spiegano sapendo che Messiaen era anche un appazionato ornitologo. Inoltre era anche un sinesteta e precisamente percepiva colori insieme ai suoni.
The form of the piece depends entirely on colours. The themes, melodic or rhythmic and the complexes of sounds and timbres evolve like colours. In their perpetually renewed variations, there can be found (by analogy) colours that influence their neighbors, shading down to white, or toned down to black. These transformations can be compared to the superimposition of plays enacted on several stages, the simultaneous unfolding of several different stories that assume and call out for it. Plainsong Alleluias, Greek and Hindu rhythms, permutations of note-values, the bird-song of different countries were all collected and used in this work. All these accumulated materials are placed at the service of colour and of the combinations of sounds that assume and call out for it. The sound-colours, in their turn, are a symbol of the Celestial City and of Him who dwells there. Above all time, above all place, in a light without light, in a night without night… That which the Apocalypse, still more terrifying in its humility than in its visions of glory, describes only in a blaze of colours… To the song of two New Zealand birds is opposed “the abyss”, with its pedal-notes for the trombones and the resonance of tam-tams. To the cries of the Brazilian Araponga is opposed “the coloured ecstasy” of pedal points. The work ending no differently from the way it began, but turning on itself like a rose-window of flamboyant and invisible colours.
Olivier Messiaen, Les Couleurs de la Cité Céleste, per piano, 3 clarinetti, 3 xilofoni, ottoni and percussioni. Orchestre National de France, Myung-Whun Chung, Conductor
L’idea di costruire una macchina in grado di riprodurre la musica è sempre esistita.
La prima macchina “musicale” di cui abbiamo notizia è la colossale statua di Memnone a Tebe, costruita intorno al 1500 AC. In realtà si tratta di due statue gemelle che rappresentano il faraone Amenhotep III (XV secolo AC) in posizione seduta, con le mani sulle ginocchia e lo sguardo rivolto a est, verso il fiume e il sole nascente. Solo una di esse, però, era sonora.
Il nome con cui sono tuttora conosciute queste statue, Colossi di Memnone, fu coniato dagli storici greci, che le associarono all’eroe mitologico.
Memnone, infatti, è un personaggio omerico: re etiope, figlio dell’Aurora e di un principe troiano, accorse in aiuto di Troia e perì sotto le sue mura per mano di Achille.
Nell’immaginazione dei visitatori di età classica, l’eroe raffigurato nella statua salutava la madre (Eos dea dell’alba) con un suono come di corde di cetra che si spezzassero. La cosa è stata spiegata con la presenza, nella quarzite in cui è intagliata la statua, di cristalli, i quali in un certo qual modo si assestavano in seguito alla differenza di temperatura, veramente notevole in quella zona, tra la notte ed il giorno. [ipotesi del prof. Barocas].
Dopo un restauro, effettuato in epoca romana per volere dell’imperatore Settimio Severo, nel 199 d.C. i suoni cessarono di essere udibili.
If music were to assume human form and explain its essence, it may say something like this: “…I love the vast surface of silence; and it is my chief delight to break it.”
Se la musica potesse assumere forma umana e spiegare la propria essenza, direbbe qualcosa come: “…Amo l’immensa superficie del silenzio; e il mio principale piacere consiste nell’interromperla”. [trad. mia]
La citazione, tratta dal blog di Alex Ross, è molto bella e poetica, ma io non la condivido. È inconsistente. Sono solo belle parole messe in fila.
Prima di tutto perché ripropone l’antica contrapposizione fra suono e silenzio, che Cage ha mostrato essere illusoria.
Finché c’è un mezzo che trasporta il suono, il silenzio, infatti, non esiste. Cage racconta la parabola della camera anecoica nella quale, chiuso in una stanza ermetica al suono, egli cominciò a sentire i suoni prodotti all’interno del proprio corpo: il basso hum della circolazione sanguigna e il beep del sistema nervoso.
Allora qualcuno ha tentato di risolvere l’impasse affermando che dove c’è vita c’è suono, ma nemmeno questo è vero. Nel deserto più deserto possibile, la sabbia si riscalda e poi si raffredda emettendo un leggerissimo sibilo e una quantità di altrettanto flebili crick. E i deserti di ghiaccio sono ancora più rumorosi.
Bisogna andare fuori da qualsiasi atmosfera per trovare il silenzio, ma qui nemmeno la musica ha spazio. Il suono e quindi il non-silenzio è la condizione perché la musica esista.
Allora la musica non emerge dal silenzio, può solo emergere dalla non musica. Quindi la musica è suono organizzato, come affermava Varèse?
Forse, ma organizzato da chi? O da cosa? Il vento che soffia fra due montagne in una valle dimenticata o il disgelo della Dvina sentito dall’alto di una collina producono della musica coerente, che trova in sé stessa la propria giustificazione e arriva a degli estremi di dolcezza e di forza con cui le nostre composizioni non possono nemmeno competere…
Se ne è accorto perfino Bob Dylan: Lay down your weary tune, lay down, Lay down the song you strum
And rest yourself ‘neath the strength of strings, No voice can hope to hum
The ocean wild like an organ played, The seaweed wove its strands
The crashing waves like cymbals clashed, Against the rocks and the sand
Russian sound artist Polina Voronova creates shimmering tapestries that walk the fine line between pretty and mystical. Minimal and drone oriented, her compositions are often delicate and full are bell-like tones; a city of chimes and tuning forks.
The album is free available from the Excentrica netlabel in 320kbps MP3.