Flux

Un metamorfico video di Candas Sisman. che ha realizzato sia il video che l’audio per il Plato College of Higher Education.

Note dell’autore:

A Short Animation Inspired by the Works of İlhan Koman

Plato Art Space is proud to present Candaş Şişman’s video dedicated to famous sculptor İlhan Koman produced for the exhibition İlhan Koman: Hulda Festival, a Journey into Art and Science opening on the 22nd September, 2010.
İlhan Koman’s unique design approach in his form studies also inspires contemporary art works. The video installation Flux by young artist Candaş Şişman can be defined as a digital animation which is inspired from the structural features of some of İlhan Koman’s works like Pi, 3D Moebius, Whirlpool and To Infinity… A red circle, which is colored in reference to the red radiators of Ogre, is traced in a morphological transformation which re-interprets the formal approach of Koman’s works. The continuous movement sometimes connotes the formal characteristics of Pi, 3D Moebius, Whirlpool and To Infinity…, as well as the original formal interpretations of the design principles of the works . In Flux, Koman’s design process in the making of the Pi series has been treated as the emerging of a sphere from a two-dimensional circle by the principle of increasing the surface; and that simple direction is re-interpreted in digital medium. Thanks to this, in the digital animation an entirely different form serial that does not resemble Pi yet remaining its design principle can be followed through the flow of a circle to the sphere. As a conscious attitude of the artist, this work is not designed in a direct visual analogy with Koman’s works. During the animation, none of the moments of the transforming form look like Pi or 3D Moebius, however the subjective reading of Koman’s approach can be observed.

With the integration of the sounds of various materials – which Koman used in his sculptures – Flux turns into an impressive spatial experience. Flux, also exemplifies that Koman’s work can be re-interpreted by the analysis and manipulation of form in the digital medium.

Qui potete vederlo su Vimeo

La vita nella zona morta

A 25 anni dall’incidente la zona di Chernobyl è tuttora off-limits per gli esseri umani e lo sarà ancora per molti anni.

Non così per la natura. Abbiamo già parlato dell’esplosione di vita che si registra nella zona di alienazione, tale da lasciare sbigottiti scienziati e ambientalisti che ormai consideravano quel cerchio di 30 km di diametro come una zona morta.

Le immagini che vedete qui sotto (click per ingrandire e ancora click per dimensione massima) sono tratte dal documentario Chernobyl – Life in the dead zone, un bellissimo film, visibile anche su You Tube, che, dietro alla storia di una gatta e dei suoi gattini, mostra come, nonostante la radioattività, flora e fauna prosperino in modo mai visto prima.

È un film poetico che sembra pieno di speranza. In fondo la zona non è diventata quel deserto radioattivo che tutti immaginavano.

Lasciata a sé stessa, senza l’interferenza della specie umana, la natura trova sempre il modo di andare avanti.

Come al solito ci spiano

In questi giorni sta facendo un certo rumore la scoperta che la nuova generazione di cellulari ci spia sistematicamente. Non mi riferisco al fatto, ormai noto a tutti, che i nostri spostamenti e contatti vengono tracciati dalle compagnie telefoniche grazie alle celle che il nostro cellulare aggancia, ma al fatto che i nostri movimenti vengono salvati in un file conservato all’interno del telefono e a volte anche sul computer a cui il telefono viene connesso.

Tutto ciò appare grave perché, se alle registrazioni conservate dalle aziende si può accedere solo dietro richiesta di un magistrato, questo file può essere consultato da chiunque sappia come arrivarci. E non è difficile, soprattutto per Apple.

La cosa vale sia per l’iOS di Apple che per Android. con qualche piccola distinzione che vado a riferirvi:

mappa realizzata a partire dai dati conservati su iPhoneiOS Apple (iPhone e iPad 3G)

Cory Doctorow riporta qui la scoperta di alcuni ricercatori che si occupano di sicurezza presentata alla conferenza Where 2.0. È stato scoperto un file nascosto (invisibile all’utente) che contiene tutti gli spostamenti del telefono desunti dalle celle, dagli access point wi-fi e dal GPS, ognuno accompagnato dal relativo time-stamp (data e ora). Il file viene anche scaricato sul computer a cui il telefono si connette.

