Tomba di Oggi, 21/11

purcell
Henry Purcell.
È sepolto nientemeno che nell’Abbazia di Westminster, insieme alla moglie Francisca.

Comunque ci sarebbe anche l’anaconda Samantha, uno dei più grossi serpenti mai visti (più di m 7.70) che viveva allo zoo del Bronx e ora riposa al Museo di Scienze Naturali a Manhattan.

Maderna Elettronico

A differenza delle scuole tedesca e francese, la politica dello Studio di Fonologia della RAI di Milano, fondato nel 1955, è stata sempre improntata all’empirismo e al lasciare i compositori liberi di ricercare in qualsiasi direzione puittosto che conformarsi a delle dichiarazioni di principio. Maderna e Berio, i primi a lavorarvi, coadiuvati dal tecnico Marino Zuccheri, si accostano a queste nuove tecniche senza determinismi e idee preconcette circa la loro organizzazione confrontandosi con il materiale. Più tardi, nel 1960, a loro si aggiunse Nono.

La sensibilità musicale di Maderna ottiene subito dei risultati con Notturno (1956), un’opera quasi sussurrata, da ascoltare in pianissimo e Continuo (1958). Di quest’ultimo brano esistono pochi appunti di Maderna che lo descrive come un pezzo avente alla base un unico suono che passa attraverso 22 stadi di lenta e graduale trasformazione, senza soluzione di continuità. Secondo la testimonianza di Marino Zuccheri, però, quell’unico suono non sarebbe sintetico, bensì una nota del flauto di Gazzelloni.
Il risultato, per l’epoca, è affascinante in ogni caso perché qui si lascia che sia il materiale a evolversi e a dettare le proprie regole. Il sonogramma approssimato che potete vedere è di Giordano Montecchi, che ha svolto un’attenta analisi su questo brano pubblicata nei Quaderni della Civica Scuola di Musica, num. 21-22, 1992, Milano (click immagine per ingrandire).

Ascolta Continuo.

continuo

Un’ultima considerazione riguarda lo Studio di Fonologia della RAI di Milano, che ha chiuso per obsolescenza nel 1983. Lo Stato Italiano lo ha fondato e così lo ha lasciato, senza mai aggiornarlo. Già da molti anni non vi lavorava più nessuno.
Una struttura che ha svolto un ruolo importantissimo nella sperimentazione sonora degli anni ’50 e presso la quale hanno lavorato musicisti come Bruno Maderna, Luciano Berio, Luigi Nono, John Cage, Henri Pousseur, Vladimir Ussachevsky, Franco Donatoni e molti altri e che, di conseguenza, si era costruita una reputazione nell’ambiente musicale mondiale è andata buttata solo per mancata volontà, non certo per costi. Tutto ciò getta una luce ancora più sinistra sulla totale assenza dimostrata in tempi recenti dalle istituzioni italiane per quanto riguarda la sperimentazione sonora.

Ascolta Continuo.

Pianoforte Preparato

pianoforte preparato
Il periodo del pianoforte preparato inizia nel 1940 con il brano Bacchanale di Cage, composto per la danza di Syvilla Fort.
Può darsi che Cage non sia stato il primo a introdurre materiali vari nel pianoforte, ma sicuramente è il primo che lo fa consciamente e sviluppa l’idea, per cui la storia lo ricorda come l’inventore di questo ‘strumento’. In effetti, nelle sue mani, il pinoforte preparato si trasforma in un ensemble piano-percussioni con sonorità che vanno dalla marimba, a piccoli tamburi, fino al pianoforte vero e proprio, passando per i suoni metallici di campane non intonate i cui rintocchi sono dedicati non a un Dio, ma al Nulla.
Analiticamente, possiamo esaminare le preparazioni per le Sonatas & Interludes (1948), di cui vedete una immagine del risultato (click immagine per ingrandire). In base all’effetto acustico, si possono classificare in 4 categorie:

