Una personale visione della divinità

god

Questa maglietta potrebbe rappresentare un personalissimo concetto della divinità…
Generalmente non faccio pubblicità, ma Imaginery Foundation la merita. Non solo per questa.
Peccato siano un po’ esosi.

This T-shirt could represent a very personal idea of the divine…
Generally speaking, I don’t like advertisement, but Imaginery Foundation deserves.
Pity for the price just a little high.

Tenete lontani i vostri bambini

VRT
Boing Boing riporta una trasmissione radio della NPR in cui viene descritto questo interessante ordigno, sviluppato dalla Integrated Wave Technologies, che i soldati americani utilizzano per “comunicare” con gli indigeni (nella fattispecie, gli iracheni).
Si tratta di un traduttore che capisce un numero limitato di frasi ed è in grado di ripeterle in 15 lingue, spesso in forma più dettagliata.
Quello che mi colpisce è il tono della descrizione. È per questo che ho scritto “comunicare” fra virgolette. Dice:

Per esempio, quando il soldato dice una semplice frase come “keep kids back”, il Voice Response Translator (VRT) traduce in arabo accrescendo il dettaglio. In questo caso, la traduzione è “Tenete i vostri bambini lontano da noi o intraprenderemo delle azioni contro di voi”

il che, detto da un marine che, come minimo, ti tiene un M16 puntato addosso, è estremamente rassicurante, favorisce il dialogo e lo stabilirsi di un clima di fiducia.
La dichiarazione del produttore è ancora più allucinante:

Comunicazioni semplici come questa possono salvare vite, sia fra i civili che fra i militari. Questo elimina il tirare il grilletto come prima opzione nel trattare con gli indigeni.

Maledizione, io capisco che in guerra sia utile impartire istruzioni chiare ai civili e magari questo oggetto serve, ma un po’ di diplomazia, no? Forse “tenete i bambini in casa, qui è pericoloso” sarebbe stato meglio.
E l’ultima frase significa forse che senza il VRT, la prima opzione è tirare il grilletto?
I consulenti per la comunicazione che gli USA pagano profumatamente, cosa ci stanno a fare? E chi sono?

Non siamo d’accordo

Afrodite
Forse i nostri media non lo dicono (o forse mi è sfuggito), ma quelli americani ne parlano.
Il nostro paese sta litigando con il Getty Museum di Los Angeles nel tentativo di farsi restituire 52 pezzi d’arte antica che appaiono come materiale illegalmente scavato e esportato senza permesso.
Fra questi è compresa la magnifica statua di Afrodite che vedete a sinistra, acquisita dal Getty Museum nel 1988 per $18 milioni e un bronzo di giovane eroe attribuito a Lisippo, acquisito nel 1977 (valore $4 milioni).
Il Getty Museum si dichiara d’accordo nel restituire soltanto 24 oggetti che, ovviamente, non sono fra quelli di maggior pregio.

Italian media don’t talk about, but the italian goverment is disappointed beacause of the Getty Museum in LA.
The museum refuse to return dozens of art objects that appear to be illegaly excavated and spirited out of the country.
The talks have bogged down in recent weeks as a dispute has deepened over other important pieces on the list, including a rare fifth-century B.C. limestone statue of a Greek deity, possibly Aphrodite, acquired by the Getty in 1988; and a fourth-century B.C. bronze statue of a heroic youth sometimes attributed to the Greek sculptor Lysippos, acquired in 1977.
All the story here.

The Critical Mass

L’associazione ambientalista olandese Enviu (Environment and You) e Döll – studio for the art of building, hanno sviluppato The Critical Mass: l’idea di una discoteca a basso impatto ambientale realizzata presso il club Off_Corso di Rotterdam.
Se ci pensate, non c’è niente di più “sprecoso” di una discoteca: si spreca un casino di energia per far andare impianti audio e luce al fine di consentire a un casino di gente di sprecare altra energia muovendosi in modo insensato, creando un casino di calore e umidità che vanno sprecati.
L’idea è quella di recuperare almeno una parte di questa energia, convertendo in energia elettrica l’energia cinetica generata dal movimento dei “ballanti”. Il pavimento, infatti, è a doppio strato. Fra i due strati è steso uno strato di cristali piezoelettrici (piezein = pressione) in grado di generare una differenza di potenziale quando sono soggetti a una deformazione meccanica. Ecco, quindi, che la pressione di centinaia di piedi in movimento può creare elettricità che va ad alimentare il locale stesso.
Fra l’altro, questo sistema è attualmente al centro dell’attenzione: si progettano impianti atti a recuperare energia dalla vibrazione creata da auto, tram e perfino persone che si muovono sulle scale.
L’Off_Corso è anche dotato di altri impianti eco-sostenibili: le pareti cambiano colore in base alla temperatura e all’umidità e l’acqua piovana (tanta, a Rotterdam) viene raccolta per essere usata negli sciacquoni.

