Bologna. Il 23 giugno del 1643, su richiesta dei professori e studenti dell’Università fu avanzata al Comune una perentoria protesta affinché fosse fatto divieto al transito per i carri attorno all’Archiginnasio per consentire agli studenti di studiare nel dovuto silenzio. L’istanza fu accolta.
[Tratto da Sounday Times, Il rumore e la città – considerazioni sul convegno la città nel rumore il rumore nella città]
Questo non per fare un elogio dei bei tempi andati, ma solo per sorridere un po’ 🙂 . In fondo parliamo di quasi 400 anni fa.
I Fisher-Price Nursery Monitor sono gli antenati (ca. 1983) degli odierni baby monitor con cui si può ascoltare il pargolo a distanza, anche via cellulare. L’ingombrante modello degli anni ’80 era costituito da un trasmettitore e da un ricevitore operanti su frequenze radio. Darsha Hewitt ha trovato un modo di riutilizzare questo dispositivo ormai obsoleto.
The Fisher-Price Nursery Monitor (circa 1983) was a low watt household radio set originally intended to “let parents be in two places at once” by broadcasting the cries of a baby in distress to a mobile receiver accompanying a parent outside of earshot. However, when in very close proximity these devices produce audible feedback that sounds uncannily like whimpering electronic babies. Feedback Babies is an electromechanical sound apparatus that makes use of slow moving motors to automate these transmitters in order to create nuanced feedback patterns.
Cities & Memory è l’ennesima mappa sonora dell’orbe terracqueo, ma è anche una delle più curate perché ha varie sezioni, ordinamenti e collezioni.
Cities and Memory is a global field recording & sound art work that presents both the present reality of a place, but also its imagined, alternative counterpart – remixing the world, one sound at at time.
Every faithful field recording document on the sound map is accompanied by a reworking, a processing or an interpretation that imagines that place and time as somewhere else, somewhere new. The listener can choose to explore locations through their actual sounds, or explore interpretations of what those places could be – or to flip between the two different sound worlds at leisure.
There are currently [dec 2014] more than 350 sounds featured on the sound map, spread over 23 countries.The sounds cover parts of the world as diverse as the hubbub of San Francisco’s main station, traditional fishing women’s songs in Lake Turkana, the sound of computer data centres in Birmingham, spiritual temple chanting in New Taipei City or the hum of the vaporetto engines in Venice.
The sonic reimaginings or reinterpretations can take any form, and include musical versions, slabs of ambient music, rhythm-driven electronica tracks, vocal cut-ups, abstract noise pieces, subtle EQing and effects, layering of different location sounds and much more.
The project is completely open to submissions from field recordists, sound artists, musicians or anyone with an interest in exploring sound worldwide – more than 60 contributors have got involved so far.
Cities and Memory takes its name and original inspiration from Italo Calvino’s book Invisible Cities, which explores how people can experience the same place in dramatically different ways.
The Electrostatic Bell Choir is an electromechanical sound installation that plays with the static electricity emitted from discarded CRT television monitors. This static (that can be felt when one places their hand on the screen when the TV is turned on) is gleaned for its potential to generate subtle movement and is used as the driving kinetic force in the artwork. Sets of static bells consisting of ultra lightweight pith balls and bells from old grandfather clocks and rotary telephones are mounted in front of an assembly of twenty reclaimed Cathode Ray Tube television sets. A control circuit cycles the TVs on and off in alternating sequences which causes static to build up on the monitors. This static charge agitates the hanging pith balls, causing them to waver and lightly strike the bells ‐ resulting in quasi‐melodic compositions. The TVs are muted, tuned to various channels of white noise and physically spatialized in order to devise a dynamically layered soundscape textured with the signature high-frequency hums, pops and buzzes of the cathode ray tubes warming up. Although compositions are programmed into the piece, it inevitably takes on a character of its own as the static fluctuates and dissipates in response to ethereal nuances (i.e.: changes in air quality such as humidity). The glow of the screens and the subtle resonance of the bells magically punctuate the dark surroundings of the installation.