A quanto pare, la registrazione di tali dati è iniziata con l’upgrade a iOS 4 datata Maggio 2010. Di conseguenza,  in alcuni telefoni, si può trovare quasi un anno di spostamenti completi di coordinate, data e ora. Il file non è criptato e la lettura è possibile anche a non geek utilizzando l’apposita applicazione, iPhone Tracker, che si scarica qui.

Finora Apple non ha spiegato perché questi dati vengono raccolti, né fornito un modo per bloccarli. L’utente viene tracciato, che lo voglia o no. In pratica, Apple ha reso possibile ottenere informazioni dettagliate sui vostri spostamenti a chiunque abbia accesso al vostro iPhone (un partner geloso, un detective privato, i genitori, etc.).

La cosa divertente è che Apple ha il diritto di raccogliere tali dati. Fra le 15200 parole che formano i terms and conditions for its iTunes program, un paragrafo di 86 parole dice

Apple and our partners and licensees may collect, use, and share precise location data, including the real-time geographic location of your Apple computer or device. This location data is collected anonymously in a form that does not personally identify you and is used by Apple and our partners and licensees to provide and improve location-based products and services. For example, we may share geographic location with application providers when you opt in to their location services.

La notizia è finita anche sul Guardian con dovizia di particolari.

Android

Gli utenti Android sono relativamente più fortunati. Quello di Android, infatti, non è un file, ma una cache. Ne consegue che è più difficile accedervi (serve un informatico dotato di una certa perizia, vedere qui), ma soprattutto vengono conservate solo le ultime 50 celle e gli ultimi 200 wi-fi access point. La profondità dei dati, quindi, è più limitata rispetto a iOS.

In entrambi i casi, non si sa se i dati vengano inviati rispettivamente a Apple e a Google. Vari rappresentanti di entrambe le aziende si stanno affrettando a negare qualsiasi utilizzo fraudolento.

First Orbit

Il 12 Aprile di 50 anni fa Yuri Gagarin faceva il primo giro nello spazio intorno alla Terra. Ho cercato per parecchi giorni qualcosa di sufficientemente interessante per commemorare l’evento. Solo adesso mi sono imbattuto in questo film realizzato appositamente.

First Orbit è una ri-creazione, pressoché in tempo reale, della prima orbita mai vissuta da un essere umano. Le scene del film cercano di mostrare ciò che vide Gagarin per la prima volta nella storia dell’umanità. Sono state girate interamente nello spazio a bordo della International Space Station e combinate con l’audio originale della missione di Gagarin e colonna sonora originale di Philip Sheppard.

Lo potete vedere qui, ma vi consiglio di andare a guardarlo in alta definizione su You Tube. Settate 1080 punti e schermo intero.

Esiste anche il sito dedicato.

RIP Max Mathews

maxheadPessima giornata il 21 Aprile. All’età di 84 anni si è spento Max Mathews. Non un vero compositore, ma praticamente l’inventore della computer music, avendo ideato e scritto, nel 1957, il primo software che permettesse ad un elaboratore di emettere suoni.

Per raccontarlo con le sue parole:

Computer performance of music was born in 1957 when an IBM 704 in NYC played a 17 second composition on the Music I program which I wrote. The timbres and notes were not inspiring, but the technical breakthrough is still reverberating. Music I led me to Music II through V. A host of others wrote Music 10, Music 360, Music 15, Csound and Cmix. Many exciting pieces are now performed digitally. The IBM 704 and its siblings were strictly studio machines – they were far too slow to synthesize music in real-time. Chowning’s FM algorithms and the advent of fast, inexpensive, digital chips made real-time possible, and equally important, made it affordable.