The environmental association Enviu (Environment and You) ans Döll – studio for the art of building, develop The Critical Mass: the idea of a dance club with a low enironmental footprint.
The concept was realized at the Off_Corso dance club in Rotterdam.

With the Sustainable Dance Club, Enviu and Doll have taken on the challenge of creating a sustainable environment within clubbing. Next to physical and design solutions, we’ve also looked at the organisation itself, but foremost at how to create a sustainable and fully recyclable environment. You only have to imagine the amount of energy, warmth and humidity that a club crowd produces on such an evening to see the great potential. Furthermore important are the program of the club, the food and beverages that are served and creating the natural conditions in which drinking and flirting can take place. As thus a place is constructed in which people can make a sustainable contribution to their environment whilst enjoying life.

In the sustainable dance club, electric energy is created by the moving of dancers on a piezoelectric floor. Piezoelectricity is the ability of crystals to generate a voltage in response to applied mechanical stress.
Such crystals are embedded in the dance club floor, generating electricity while people are jumping and dancing on.

Un altra Bella Addormentata

Quando qualcuno riesce a prendere un classico e metterci dentro qualcosa che non si era mai visto prima…
Il Cullberg Ballet con coreografie di Mats Ek sulla Bella Addormentata di Piotr Ilič Čaikovskij (1999).

When someone can take a classic work and put in something new…
The Cullberg Ballet, Mats Ek choreographer dancing on Pyotr Ilyich Tchaikovsky’s Sleeping Beauty (1999).

Analisi del discorso

Il blog Chir.ag ha analizzato più di 360 discorsi di presidenti USA (tutti, da Adams fino a GW) fabbricando per ognuno di essi una “tag cloud”, cioè una immagine in cui sono riportate le parole più utilizzate con dimensioni proporzionali alla loro frequenza nel discorso.
La trovate qui. È molto bella da vedere perché dà una indicazione istantanea su quali fossero i problemi maggiori al momento del discorso.
Se si guardano quelli di GW, si nota quanto segue:

  • nell’ultimo discorso di Clinton (2000), le parole chiave erano di tipo economico: sostenibile, rinforzare, bipartisan, investire, welfare
  • nel GW pre-attentato queste parole via via scompaiono e vengono sostituite da: fondi, guadagnare, debito, norma e commitment che significa sia incarcerazione che obbligo
  • immediatamente dopo l’attentato, tutte le parole sono piccole, il che significa che nessuna prevale decisamente sulle altre, come se chi parla non avesse un argomento principale. Un po’ di evidenza hanno, nel discorso del 20 settembre, bin (per bin laden), dolore, fondi e rafforzare e, 4 mesi dopo (gennaio 2002), campi, patria e regimi, ma, ripeto, senza una grande prevalenza
  • dal 2003 in poi, una sola parola campeggia enorme su tutto il resto: terrorist

Cuore

Cuore
Un plauso a unamanolavalaltra che sta mettendo in linea il famoso Cuore (settimanale di resistenza umana). Allora almeno si rideva.
Questo giornale ha anche coniato una serie di espressioni che sono entrate nel linguaggio comune, come quella che vedete a sinistra.
NB: gli scan originali, che trovate sul sito di cui sopra, sono molto più grandi e perfettamente leggibili.

Unire l’utile al dilettevole

pc-farm
Boing Boing pubblica una segnalazione di un utente polacco secondo il quale la polizia di quel paese avrebbe arrestato un ragazzo di 17 anni che ha trovato il modo di integrare una coltivazione di cannabis nel case del proprio computer (foto a fianco).
Il pc, peraltro regolarmente funzionante, era stato modificato in modo da contenere una fonte di luce e mantenere un tasso di umidità costante.
Ecco il link al sito della polizia polacca.

Non impareranno mai…

Un po’ di tempo fa (prima delle elezioni) mi arriva una mail dalla locale sezione dei DS con dentro un manifestino che mi invita a un dibattito.
Il manifestino è un .doc redatto in Word. Io giro su Linux. Ho anche un computer windoze, ma non ho Office. Non un solo byte del mio sito è stato contaminato da programmi micro$oft.
È vero che ho Open Office, ma, dato che ho anche questa tara che mi spinge a spiegare le cose (sono uno che è arrivato a scrivere al sindaco per protestare perhé sul sito del comune c’era un .doc), mi prendo la briga di rispondere ai DS consigliandoli di non usare un formato proprietario o almeno di scegliere formati magari proprietari, ma visibili con programmi gratuiti tipo rtf o pdf.
Mi rispondono dicendomi che è vero, che è giusto e mi rimandano il manifestino in pdf. Fantastico.
Ci credete voi? Quello è stato un caso unico. Tutti i messaggi successivi, fino all’ultimo di ieri, sono tornati in .doc.
Ma è mai possibile che, in un partito grosso come i DS non ci sia qualcuno che capisca queste banalità?