Oggetto inserito Effetto Note
Pezzi di gomma o altro materiale smorzante Simile allo smorzatore: il suono viene bloccato
con effetto percussivo
Il suono è più o meno smorzato in base alla distanza dell’oggetto dal punto di percussione
Viti o altri oggetti metallici puntuali Creazione di un ‘nodo’ nella corda con produzione simultanea di più suoni Il risultato dipende strettamente dalla distanza dell’oggetto dal ponte: sui punti in cui si producono armonici, questi ultimi vengono evidenziati.
In punti diversi si producono suoni non armonici con sustain più breve
Lamelle o altri oggetti vibranti La nota, più o meno smorzata, è accompagnata dalla vibrazione della lamella
Oggetti posati sulle corde Intensa vibrazione

Infine, bisogna tener presente che l’inserimento di oggetti altera più o meno leggermente la tensione delle corde fra cui sono inseriti, quindi si hanno anche effetti di leggera scordatura.
In questi brani, le preparazioni non sono oggetto del caso. Cage di che esse «vanno scelte come le conchiglie su una spiaggia», cioè in modo intuitivo, senza un piano preciso.
Dal 1940 al ’52, scriverà circa 30 pezzi per questo strumento di cui è, ovviamente, il principale utilizzatore, ma che, soprattutto negli Stati Uniti, verrà usato anche da altri compositori. In Europa, invece, la cosa ha scarso seguito. Gli europei, a partire dai primi anni ’50, si dedicano a un intenso studio per allargare le possibilità acustiche del pianoforte creando suoni compositi di cluster e note singole con diverse durate e dinamiche, arrivando a risultati decisamente belli (pensiamo soprattutto a Stockhausen), quanto di difficile esecuzione, ma raramente osano toccare l’interno del piano che rimane come un feticcio freudiano nella cultura musicale europea. Vale la pena di notare, però, come l’effetto di una singola vite di Cage sia spesso paragonabile a un intero suono composito.
La giustificazione portata dal nostro per l’invenzione del pianoforte preparato è in sè stessa una provocazione tale da far saltare i nervi a qualsiasi europeo. Secondo la tradizione artistica europea, le innovazioni arrivano come risultato di una ricerca oppure come effetto collaterale di quest’ultima (vedi il saggio di Stockhausen su Scoperta e Invenzione). La spiegazione di Cage è, invece, assolutamente pratica: per la danza di Syvilla Fort serviva un gruppo di percussioni, ma, nei piccoli teatri in cui si esibiva, non c’era sufficiente spazio, per cui il pianoforte è stato trasformato in modo da produrre anche suoni percussivi.
Tornando alle Sonatas & Interludes, possiamo notare come, nonnostante il titolo, siano formalmente lontane dalla sonata classica:

  • le Sonate 1-8 e 12-16 hanno struttura ritmica AABB
  • gli Interludi 1-2 non hanno alcuna ripetizione
  • gli Interludi 3-4 e le Sonate 9-11 sono composte da preludio, interludio, postludio

È interessante ascoltare una sonata, per es. la prima, guardando la partitura (click immagine qui sotto per ingrandire). Si nota che corrispondenza suono – segno non esiste più.
Le Sonatas & Interludes, infatti, hanno effetti collaterali che vanno al di là dell’opera in sè stessa. Se ci pensate, infatti, siamo in presenza di un deciso mutamento nella funzione della partitura.
La normale partitura è una ‘partitura di risultato’. Essa informa l’interprete di ciò che il compositore vuole ottenere, non di quali azioni si debbano compiere per ottenerlo. Quest’ultima parte è compito dell’esecutore che deve capire il brano, costruirsi una diteggiatura, eccetera.
Nella partitura delle Sonatas, invece, c’è una differenza fondamentale: non sempre il risultato corrisponde a quanto è scritto. L’esecuzione di una nota, spesso, non produce quella nota, ma un suono che con quest’ultima può anche avere ben poco a che fare. Pensateci bene: l’analisi pura e semplice della partitura, senza sapere niente delle preparazioni, porterebbe su una strada completamente sbagliata. In questo caso, la partitura non è l’opera.
Si tratta, quindi, di uno dei primi esempi moderni (perché andando indietro esistono le intavolature) di ‘partitura operativa’ in cui il compositore non indica il risultato, ma le azioni da compiere. Il risultato, poi, è altra cosa.