Starting with the Groove program in 1970, my interests have focused on live performance and what a computer can do to aid a performer. I made a controller, the radio-baton, plus a program, the conductor program, to provide new ways for interpreting and performing traditional scores. In addition to contemporary composers, these proved attractive to soloists as a way of playing orchestral accompaniments. Singers often prefer to play their own accompaniments. Recently I have added improvisational options which make it easy to write compositional algorithms. These can involve precomposed sequences, random functions, and live performance gestures. The algorithms are written in the C language. We have taught a course in this area to Stanford undergraduates for two years. To our happy surprise, the students liked learning and using C. Primarily I believe it gives them a feeling of complete power to command the computer to do anything it is capable of doing.

Eccolo in un video del 2007 mentre ascolta Daisy Bell (A Bycicle Build for Two), eseguita e cantata nel 1961 da un elaboratore IBM 7094 grazie al software di John Kelly, Carol Lockbaum e dello stesso Mathews.

Orchidée

Questo interessante sistema chiamato Orchidée, realizzato all’IRCAM da Grégoire Carpentier and Damien Tardieu con la supervisione del compositore Yan Maresz, è in grado di fornire una o più orchestrazioni di un suono dato.

In pratica, significa che un compositore può arrivare con un suono e farlo analizzare al sistema che poi fornisce varie combinazioni di suoni orchestrali che approssimano la sonorità data.

Un esempio, tratto da quelli forniti dall’IRCAM, dice più di molte parole. Qui potete ascoltare:

Si tratta di Computer Aided Orchestration (orchestrazione assistita) ed è un ulteriore esempio di come il computer possa ormai affiancare il compositore in molte fasi del suo lavoro.

Il sistema si basa su un largo database di suoni orchestrali che sono stati analizzati e catalogati in base a una serie di descrittori sia percettivi (es. brillantezza, ruvidità, presenza, colore, …) che notazionali (strumento, altezza, dinamica, etc).

Un algoritmo genetico individua, poi, varie soluzioni, ognuna ottimizzata rispetto a uno o più descrittori, il che significa che non esiste una soluzione ideale, ma più di una, ciascuna delle quali si avvicina molto ad un aspetto del suono in esame, risuldando, invece, più debole sotto altri aspetti. Per esempio, si potrebbe ottenere un insieme che approssima molto bene il colore del suono, ma non la sua evoluzione. Sta poi al compositore scegliere quella che gli appare più funzionale al proprio contesto compositivo.

La descrizione completa del sistema Orchidée si trova qui. Vari altri esempi si possono ascoltare qui.

Haiku sonori

Ho appena letto un articolo di Murray Shafer, Orecchie aperte riportato in Paesaggi sonori, a cura di M. Bull e L. Back, Il Saggiatore, 2008 (NB: titolo originale The auditory culture reader, 2003; non ci sono i titoli originali dei singoli articoli, maledizione).

A un certo punto, in un capitolo intitolato L’orecchio dell’immaginazione, Shafer riporta vari haiku che spingono ad immaginare un suono a volte in modo sorprendente.

Il primo è il famoso haiku della rana di Bashō (1644 – 1694), che ho trovato anche in lingua originale

古池や
蛙飛びこむ
水の音
(furu ike ya
kawazu tobikomu
mizu no oto)

Questo haiku è stato tradotto in molti modi, ma la traduzione più realistica, anche se non è quella riportata nell’articolo, mi sembra essere:

antico stagno
una rana si tuffa
il suono dell’acqua

Nota: la traduzione degli haiku, come di molta poesia, non è univoca, ma è spesso una questione di sfumature. Qui, a volte, ho scelto di riportare la mia traduzione preferita anche se non è quella utilizzata nell’articolo che, oltretutto, è una doppia traduzione (giapponese → inglese → italiano).