Un mondo peggiore

Di solito non parlo di politica qui, ma dopo le ultime leggi firmate da Bush che annullano i capisaldi della civiltà giuridica occidentale in USA, la prima, e decretano de facto la militarizzazione dello spazio, la seconda, sono troppo incazzato.
Il mondo è un luogo decisamente peggiore da quando l’amministrazione americana è in mano a quest’uomo e alla sua gang (o meglio, a questa gang e al suo burattino).

Att.ne: i filmati sono due. Il secondo è il famoso Sunday Bloody Sunday. È troppo bello, non ho resistito. Il primo è un rap carino. Nota: DRAFT è la coscrizione obbligatoria.

Dansen op de straten

MG: Abbiamo una nuova corrispondente dal 51° parallelo. Valeria è a Rotterdam per studiare danza contemporanea. Oltre alla passione (artistica), ci unisce il fatto che entrambi siamo nati nel giorno dell’icona lontana.
Valeria ci aggiornerà, in modo informale, sugli spettacoli e gli eventi delle terre basse, lassù, dove il vento spazza le dune fra spruzzi di pioggia, gli animali di plastica camminano sulla sabbia e la gente comunica con versi tipo hoop aan van der eek.
Dato che anche a me piace parlare di danza, infilerò qui e la delle note in corsivo.

Uno dei primi spettacoli che ho visto è stata Krisztina de Châtel. Ha fatto lavorare dei danzatori, in modo molto meccanico e ripetitivo, come dei netturbini e le macchine che usano loro. Il tutto, infatti, era ambientato in una specie di vecchia stazione abbandonata..
Penso che la provocazione fosse se al giorno d’oggi anche il più semplice dei lavori si possa considerare arte, o se l’arte al giorno d’oggi venga considerata come uno dei lavori più semplici se non addirittura come spazzatura….

MegPoi ho visto la scandalosa Meg Stuart!!!
È molto, molto sperimentale, decisamente ai confini con il teatro. Ha trattato la malattia mentale, ma è stato da brivido..è stato troppo astratto è violento da guardare e raccontare, fai conto che alla fine non avevo neanche l’energia per applaudire, ma per renderti l’idea, l’atmosfera era da nido sul cuculo…forse anche più forte…se non per il fatto che hai delle persone in carne ed ossa davanti al naso!!

MG: Grande Meg Stuart. Americana emigrata a Bruxelles (credo che attualmente stia temporaneamente a Berlino). Non è ottimista e lo dimostrano i nomi che sceglie: il suo gruppo si chiama Damaged Goods, lo spettacolo di cui ho visto delle foto in prova si intitolava It’s not funny, un altro spettacolo era Crash Landing e così via.
Lei cerca di unire danza, teatro, arte visuale, architettura, coreografie sociali.

Poi lo Scapino Ballet… Che roba, quanti soldi sprecati, e sono la compagnia più famosa di Rotterdam!!
Bravi i ballerini, per carità, ma sembrava più che altro il saggio di una scuola..tutti pezzi staccati, scollegati, che puntavano solamente a far vedere quanto bravi erano i ballerini che bei salti e che belle gambe….va beh, buon per loro!! 😮

MG: In effetti il loro sito sembra quello di qualche maledetto modaiolo. Quando la danza sconfina nella pura ginnastica, yuri chechi è meglio…
Comunque, può essere un caso, nel senso che una compagnia a volte lo fa perché è in un momento di transizione fra uno spettacolo e l’altro. Quando il vecchio è stato abbandonato e il nuovo non è ancora pronto, si fa un po’ di roba di repertorio. Non si dovrebbe, però a volte capita…

Infine Van Daele. Molto forte anche questo perché era ballato da quattro donne molto animalesche, a tratti accompagnate da una cantante-musicista. Era tutto basato sulla rabbia (in effetti erano incazzate come iene), sulla costante tensione di una volontà che vuole più di ogni altra cosa ribellarsi dal giogo di una forza superiore che la sfrutta di continuo e la costante sottomissione per debolezza…

Per ora è tutto,
Saluti da Rotterdam

Post-modernismo

Tanto per parlare dei cosiddetti “barbari” (quelli di Baricco su Repubblica), beccatevi questa tabella di opposizioni stilistiche allo scopo di identificare i modi attraverso i quali il postmodernismo si sarebbe posto come reazione al modernismo delle avanguardie artistico-letterarie del Novecento. Redatta da Ihab Hassan in Pluralism in Postmodern Perspective, in Critical Inquiry, 12, n. 3, 1986.
Decidendo da che parte vi riconoscete, per ogni riga, potreste calcolare il vostro tasso di post-modernismo.
Anzi, facciamo un calcolo un po’ brutale. Le righe sono 30, quindi basta contare le righe in cui vi piazzate nella colonna del post-moderno, dividere per 30 e moltiplicare per 100, per sapere il vostro tasso di post-modernismo espresso in percentuale.
C’è anche un sistema più raffinato, ma sarebbe un po’ complicato. Potrei scrivere un programmino…