John Cage (1912-1992) . Sonatas and Interludes (1946-48) for prepared piano
Orlando Bass, piano

Sonata 1 // 00:07 Sonata 2 // 02:21 Sonata 3 // 04:13 Sonata 4 // 06:20 Interlude 1 // 08:20 Sonata 5 // 11:10 Sonata 6 // 12:50 Sonata 7 // 15:08 Sonata 8 // 17:21 Interlude 2 // 19:21 Interlude 3 // 22:43 Sonata 9 // 25:22 Sonata 10 // 28:32 Sonata 11 // 30:46 Sonata 12 // 33:15 Interlude 4 // 36:25 Sonata 13 // 39:40 Sonata 14 // 42:40 Sonata 15 // 44:40 Sonata 16 // 46:45

Tomba di Oggi, 19/11

schubert
Non poteva mancare: Franz Schubert.
Come nel caso di Beethoven, le spoglie sono state traslate dall’antico Wahringer Friedhof (che oggi, guarda caso, è il parco Schubert) al Zentral Friedhof (cimitero centrale), ovviamente a Vienna.

Balalaika Contrabbasso

balalaika

Certo anche suonare la balalaika contrabbasso è dura…
È accordata Mi – La – Re, dalla terza alla prima corda.
Si tiene a tracolla, ma in realtà poggia a terra. Se osservate l’angolo, infatti, potete vedere un puntale.

Playing double bass balalaika it’s hard…
It is tuned E, A, D from low to high string.
The size and shape of the instrument require the player to play in an upright position. A metal pin protrudes from the instrument. Thus, neither the body of the instrument nor its soundboard touch the player and a great resonant effect is created, resulting in a powerful, long and deep sound.

Da English Russia

Pop (?) music that I loved (2)

moles
Allora, finché qualcuno non mi indicherà un modo formale per distinguere il pop dal resto, andrò avanti con questo titolo. :mrgreen:

1971. Robert Wyatt lascia i Soft Machine (altro gruppo che farà parte di questa serie) e forma i Matching Mole, che da un lato significa “le talpe combattenti” e dall’altro è una storpiatura in francese del nome della precedente band (machine molle).

    • Formazione

Robert Wyatt – drums, voice, mellotron
Phil Miller – guitar
Dave McRae – electric piano, organ
Bill McCormick – bass
David Sinclair – piano, organ

Intellettuali, comunisti, un pizzico di dadaismo. Interessanti trovate armoniche e vocalismi che Wyatt interpreta nel suo personalissimo modo, come un canticchiare sotto la doccia.
Qui abbiamo un pezzo che parla di sè stesso. Si intitola Signed Curtain. Il testo è quasi meta-musicale:

seguitelo insieme alla musica.

This is the first verse
The first verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another part
Of the song that I am singingThis is the second verse
Could be the last verse
The second verse
Probably the last verse
And this is the chorus
Or perhaps is a bridge
Or just another key changeNever mind
It doesn’t hurt
And only means that I
Lost faith in this song
‘Cause it won’t help me reach you…
Questo è il primo verso
Il primo verso
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O un’altra parte
Della canzone che sto cantandoQuesto è il secondo verso
E potrebbe essere l’ultimo
È il secondo verso
Probabilmente l’ultimo
E questo è il ritornello
O forse un ponte
O solo un’altra modulazioneNon importa
Non fa male
Significa solo che
Ho perso fiducia in questa canzone
Perché non mi aiuta a raggiungerti…

Ligeti – Études pour piano

Idil Biret esegue gli studi di Ligeti, Libro I° (1985), fre  cui il nr. 6, questo bellissimo “Automne à Varsovie” che, al di la della difficoltà, è quasi nostalgico.
Potete comunque ascoltare quello che volete cliccando il menu in alto a destra.

