Go on, kiddo!

Questa è grande! ROTFL (rolling on the floor laughing).
È una lettera a una rubrica di consigli (Ask Amy) di un giornale locale USA, segnalata da The Well Tempered Blog.
Ve la traduco.

Cara Amy:
Mio cugino undicenne è un musicista dilettante, ma la sua “musica” consiste nel martellare il piano il più forte possibile per ore.
(non è disabile o autistico, solo un ragazzino medio)

Il suo modo di suonare il piano diventa un problema quando lui e i suoi vengono alle riunioni di famiglia a casa dei miei genitori. Per tutto il tempo in cui la sua famiglia è da noi, lui martella sul nostro piano, persino durante il pranzo di Natale o del Giorno del Ringraziamento.
È veramente antipatico e rovina quella che dovrebbe essere una piacevole giornata in famiglia.

I suoi genitori sembrano pensare che le sue pagliacciate musicali indichino che ha “talento”, di conseguenza non fanno niente per limitarlo, nemmeno quando vanno a casa degli altri. In effetti, spesso siedono accanto al piano e lo ascoltano in adorazione. Prenderebbero come un insulto qualsiasi richiesta di farlo smettere, anche solo per un po’.

Con delicatezza abbiamo suggerito di mandarlo a lezione di musica per migliorare il suo stile, ma i suoi genitori pensano che le lezioni “soffochino la sua creatività” e lo spingano a “perdere interesse per la sua arte.”
Adesso che si avvicina il Giorno del Ringraziamento, mia madre ed io stiamo cercando un modo appropriato di trattare il problema, ma ormai siamo alla frutta.

E si firma:

The Piano Police.

Dowland by Sting

Sting - Dowland
Finalmente esce il nuovo disco DGG in cui Sting canta Dowland accompagnato da Edin Karamazov, di cui tutti dicono un gran bene.

Considerato lo spirito con cui Sting ha registrato questi pezzi (“Per me queste sono canzoni pop del 1600, e così le eseguo; bellissime melodie, testi fantastici e geniale accompagnamento”), questi due brani, gli unici che ho ascoltato, non mi sembrano niente male, anche se, in questa stessa ottica, preferivo Maddy Prior (Steeleye Span).
A volte Sting suona un po’ finto, nel senso che sembra si sforzi di cantare in un modo più controllato del solito. Un’altra cosa che a tratti noto, soprattutto nel primo dei due pezzi, è un certo contrasto fra la non abitudine di Sting a queste musiche e la naturalezza del suono di Edin Karamazov, per cui Dowland è la cosa più normale del mondo.
Comunque l’idea che per ora mi sono fatto non è negativa. Anzi, pensandolo come un disco da top ten, avercene di dischi così.

Una cosa che, invece, mi disturba, è il fatto che, in copertina, il nome di Dowland è alto 1/10 di quello di Sting (e peraltro, anche quello di Karamazov che non è proprio un comprimario banale, quasi non si vede). Non dite che esagero. Nemmeno Abbado se lo può permettere e comunque non lo penserebbe neppure.
Mi spaventano, inoltre, le cazzate totali sparate dai soliti giornalisti le cui dita hanno da tempo dichiarato la secessione dal cervello. Oggi l’Indipendent scrive: “Sting plucks lute composer from obscurity”.
Obscurity? Dowland è uno che viene eseguito da 500 anni e tuttora viene saccheggiato a man bassa dai cantautori. Sting non so.

Ecco una playlist

La Zona del Disastro

La prossima settimana, nello stato del Meghalaya (NE India), 8000 batteristi suoneranno insieme per tentare di battere il record di performance simultanea (dovranno suonare in sincrono per almeno 5 min.) ed entrare nel Guinness come “largest drum ensemble” (fonte: Telugu Portal).
Suppongo che il paese sarà dichiarato zona disastrata.
Esistono comunque anche cose più tremende. Come la riunione di 230 banjo che martellano “Foggy Mountain Breakdown”, o il tentativo di battere il record di 1800 armoniche che fortunatamente non è riuscito.