Modernismo Postmodernismo
Romanticismo / Simbolismo Patafisica / Dadaismo
Forma (chiusa, congiuntiva) Antiforma (aperta, disgiuntiva)
Scopo Gioco
Disegno Caso
Gerarchia Anarchia
Mestria / Logos Esaurimento / Silenzio
Oggetto d’arte / Opera finita Processo / Performance / Happening
Distanza Partecipazione
Creazione / Totalizzazione Decreazione / Decostruzione
Sintesi Antitesi
Presenza Assenza
Accentramento Dispersione
Genere / Confine Testo / Intertesto
Paradigma Sintagma
Ipotassi Paratassi
Metafora Metonimia
Selezione Combinazione
Radice / Profondità Rizoma / Superficie
Interpretazione / Leggere Disinterpretare
Significato Significante
Lisible (Leggibile) Scriptible (Scrivibile)
Narrativo Antinarrativo
Dio Padre Lo Spirito Santo
Sintomo Desiderio
Fallico / Genitale Androgino / Polimorfo
Paranoia Schizofrenia
Origine / Causa Differenza — Differanza / Traccia
Metafisica Ironia
Determinazione Indeterminazione
Trascendenza Immanenza

Telefonare è pericoloso

Ho il mal di gola e la febbre, quindi sono particolarmente caustico. La storia che vi racconto stasera non ha un lieto fine e ha qualche aspetto strano.

Una notte d’aprile del 1996, un uomo uscì da una casa immersa in una tranquilla foresta nelle vicinanze del villaggio di Gechi-Ču, a una trentina di chilometri da Groznyj, in Cecenia.
Quell’uomo era Džochar Dudaev, capo dell’esercito ceceno. L’uomo più ricercato dell’intera Russia. Il Bin-Laden di Mosca.
Cinquantadue anni, Dudaev era una figura eccezionale, per i suoi. Primo ceceno a raggiungere il grado di generale di divisione dell’esercito sovietico, aveva comandato una unità di bombardieri in Estonia fino al 1990. Rientrato in Cecenia, era entrato nelle file del movimento indipendendista e, nel 1993, aveva proclamato l’indipendenza del paese divenendone il primo presidente e un signore della guerra molto temuto. Sfuggito a numerosi attentati, per anni era sempre stato un passo avanti rispetto all’esercito russo, pur avendo una vita pubblica e concedendo interviste a tutti i corrispondenti stranieri.
Dudaev camminò fino al centro della radura, portando con sè il suo telefono satellitare Inmarsat. La telefonata che stava per fare era molto importante. La guerra, per i russi, stava andando male e Boris El’cin aveva lanciato un’iniziativa negoziale. Nonostante le assicurazioni, Dudaev non si fidava a incontrare i russi a Mosca o a Groznyj e intendeva condurre le trattative tramite intermediari, per telefono.
Quella notte, Dudaev si accingeva appunto a chiamare il suo mediatore, Konstantin Borovoij, parlamentare russo di tendenze liberali. Il telefono satellitare Inmarsat era ingombrante, ma gli permetteva di comunicare da qualsiasi luogo. Sviluppato per le comunicazioni marittime (Inmarsat = International Maritime Satellite), disponeva di una lunga antenna e di un proprio trasmettitore con cui agganciava direttamente il satellite che ritrasmetteva il segnale a terra, raggiungendo qualsiasi apparecchio.
Dudaev piazzò l’antenna e aspettò che il sistema agganciasse il satellite. Poi formò il numero. Mentre parlava, sentì il rumore di un aereo. Immediatamente dopo, due missili aria-terra colpirono la radura, diretti verso di lui, o meglio, verso il suo telefono. Uno cadde un po’ più avanti, l’altro esplose a pochi metri da lui.
Si dice che Dudaev morì con una scheggia piantata in testa. Non si sono mai viste foto del suo cadavere.

Se questo omicidio avvenisse oggi, non ci sarebbe niente di strano, ma nel 1996 gli attentatori di Dudaev dovettero dapprima usare un satellite di sorveglianza per identificare il segnale del suo telefono, poi collegarsi con un GPS per determinare la posizione del segnale. Poi allertare un aereo perché programmasse i missili in modo da usare come guida la frequenza del segnale e li lanciasse nella direzione corretta.
Il fatto strano è che nel 1996 i russi non disponevano di una tale tecnologia.

Animali del deserto mossi dal vento

Il clima sta cambiando e il riscaldamento globale è ormai un dato di fatto con il quale faranno i conti le prossime generazioni.
Theo Jansen ci prepara alla desertificazione costruendo questi bellissimi animali mossi dal vento, in grado di camminare sulla sabbia e scalare le dune. Scheletri di sottile plastica gialla, presagi di una nuova natura.
A volte, li lascia liberi in branco sulle spiagge così che possano vivere la propria vita.