Electrostatic bells were invented in 1742 by Andrew Gordon, Professor of Natural Philosophy at the University at Erfurt, Germany. This is the first device known to convert electrical energy into mechanical energy (the moving of a bell clapper back and forth between two oppositely charged bells). It was popularly used at the time to predict oncoming thunderstorms by sensing static electricity in the air. The Electrostatic Bell Choir aims to focus the sensibility of this invention to a more personal scale where it demonstrates the intriguing effects of the invisible environment that constitute our domestic spaces. The artwork is at once mysterious yet can be tangibly deconstructed as the relationship between the static charges and the bells is observed as the TVs illuminate and catalyse the effect.
The Quiet Ensemble è un collettivo artistico formato da Fabio Di Salvo & Bernardo Vercelli.
Nella loro installazione The Enlightenment ogni lampada è dotata di un sensore che ne cattura il campo elettromagnetico. Il ronzio che si genera viene inviato al computer e poi all’impianto di amplificazione. Dalle note degli autori (di seguito), non è chiaro se il suono venga elaborato in qualche modo o semplicemente mixato e amplificato.
Un concerto in cui l’orchestra classica e gli strumenti vengono sostituiti da un set up elettrico. Al posto dei violini suonano i neon, a sostituire i tamburi sono le lampade stroboscopiche e al posto dell’arpa vediamo un faro teatrale che illumina il pubblico. Saranno quindi luci di ogni genere a sostituire gli strumenti musicali.
Ogni tipo di lampada ha un suono proprio, costituito dall’amplificazione della propria “ronza”, quel rumorìo di disturbo che solitamente viene eliminato durante concerti e spettacoli, generato dall’energia elettrica che alimenta ogni singolo faro.
Le frequenze che emettono le luci si sentono sotto pelle e variano in base alla dimensione ed al tipo d’illuminazione della lampada.
Per estrapolare il suono nascosto delle luci viene utilizzata una bobina di rame.
Ogni lampada ha un proprio sensore che ne percepisce il suono; quando la lampada irradia la luce, il sensore ne cattura il campo elettromagnetico presente intorno al flusso energetico e il rumore viene trasportato attraverso dei cavi microfonici al computer per poi uscire direttamente dall’impianto audio rivelando il “concerto invisibile”.
Ben Burtt, sound designer, spiega come è stato creato il suono, in parte comico, del malfunzionamento dell’iperdrive del Millennium Falcon in Star Wars.
Il suono in questione è il missaggio di otto suoni diversi, quasi tutti prodotti da false partenze o spegnimento di motori o ingranaggi. Il che dimostra, ancora una volta, che, per fare il sound designer, non serva poi essere degli esperti in tecnologie, quanto essere creativi e soprattutto aver passato così tanto tempo ad ascoltare e sperimentare con il suono da riuscire a capire quale effetto può fare un certo suono, magari iper-amplificato o con la velocità cambiata.
In effetti, in questo esempio, la tecnologia arriva, al massimo, a un mixer e a un registratore a velocità variabile. E di questo è fatto il 98% degli effetti cinematografici più famosi (in Star Wars fa eccezione il suono di R2D2 creato con un sintetizzatore analogico ARP 2600).
Ben Burtt ha creato quasi tutti i suoni di Star Wars mediante missaggi. Per la voce di Chewbacca, per esempio, ha registrato centinaia di suoni di orsi, trichechi, leoni e altri animali. Poi ha cercato di catalogarli in base alle emozioni che trasmettevano e fondendoli insieme, ha creato il linguaggio di Chewbacca.
È interessante, poi, sentire come ha creato il famosissimo suono della spada laser:
Burtt said he could “hear the sound in his head.” At the time, he was still a graduate student at USC and was working as a projectionist. The old projector had an interlocked motor which, when idle, made a “wonderful humming sound.” Burtt recorded it, and it became the basis of the lightsaber sound. But it wasn’t enough — he needed a buzzing sound, and he actually found it by accident. Walking by television set with a live microphone, the microphone picked up the transmission from the unit and produced a buzz. Burtt loved it, recorded it, and combined it with the projector motor, creating a new sound that became the basic lightsaber tone. To achieve the aural effect of a lightsaber moving, he played the hum out of a speaker and waved a microphone by it; doing so created the fascimile of a moving sound, and in this case, the sound of a Jedi or Sith wielding a weapon in battle.