A questo proposito mi torna in mente la buonanima di Douglas Adams che, nella sua Guida Galattica per Autostoppisti (The Hitch-Hiker’s Guide to the Galaxy) e precisamente del Ristorante al Termine dell’Universo, parla di Hotblack Desiato, la rockstar morta, e della sua band “La Zona del Disastro”, la band più assordante della galassia.
Dunque, da quel che ricordo, La Zona del Disastro è una band di rock elettronico che suona a un volume tale da non potersi esibire su alcuni pianeti perché i loro concerti violerebbero i locali trattati di limitazione delle armi strategiche.
La performance avviene per via olografica, cioè sul luogo del concerto vengono proiettati solo gli ologrammi della band che in realtà sta suonando su una astronave in orbita intorno al pianeta, o, più spesso, in orbita attorno a un pianeta diverso.
Ovviamente, con un simile volume, il pubblico non può semplicemente radunarsi intorno al palco. Il muro degli amplificatori raggiunge una altezza tale da essere scambiato per la skyline di Manhattan e per un raggio di vari chilometri, ogni cosa viene rasa al suolo dalla potenza delle onde sonore. Il luogo migliore per assistere al concerto è prenotare un posto negli appositi bunker di cemento armato piazzati a circa 60 km dal palco.
Anche il successo della band ha proporzioni megagalattiche. I loro incassi sono praticamente incalcolabili e infatti il loro contabile ha ricevuto la laurea ad honorem in meta-matematica dall’università di Princeton.
Di conseguenza, si pone il problema di sfuggire alle tasse (tutto il mondo è paese). Proprio per questo il leader, Hotblack Desiato, rimane in animazione sospesa per più di 6 (o 8, non ricordo bene) mesi all’anno e si fa dichiarare legalmente morto, diventando, appunto, la rockstar morta.
Addio e grazie per tutto il pesce.

Kritiko Kreativo

Generalmente trovo i critici abbastanza insulsi, ma quando sono come David Perkins del Boston Globe, mi piacciono:

Brünnhilde made a guest appearance Friday night in the middle of J.S. Bach’s joyous Cantata No. 51 (“Jauchzet Gott!”), a piece usually sung by lyric sopranos of the Kathleen Battle mold. On the word “Alleluja,” a remarkable high C came out of the mouth of Barbara Quintiliani and, parting audience members’ hair on the way, blazed out of Faneuil Hall into the night sky.

(Google trans.)
Brünnhilde ha fatto un’apparizione come ospite venerdì sera nel mezzo della gioiosa Cantata n. 51 di J.S. Bach (“Jauchzet Gott!”), un pezzo solitamente cantato da soprani lirici del calibro di Kathleen Battle. Sulla parola “Alleluja,” un notevole Do acuto è uscito dalla bocca di Barbara Quintiliani e, scostando i capelli dei membri del pubblico, è esploso dalla Faneuil Hall verso il cielo notturno.

Articolo originale segnalato da Soho the Dog.

Disordini a Teatro

Disordini a teatro ce ne sono stati tanti, ma probabilmente nessuno ha avuto la valenza culturale di quelli scatenatisi durante la prima della Sagra della Primavera di Stravinsky, con le coreografie di Nijinsky e i Balletti Russi di Diaghilev, il 29 maggio 1913 al Théatre des Champs-Elysées a Parigi.
Tutto era nuovo. I costumi. così lontani da quelli del balletto classico, furono giudicati oltraggiosi. Le coreografie, per quei tempi sembravano innaturali e disordinate perché erano asimmetriche ed era una delle prime volte che accadeva. E infine la musica, spesso aspra, dissonante e in ogni caso difficile da seguire. Il tutto provocò un pandemonio tale che, in certi momenti, i musicisti quasi non si sentivano l’un l’altro.
Ho spesso desiderato di assistere a quella prima, a un momento in cui la musica e la danza, insieme, hanno voltato pagina e adesso, cercando i nomi di compositori su YouTube, trovo questi 4 filmati che, visti in serie, raccontano proprio quell’evento.
Ovviamente non è un film originale. Si tratta di una drammatizzazione ricostruita e trasmessa dalla BBC con il titolo di “Riot at the Rite”. Conoscendo la BBC, la ricostruzione dovrebbe essere piuttosto accurata. Il corpo di ballo è il Finnish National Ballet (prima ballerina Zinaida Yanowsky). Le coreografie originali sono state ricreate da Millicent Hodson. I costumi sono riprodotti accuratamente basandosi su disegni dell’epoca che ho visto anch’io e da quanto ricordo, confermo.
Perfino la gente che all’inizio si fa aria furiosamente è coerente con il fatto che a Parigi, in quei giorni, c’erano più di 30° (capite perché in un vecchio post ho detto che, con una TV così, il canone lo pagherei volentieri).
Ovviamente gli schiamazzi del pubblico e i dialoghi sono in inglese e non sappiamo quanto siano precisi, comunque sono verosimili (spazzatura! tornatene in Russia!). A un certo punto uno dice “Ecco, così danzavano i primitivi!”. E un altro gli risponde “E tu come fai a saperlo!?”
Ma alla fine molta gente applaude. Come artista, ci vuole una grande forza per sopravvivere a una simile esperienza.
Il programma è stato trasmesso in Marzo. Spero che la BBC ne faccia un DVD. I video di YouTube, infatti, sono di bassa qualità.