Since about ten years Theo Jansen is occupied with the making of a new nature. Not pollen or seeds but plastic yellow tubes are used as the basic matierial of this new nature. He makes skeletons which are able to walk on the wind. Eventualy he wants to put these animals out in herds on the beaches, so they will live their own lives.

Il 26 Settembre

Il 26 settembre non si celebra niente. Eppure qualcosa da celebrare ci sarebbe. E non qualcosa di banale. Solo che non se ne parla mai, tanto che anch’io me ne ero dimenticato.
Eppure il 26 settembre dovremmo celebrare il fatto di essere ancora vivi, perché il 26 settembre 1983 una persona ha preso una decisione che, molto probabilmente, ha evitato la guerra atomica. Ora vi racconto la storia. È un po’ lunga, ma ne vale la pena.

Nel 1983 la guerra fredda, che si trascinava dagli anni ’50, stava attraversando uno dei suoi periodici picchi di tensione. Il 1 settembre i russi avevano abbattuto il volo KAL 007, un Boeing 747 coreano che aveva a bordo 269 passeggeri (fra cui un deputato americano) più l’equipaggio, tutti morti. Il KAL 007 era un volo civile da New York a Seul che, dopo aver fatto rifornimento ad Anchorage, in Alaska, era finito fuori rotta sorvolando il territorio sovietico, con conseguente reazione russa che aveva portato all’abbattimento dell’aereo.
In realtà non si è mai saputo con sicurezza se la deviazione del volo KAL 007 fosse stata accidentale o in qualche modo preordinata allo scopo di saggiare la determinazione sovietica. Comunque sia, in seguito a questo fatto, gli attacchi americani all’URSS, che il presidente Reagan definiva apertamente “l’Impero del Male”, avevano raggiunto un notevole livello di virulenza e la tensione fra i due imperi era elevata.
L’unica cosa che impediva lo scontro diretto era la dottrina della deterrenza, in codice MAD (Mutual Assured Destruction), in base alla quale i sistemi radar dei due imperi erano in grado di rivelare i lanci dei missili della controparte con sufficiente anticipo da consentire il lancio dei propri, provocando la distruzione totale (è una semplificazione: in realtà la deterrenza si basava su uno spiegamento militare che includeva vari sistemi d’arma, come bombardieri e sommergibili, comunque il significato della dottrina MAD era questo).
Yevgrafovich-PetrovIn questa situazione, quel 26 settembre 1983, il tenente colonnello Stanislav Yevgrafovich Petrov, 44 anni, era l’ufficiale in servizio al bunker Serpukhov-15, presso Mosca, con il compito di tenere d’occhio i dati forniti dai satelliti di primo avviso (early warning) che per primi potevano avvistare un lancio diretto verso l’Unione Sovietica.
Poco dopo la mezzanotte, alle 00:40, i computer del bunker segnalarono un missile americano che puntava verso il territorio dell’URSS. Petrov mantenne la calma, pensando che doveva trattarsi di un errore di sistema perché lanciare un solo missile non era un attacco, ma un suicidio che lasciava all’avversario molte possibilità di risposta.
Ma poco dopo, i computer indicavano che un secondo missile era partito e poi un terzo, un quarto, un quinto.
Ora, per capire il dilemma di Petrov, bisogna sapere che il sistema di rilevamento satellitare sovietico poteva individuare un missile partito dagli USA, con un anticipo di quasi 30′ sul suo arrivo, quindi in tempo per lanciare una salva di reazione, ma il secondo avvistamento, che poteva servire da conferma, era quello dei radar di terra che, all’epoca, non erano molto efficienti, dando un preavviso di pochi minuti. Praticamene inutile.
Così, Petrov si trovava nelle difficilissima posizione di decidere se dichiarare l’informazione errata e non lanciare l’allarme oppure lanciarlo, basandosi unicamente sul proprio intuito. Se non avesse passato l’informazione, la sua patria avrebbe potuto essere distrutta senza nessuna reazione, ma se l’avesse passata, i suoi superiori avrebbero potuto decidere di lanciare una risposta e scatenare una guerra nucleare per niente.
Nessuno sa esattamente che cosa gli passò per la testa. Non ne ha mai voluto parlare, ma Petrov decise di dichiarare un falso allarme e restò nel bunker, lasciando passare i minuti, aspettando l’eventuale e tardivo segnale dei radar di terra. Segnale che, per fortuna sua e di noi tutti, non arrivò mai.
Naturalmente di questa faccenda non si seppe niente per un po’. Nessuno ne parlò perché avrebbe rivelato una inefficienza del sistema di risposta sovietico. Lo stesso Petrov passò qualche guaio. In fondo aveva disobbedito a un ordine, perché lui avrebbe dovuto lanciare un allarme e lasciare ai suoi superiori il compito di decidere. Ma non fu condannato. Soltanto trasferito a un ufficio meno critico e infine pensionato anzitempo. Una promettente carriera militare stroncata.
L’episodio venne raccontato nel 1990, un anno dopo la caduta dell’URSS, nelle memorie del generale Yury Votintsev, ex comandante della difesa missilistica dell’Unione Sovietica. Negli anni seguenti i media ne parlarono. L’Associazione Internazionale Citizen of the World assegnò a Petrov un riconoscimento pubblico nel 2004.
La Russia ha cercato di ridimensionare la cosa facendo notare che, anche se fosse stato dato l’allarme, la risposta non sarebbe stata automatica, ma soggetta alla valutazione di organi superiori e alla fine, di Yuri Andropov, il premier sovietico. È corretto, ma gli analisti della guerra fredda sono concordi nel sostenere che, visto lo stato di tensione di quel momento e la conseguente sfiducia delle alte sfere sovietiche nei confronti della presidenza USA, una guerra atomica sarebbe stata altamente probabile.
Quest’anno Petrov è stato onorato alle Nazioni Unite ed è in preparazione un documentario sulla vicenda.
Attualmente (NB: nel 2006), Stanislav Yevgrafovich Petrov ha 67 anni e vive con una modesta pensione nella cittadina di Fryazino, una piccola città scientifica, 25 km a NE di Mosca.