Il tutto fa pensare alla vecchia conferenza di Stockhausen su scoperta e invenzione, la cui essenza è che in campo musicale (e sonoro), alcune cose accadono perché sono state progettate, mentre altre si scoprono per puro caso, spesso lavorando a qualcos’altro.
Invisible Cities (2013) è un’opera di Christopher Cerrone, compositore e librettista, ispirata alle Città Invisibili di Calvino, pubblicato nel 1972.
La fruizione è inusuale. Il palcoscenico è la storica Union Station di Los Angeles. Non c’è separazione fra gli strumentisti, i danzatori, i cantanti e il pubblico: tutti si aggirano per la stazione e il pubblico può ascoltare la musica dovunque, essendo dotato di cuffie wireless (il main sponsor è Sennheiser). E devo dire che ambientare quello che, sia pure solo in superficie, è un racconto di viaggi in un luogo deputato ai viaggi è una bella idea.
Perché l’opera narra, appunto, il racconto di Marco Polo a Kublai Khan. I suoi viaggi e le favolose città che ha visto: alcune reali, altre frutto dell’immaginazione. Città di desiderio, di segni, e di memoria.
La musica è semplice, quasi minimalista, di quella tipica tonalità americana che, grazie alla ripetizione, annulla il dramma tonale per diventare quasi drone music (ma si può anche sentirvi la netta influenza di Escalator Over The Hill di cui potete leggere fra i collegamenti, sotto). Nel player, qui sotto, potete ascoltarne una parte, ma il modo migliore per farsi un’idea è andare sull’apposita pagina dove si possono vedere dei video ad alta risoluzione, girati nella Union Station, con audio molto buono.
Note dal sito dell’autore:
The music of Invisible Cities is the result of my first collision with Calvino’s extraordinary novel. For years I had been unable to bridge categories of music, thinking that a work could be either lyrical or conceptually rigorous, but not both. Calvino’s novel, however, is both a tightly structured mathematical work, yet also opens with the gorgeous line:
“In the lives of emperors there is a moment which follows pride in the boundless extension of the territories we have conquered, and the melancholy and relief of knowing we shall soon give up any thought of knowing and understanding them.”
After reading that sentence—so pregnant with meaning, lyricism, mood—I immediately began composing. I imagined the sound of a unearthly resonant and gong-like prepared piano, the ringing of bells, and wind players gently blowing air through their instruments. All of this would support a lyrical and deep voiced Kublai Khan who is slow moving and sings with gravitas. I imagined there would be two women, two high sopranos, who always sing together in harmony: they would be the musical personification of the cities that pervade the novel. And of course, our Italian explorer would be a tenor, light and quick moving, melismatic, and deft.
As with Calvino, there are many formally derived components to my opera. The orchestra is split into two (left and right) halves which alternate melodies to create the whole. The left part is associated Marco Polo, the right is associated with Kublai Khan. And the opera is structured as formally as the novel, always alternating Polo and the Khan’s conversations with Polo’s stories of le città.
To borrow a term from of one of Calvino’s favorite writers, Jorge Luis Borges, Invisible Cities is a garden of forking paths. As the work progresses, you might find yourself wandering back to the same place in Union Station again and again only to find new things happening each time. In the same way, the same few musical ideas of Invisible Cities are revisited again and again, just from vastly different perspectives. As we grow and evolve, the same objects in our lives can acquire such different meanings. That above else governs what Invisible Cities is about: how our memories change as we get older, how our map of the world gets larger, and how our past is always being changed by our ever-shifting present.
Listen to Wikipedia è una sonification dei cambiamenti fatti in wikipedia in tempo reale, con relativa visualizzazione. Quest’ultima esisteva già, ma adesso Hatnote ha aggiunto un gradevole audio.
Dei suoni tipo campana indicano aggiunte a un articolo, mentre le corde pizzicate suonano quando si cancella qualcosa. Le altezze sono pilotate dall’entità dell’editing (più grande = nota più bassa). Un dolce accordo di archi sottolinea l’entrata di un nuovo utente.