Frederic Rzewski

Quante persone conoscete con un cognome così impronunciabile?
È perfino peggiore di quello di Jan Łukasiewicz, l’inventore della notazione polacca (in matematica, non in musica), poi applicata ai computer e tuttora in uso nei processori con il nome di “notazione polacca inversa”, proprio perché nessuno si ricordava quello dell’inventore.
Il nome di Rzewski, invece, si ricorda bene, anche perché non è un tipo che passa inosservato.

Nato nel 1938 nel Massachussets e morto a Montiano, in Toscana nel 2021, ha studiato musica ad Harvard e Princeton, fra gli altri con Roger Sessions, e Milton Babbitt. Nel 1960 è venuto a Roma per studiare con Dallapiccola. Qui, a metà degli anni ’60, con Alvin Curran e Richard Teitelbaum, ha fondato MEV (Musica Elettronica Viva), un gruppo di americani a Roma (ed essere americani a Roma, in quegli anni, era perfino meglio che essere americani a Parigi) orientato verso la sperimentazione e l’improvvisazione e soprattutto verso la de-composizione di qualsiasi forma precostituita.
Mettendo insieme le avanguardie della musica contemporanea, dell’elettronica e del jazz, MEV sviluppa una estetica musicale basata su un processo collettivo spontaneo incredibilmente fecondo e condiviso con le altre formazioni di punta di quegli anni (penso al Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina e alla Scratch Orchestra di Cornelius Cardew).

Amico anche di molti esponenti delle avanguardie americane (Cage, Wolff, Tudor, Behrman), le sue prime composizioni (Les Moutons de Panurge, Coming Together) sono fortemente influenzate da queste esperienze e mescolano stilemi sia della musica scritta che di quella improvvisata.
Attraversa poi il periodo delle partiture grafiche (Le Silence des Espaces Infinis, The Price of Oil) e negli anni ’80 esplora nuovi modi di utilizzare la tecnica seriale (Antigone-Legend, The Persians).
Le sue composizioni più recenti sono meno strutturate e più spontanee (Whangdoodles, Sonata e la sua partitura più impegnativa, The Triumph of Death, un oratorio di 2 ore basato su “L’istruttoria” di Peter Weiss).

Ma una particolarità di Rzewski, rara nel club della musica contemporanea, è il suo impegno politico, che, in questo senso, lo avvicina a personaggi come Nono, Pollini e Cardew. Ma Rzewski va più in la. È uno che durante un concerto è capace di smettere di suonare per gridare “Stop the War!” e questo non una, ma 12 volte nel corso di un pezzo, peraltro suo, come ha fatto sabato scorso a Kansas City.

Queste considerazioni, come nel caso di Cardew, lo portano anche a porsi il problema della incomprensibilità della musica contemporanea. Dice Rzewski:

Mi sembrava che non ci fosse ragione per cui le più intricate e complesse strutture formali non si potessero esprimere in una forma che riuscisse ad essere compresa da un largo numero di ascoltatori. Ero anche interessato a quella che mi sembrava un punto critico, non solo in musica, ma anche nelle scienze e nella politica: l’assenza di una teoria generale e di un comportamento critico. Ho incominciato a esplorare una forma in cui i linguaggi musicali esistenti potessero essere accostati.

Ed ecco le “36 Variazioni su El Pueblo Unido Jamas Sera Vencido” degli anni ’70, “Coming Together” (con dentro “Attica Blues”), basata sulle lettere dei prigionieri del carcere di Attica all’epoca della rivolta del 1971, con quella famosa frase ripetuta fino alla nausea “Attica is in front of me!”, fino all’Antigone che teorizza una opposizione di principio alle politiche di ogni stato, perché il problema è lo stato in sè.