Update

Nel 2013 gli fu assegnato il Premio Dresda. Il film che racconta la sua storia, diretto dal regista danese Peter Anthony, è uscito nel 2014 con il titolo The Man Who Saved the World.

Winchester Mystery House

Aerial view

Ho deciso che, ogni tanto, vi racconterò anche qualcosa dei miei viaggi. Fa cool 8) .
Questa è la storia di una casa. Una grande casa che ho visto tanti anni fa e che avevo completamente dimenticato fino a qualche giorno fa quando l’ho ritrovata citata in un libro su Bob Dylan.
La casa ormai è nota come “Winchester Mystery House” ed è il frutto del delirio della sua proprietaria, una simpatica vecchia signora dal cognome famoso.
Sarah L. Winchester (1839–1922), infatti, era la vedova di William Wirt Winchester (1837–1881), figlio di quell’Oliver Winchester (1810–1880) che aveva inventato l’omonima arma (“il fucile che vinse il west”) e fondato la Winchester Repeating Arms Company della quale William era diventato presidente alla morte del padre, nel 1880. Ma presidente lo era stato per un anno solo, perché era morto nel 1881 e Sarah, pur restando fuori dall’azienda (le donne manager non esistevano a fine ‘800), ne aveva ereditato il 50% della proprietà, il che le assicurava una rendita di circa $ 1000 al giorno esentasse (fino al 1913 le rendite azionarie non erano tassate in USA; equivalgono a circa $ 19.000 al giorno attuali). In più, l’eredità era costituita anche da circa $ 20 milioni fra titoli, immobili e liquidi.
Non era povera la vedova Winchester, ma era inguaribilmente depressa per la prematura morte del marito e come spesso accade anche ai nostri giorni, la depressione la condusse da un mago.
Il mago le disse che c’era una maledizione sulla sua famiglia, a causa delle tante vittime dei suoi fucili, i cui spiriti cercavano vendetta e presto avrebbero preso anche lei, prematuramente come il marito. L’unico modo di calmare queste anime perdute era quello di costruire una casa tanto grande da ospitare lei stessa e tutte loro. Ma erano migliaia e non poteva esistere una casa abbastanza grande. Così Sarah Winchester avrebbe dovuto costruirne una e continuare ad allargarla giorno dopo giorno, per sempre. “Non dovrete mai fermare la costruzione. Continuate a costruire e vivrete. Smettete e morirete”.
E così fece. In fondo il denaro non le mancava. Sarah Winchester si trasferì all’ovest, a San Jose, California nel 1884 e qui comprò una fattoria di 8 stanze in cui andò a vivere, iniziando ad ampliarla.
I lavori di ampliamento continuarono sempre, 24 ore al giorno, 7 giorni la settimana, 365 giorni l’anno per 38 anni, fino alla sua morte nel 1922 a 83 anni (in effetti visse molto, per quei tempi).
Ogni notte Sarah si recava in una stanza dove era convinta di ricevere messaggi spiritici che le suggerivano cosa costruire. Così ci sono scale che non portano in nessun posto, corridoi e porte più piccoli del normale (Sarah era alta circa m 1.50), un armadietto con solo 2 cm di profondità…
Oggi la casa è una curiosità per turisti. Ha 160 stanze. Prima del grande terremoto del 1906 aveva 7 piani, 3 dei quali crollarono. Venne rimessa a posto, ma gli ultimi 3 piani non furono mai ricostruiti, optando saggiamente per un ampliamento più orizzontale che verticale.
Ci sono 1257 finestre, 47 fuochi (fra camini, stufe, punti di cottura, alcuni dei quali a gas, gli altri a legna o carbone), 17 camini (sui tetti) + 2 in costruzione, 6 cucine, 40 camere da letto, 40 scale interne, 2 saloni da ballo e 52 punti luce (a candele, ovviamente). Si stima che la costruzione sia costata $ 5.5 milioni.
La vedova Winchester, inoltre, considerava protettivi il numero 13 e le ragnatele. I tipici candelieri a 12 braccia sono modificati e ne hanno 13, gli appendiabiti sono in multipli di 13 e varie finestre sono decorate con un motivo a ragnatela in cui sono inserite 13 pietre colorate. Nel 13° bagno, l’unico con doccia, ci sono 13 finestre. Lo scalone centrale ha 13 gradini.
Oggi si organizzano visite speciali la notte di Halloween e tutti i venerdì 13.
La foto aerea dà un’idea della struttura, ma non della complessità della casa. Per apprezzare quest’ultima cliccate qui.