Lo stesso Bashō offre anche altri esempi di attenzione al suono

il canto del cuculo
si adagia
sulla superficie dell’acqua

*****

il canto del cuculo
si perde lontano
verso un’isola sola

*****

mentre canta l’allodola
le grida del fagiano
battono il tempo

*****

silenzio:
la voce delle cicale
graffia la pietra

Un esempio fantastico è di Yamei

hark! la voce di un fagiano
ha ingoiato il grande campo
in un sorso

Ci sono, poi, alcuni haiku sul movimento del suono (autori Issa e Gyotai)

grillo
anche se era all’altra porta che cantavi
ti ho sentito qui

*****

il suono di una ghianda
che cade da un tetto di assi
freddo nella notte

ed esistono anche fusioni sinestetiche di fenomeni sonori e visivi (ancora Bashō)

il mare si scurisce
e il richiamo di un’oca selvatica
è pallidamente bianco

Infine, sempre da Bashō, un bellissimo esempio dell’immanenza del suono negli oggetti silenziosi

la campana del tempio tace,
ma il suono continua
ad uscire dai fiori

Plus-Minus

Karlheinz Stockhausen – Plus-Minus (1963)

score pagePlus-Minus è una partitura indeterminata, notata per un generico ensemble e basata su 7 pagine di materiale musicale in notazione non convenzionale, accoppiate ad altrettante pagine di simboli che suggeriscono come utilizzare i materiali musicali, per un totale di 14 pagine più 6 di spiegazione della simbologia. (in figura una delle pagine di simboli, clicca per allargare)

Ogni pagina di materiali musicali contiene:

  • 7 accordi
  • 6 guppi di note determinati sotto il profilo delle altezze, ma non privi di indicazioni di durata, dinamica e modalità esecutive.

Ciascuna pagina di simboli è accoppiata ad una delle pagina musicali e contiene 53 quadrati, ognuno dei quali è un evento musicale. L’interpretazione dei quadrati e della simbologia in essi contenuta è gerarchica. Ogni quadrato contiene l’indicazione di:

  • un zentralklang, il suono principale su cui si basa l’evento, che corrisponde a uno dei 7 accordi della pagina musicale collegata.
  • gli akzidentien che sono indicazioni esecutive applicabili alle ottave, alle durate, alle dinamiche, alle modalità esecutive e al timbro. Tali indicazioni non sono precise, ma, appunto, indicative, tipo breve, medio, lungo, accelerando, ritardando, il più veloce possibile, etc.
  • le nebennoten, note secondarie che corrispondono ai gruppi da 1 a 6 di ciascuna pagina.

Ciascun quadrato contiene, inoltre, un complesso insieme di simboli che guidano la realizzazione dell’evento sotto il profilo ritmico, dinamico e timbrico.

Nell’applicazione dei simboli, i concetti di crescita e contrazione sono centrali. Su ogni simbolo può essere posta una indicazione numerica (1 cifra) con segno + o – (es. +1, -2, +3, etc) che determina il numero delle ripetizioni di quel simbolo al suo prossimo incontro. Per esempio, il fatto che, nell’evento (il quadrato) attuale, al simbolo del zentralklang è sovrapposto un +1, significa che la prossima volta che si incontrerà quel simbolo, dovrà essere eseguito 2 volte e poi all’incontro successivo 3 volte e così via, fino ad incontrare una eventuale indicazione negativa che ne determina la contrazione, magari fino alla sua scomparsa.

Si generano, così, dei loop in crescita e contrazione che danno vita a figure musicali ripetute, a tratti arcaiche, con modifiche più o meno sottili fra un evento e i successivi e possibilità combinatorie pressoché infinite.

È anche interessante notare come Plus-Minus non sia un brano musicale, ma un progetto, un’idea per sua natura non perfettamente definita e di conseguenza ogni valutazione estetica basata sulla sola partitura sia completamente fuori luogo. Sotto l’aspetto musicale, infatti, Plus-Minus non esiste fino alla sua trascrizione (vorrei quasi dire “implementazione”) ed è solo quest’ultima che può essere valutata in termini di estetica musicale.

Vale anche la pena di ricordare che Stockhausen prescrive la realizzazione completa dell’opera, ovvero di tutti i 53×7 eventi. Cosa che, invece, non si è quasi mai realizzata, sia per la durata che per la complessità del lavoro.

Realizzazione del 2010 ad opera dell’Ives Ensemble.