Maderna

madernaMaderna (nella foto, con Berio) è morto il 13 Novembre 1973 a soli 53 anni.
Il suo necrologio su Le Monde diceva “…il sole e la luna sono sempre presenti nella sua musica…”.
ANABlog lo ha ricordato mettendo in linea vari pezzi fra cui questa Serenata 2a, piena di bellissimi e delicati colori orchestrali (ascoltatela in un momemto di calma: è davvero bella).
Chissà perché queste cose le trovo sempre e solo all’estero; qualcuno ha scritto una riga da noi?

Pierrot

Schönberg – Pierrot Lunaire op. 21 (1912)
per voce, pianoforte, flauto (ottavino), clarinetto (clarinetto basso), violino (viola), violoncello.

Composta nel 1912 è forse l’opera più famosa di Schoenberg, per la novità degli impasti timbrici, per la sua carica espressiva, per la sua particolare tecnica vocale.
Basandosi su 21 poesie del simbolista belga Albert Giraud (1884), nella traduzione tedesca di Otto Eric Hartleben, divise in 3 gruppi di 7, l’immagine romantica di Pierrot, eroe malinconico e triste, è deformata in smorfie, proiettata in immagini ora grottesche, ora ironiche, in visioni allucinate, grazie alla vocalità estraniata dello sprechgesang e alle straordinarie invenzioni strumentali che lo accompagnano.
In quest’opera, la voce utilizza per la prima volta la tecnica dello Sprechgesang (o Sprechstimme), che non è né canto intonato, né “recitar cantando”. Nella prefazione alla partitura, che farà testo, il compositore fissa rigorosamente le norme dell’interpretazione. La voce deve osservare rigorosamente la notazione ritmica portando la parola a toccare la nota, ma mai a fissarla, facendo oscillare l’intonazione in un continuo crescendo e diminuendo e collegandosi con un sensibile portamento alla sillaba seguente
L’orchestrazione è la più varia e rutilante di invenzioni. Soltanto in 6 dei 21 brani il gruppo strumentale entra al completo a creare un complesso tessuto polifonico intorno alla voce, mentre negli altri gli strumenti intervengono a gruppi di 2, 3 o 4 e nel settimo pezzo, La luna malata, è un flauto solo che contrappunta la voce.
Dal punto di vista compositivo, Schoenberg sperimenta con grande libertà e varietà. Alcuni pezzi (per es. il No 13) hanno una continuità amorfa, quasi un stream of consciousness. Altri, come il No 8, si basano su piccole cellule generative. Altri ancora impiegano ostinati, altri, canoni.
Il brano No 18, Der Mondfleck, esibisce una polifonia incredibilmente intricata. E’ quasi una fuga a tre voci, la cui forma è a tratti oscurata dall’incrociarsi di altre parti e da occasionali note supplementari. Il clarinetto e l’ottavino formano canoni in diminuzione rispetto alle prime due voci. Un terzo canone, indipendente dagli altri è creato da violino e violoncello. A metà del brano, l’ottavino e il clarinetto, che procedono a velocità doppia rispetto alla voce principale, arrivano alla fine del canone e quindi invertono il loro moto formando canoni retrogradi in diminuzione.
Il disegno polifonico, caratterizzato soprattutto da intervalli di 7a e 9a, dà vita a complessi e sottili rapporti cromatici creando un’atmosfera tagliente che ben si lega alle immagini allucinate del testo tedesco di Hartleben, ben superiore all’originale un po’ dolciastro ed estetizzante di Giraud.

Clicca l’immagine per ingrandire.

partitura

Ascolta Der Mondfleck