Sito di riferimento

Cultura Libera

Cultura Libera

I contenuti di questo blog, come la musica e gli scritti che si trovano sul mio sito, sono distribuiti secondo la licenza Creative Commons che trovate in fondo alla barra laterale.
L’inventore di questo tipo di licenze è Lawrence Lessig, professore alla Stanford Law School e fondatore dello Stanford Center for Internet and Society.
Dal sito Copyleft-Italia è possibile scaricare liberamente uno dei testi fondamentali di Lessig, “Free Culture”, ovviamente distribuito con licenza Creative Commens, opportunamente tradotto in italiano come “Cultura Libera” (per chi non si accontentasse del file pdf e volesse il volume, Apogeo lo vende a € 15).
In un momento in cui gli spazi di condivisione della cultura si assottigliano sempre di più a favore di lobbies che gestiscono un diritto in modo sempre più arrogante, distruggendo qualsiasi tipo di “fair use”, la diffusione di queste idee e la consapevolezza del problema sono sempre più importanti.
Per fare un esempio recente, l’edizione di Bari di Repubblica riporta la seguente eroica azione di un funzionario SIAE:

La Siae ha fatto una multa di 205 euro a 14 bambini di Chernobyl per violazione del diritto d´autore. I piccoli, di età compresa tra i 7 e 12 anni, avevano preparato un piccolo spettacolo per dire grazie alle famiglie da cui erano stati ospitati. Con una canzone in bielorusso. Le piccole casse di un computer portatile diffondevano una canzone popolare. E loro, sulla base musicale, avevano iniziato a cantare le prime strofe per salutare le persone che si erano prese cura di loro per quasi un mese.
[tutti particolari qui]

Il problema è che la SIAE non è cattiva, è solo stupida. Sono le leggi che devono cambiare.
Quindi, intanto scaricate Cultura Libera da qui. È legale e non costa niente. Non è pesante. Lessig racconta un bel po’ di storielle istruttive ma anche divertenti: di come l’invenzione dell’aereo cambiò l’estensione della proprietà dei terreni, a come la RCA, per puro amore del profitto, soffocò l’invenzione della radio FM (brevettata, pensate un po’, nel 1933; a quando risalgono i vostri primi ricordi di radio FM?).

Canone obbligato

Non è una forma musicale del ‘600. Sto parlando del canone che tutti noi dobbiamo pagare per sostenere la TV pubblica. E quando dico tutti, intendo dire proprio tutti: che guardiamo o non guardiamo la RAI, che abbiamo o non abbiamo un televisore.
Perché il regio decreto 246 del 21 febbraio 1938 (con successive integrazioni e modifiche) dice che il canone deve essere versato da chiunque possegga “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radio televisive”.
Leggete bene: atti o adattabili significa quasi qualsiasi cosa. Secondo l’interpretazione corrente, infatti, un computer è facilmente adattabile: basta comprare una scheda da pochi euro con selezionatore TV e presa per antenna. La stessa cosa si può fare con un qualsiasi monitor. Esagerando un po’ (ma forse non troppo), si può sostenere che anche la mia lavatrice, che è già dotata di un display LCD, con poche e banali modifiche potrebbe essere messa in grado di ricevere il segnale TV.
Dunque riassumiamo:

  • chi ha un televisore, ma non guarda la RAI, deve pagare il canone;
  • ma anche chi non ha un televisore, ma possiede un computer o un lettore DVD + monitor lo deve pagare, solo perché potrebbe, in via del tutto ipotetica, dotare il suddetto ordigno di un componente che lo mette in grado di vedere la TV.

Ma è fantastico. È geniale!
Per lo stesso principio forse dovremmo pagare in anticipo qualche multa per eccesso di velocità perché tutti possediamo un auto/moto/ciclomotore atto a violare qualche limite. In teoria, anche una bici è adattabile.
Per estensione, forse dovremmo andare in galera in quanto tutti abbiamo in casa qualche ordigno atto o adattabile a commettere un omicidio…
Il bello è che io sono favorevole a una TV pubblica mantenuta da un canone (diciamo che se la RAI fosse come la BBC lo pagherei molto più volentieri), ma questa faccenda dell’obbligare al pagamento anche chi in via ipotetica potrebbe, mi sembra del tutto demenziale.