Come altri intellettuali radicali (in senso americano), Rzewski ha lasciato gli USA. Dal 1977 insegna al Conservatorio di Liegi.

Resta sempre irrisolto l’interrogativo finale: qual’è la pronuncia corretta di Rzewski?
Ebbene, la risposta è JEV-ski, con G dolce francese e poi “evski”.

0:03 – Thema 1:32 – Variation I 2:33 – Variation II 3:36 – Variation III 4:46 – Variation IV 5:55 – Variation V 7:05 – Variation VI 8:15 – Variation VII 9:17 – Variation VIII 10:39 – Variation IX 11:48 – Variation X 12:50 – Variation XI 13:53 – Variation XII 15:09 – Variation XIII (“Bandiera Rossa”) 17:08 – Variation XIV 18:32 – Variation XV 19:54 – Variation XVI 21:55 – Variation XVII 23:11 – Variation XVIII 25:14 – Variation XIX 26:07 – Variation XX 26:57 – Variation XXI 28:04 – Variation XXII 28:57 – Variation XXIII 29:39 – Variation XXIV 32:21 – Variation XXV 34:21 – Variation XXVI („Die Solidarität”) 35:44 – Variation XXVII (36:51 – cadenza) 41:12 – Variation XXVIII 42:39 – Variation XXIX 43:15 – Variation XXX 46:57 – Variation XXXI 48:06 – Variation XXXII 49:14 – Variation XXXIII 50:28 – Variation XXXIV 51:50 – Variation XXXV 53:00 – Variation XXXVI (54:50 – cadenza) 1:00:47 – Thema

Ed eccolo dal vivo in uno dei suoi ultimi concerti

L’Arpa Eolica

Aeolian Harp

L’arpa eolica è uno strumento le cui corde vengono messe in vibrazione dal vento.
Era molto popolare nel periodo romantico, ma attualmente è estinta e viene costruita solo su ordinazione. È facile capire il perché: in condizioni normali il suono dell’arpa eolica è flebile e non può competere con l’elevato livello di rumore di fondo dell’industrializzazione e soprattutto dell’automobile.
Ciò nonostante il suo suono resta affascinante, tanto che vari compositori ne hanno tratto ispirazione. A parte lo studio num. 1 op. 25 di Chopin (qui eseguito da Olaf Schmidt), a cui Schumann ha attribuito il nick di “arpa eolica”, Henry Cowell, uno dei grandi innovatori della letteratura pianistica, ha inventato tecniche come il pizzicato diretto sulle corde e il loro sfioramento a pedale abbassato per il suo The Sword of Oblivion (1920-1922) e soprattutto per Aeolian Harp del 1923, ampliando poi queste tecniche in brani successivi, come The Banshee (1925), Duett to St. Cecilia (1925), The Sleep Music of Dagna (1926), The Fairy Bells (1928), The Leprechaun (1928), The Fairy Answer (1929), and Irish Epic Set (1946).

La sua costruzione è abbastanza semplice e può assumere varie forme. Normalmente si tratta di una tavola armonica forata sulla quale sono tese le corde. Sotto alla tavola sta una cassa armonica anch’essa forata in modo da permettere il fluire dell’aria in movimento. Le corde sono di numero e accordatura variabili, ma devono essere in materiale leggero, che possa entrare facilmente in vibrazione.
Qui abbiamo un esempio di un’arpa eolica verticale costruita da Ralf Kleemann che è anche un arpista professionale, e uno di Roger Winfield che costruisce strumenti e produce anche dei CD.

Cronologia della Musica Elettroacustica

Theremin
Un po’ di autopromozione non guasta.
Vi segnalo la mia Cronologia della Musica Elettroacustica, una pagina piena di stravaganti curiosità come la voce di Edison registrata da uno dei suoi fonografi alla fine dell’800, oppure un incredibile carillon orchestrale con ance, flauti, campane, piatti, tamburi costruito in Svizzera da Gueissaz nel 1904 e inviato a San Pietroburgo per essere donato dallo Zar allo Scià di Persia, e naturalmente il suono dei primi strumenti elettrici e altro ancora.