Cagnini Robot

Restando in tema di cani robot, dopo l’annuncio dell’estinzione di Aibo, che comunque continua ad essere venduto fino ad esaurimento, vi segnalo alcuni graziosi giocattoli.
Il primo si chiama iDog (il nome vi fa venire in mente qualcosa?). È della giapponese Sega Toys (giocattoli, videogames…) ed è più un MP3 gadget che un cane. Infatti non ha grandi movimenti. Da quel che si vede si limita a muovere testa, orecchie e coda, ma lo fa a tempo di musica e con tanto di led che si accendono sulla testa.
Questo simpatico animaletto, in effetti, reagisce alla musica, è dotato di un altoparlante interno e ha una entrata jack 3.5mm (per collegare lettori MP3 e CD portatili e naturalmente, visto anche il nome, l’iPod) per cui può riprodurre musica muovendosi come sopra. Se si spegne la musica, si lamenta, guaisce a abbaia (che para!). Sembra costare € 49.90 (sito in italiano alla fine del post).
Saltando a piè pari le cose per bambini (tipo Argo, il cane intelliggente (sic)), la vera sorpresa sembra essere i-Cybie che, a quanto si capisce dal sito, si candida come un successore di Aibo sia pure in misura ridotta (meno potente ma sensibilmente meno costoso: $199).
Ideato e prodotto (guarda un po’) dalla Silverlit di Honk-Kong, i-Cybie esibisce comportamenti complessi e ha vari sensori (vede gli ostacoli, si accorge del movimento intorno a lui, reagisce al tocco e a parecchi comandi vocali e sonori) ed è influenzato dall’ambiente circostante. Può anche essere messo in “guard mode” per cui abbaia quando si accorge di qualche movimento intorno a lui.
Ma la cosa più interessante è che i-Cybie dispone di un sensore a infrarossi con cui può comunicare con i suoi simili nelle immediate vicinanze (3 piedi = 90 cm). Sto indagando per capire che informazioni si scambiano (da buon complottista ho la mente rutilante di ipotesi inquietanti).
Sto preparando una breve ricerca sugli entertainment pets. Stay tuned. Intanto ecco i link ai cagnini robot.

iDog è commercializzato in occidente come eDog.
i-Cybie.

学习汉语

Secondo il traduttore di Google, questi ideogrammi significano “studiare il cinese”.
Mi permetto di consigliarvi di cominciare. Si trovano libretti a pochi euro.
In questi ultimi giorni mi hanno colpito due dati:

  1. Al primo posto della classifica di Technorati, che indicizza i blog di tutto il mondo in base al numero dei links, oggi c’è un blog cinese (la classifica è aggiornata ogni 5 giorni; la trovate qui). La cosa che fa pensare è che non si tratta di un blog bilingue cinese/inglese, ma è scritto solo in cinese.
  2. Classifica delle vendite dei cellulari. Al primo posto la Cina, con più di 400 milioni di apparecchi; al secondo gli USA con 200 milioni. In Italia sono stati venduti 70 milioni di cellulari: 1.4 per abitante compresi gli anziani e i neonati. Se i cinesi fossero ricchi come noi e sviluppassero la stessa mania, in Cina si venderebbero circa 1 miliardo e 680 milioni di pezzi.

06/06/06

Ieri, martedì, era il giorno del numero della bestia: 06/06/06. Me ne sono accorto scrivendo la data di una lezione e ho pensato che, per trovare un surrogato, bisogna arrivare almeno al 2106.
Comunque non è successo niente.
Apparentemente…

Yesterday, tuesday, was the date of the Beast: 06/06/06. I found it while writing the date of a lesson in school.
However nothing happened.
Apparently…

Long live Aibo (1999 – 2006)

Following the Sony Corporation FY05 3Q announcement, the production of AIBO Entertainment Robots will be discontinued as of end March 2006.

Stupido quanto volete e assurdamente costoso ($1599 di listino), ma è stato il primo serio tentativo di costruire e vendere un animale da compagnia.
Aibo, il cagnino robot della Sony, si estingue nel 2006 lasciando le migliaia di esemplari ancora in circolazione alla disperata ricerca di pezzi di ricambio e migliorie software di terze parti, senza nemmeno la speranza di vedere una nuova generazione.
Dite quello che volete, ma a me dispiace. In fondo Aibo incarna il sogno del Golem, un sogno che è sempre esistito e che è parte dell’uomo. E non è vero che non serve a niente semplicemente perché un cane vero fa il suo lavoro molto meglio di lui. Secondo questa ottica anche mettere un piede sulla Luna o mandare un robottino su Marte non serve a niente, ma secondo me, quando questi sogni non esistono più, tutti noi perdiamo qualcosa.
Aibo, poi, non è un cane e non vuole imitare un cane. È un essere ibrido che si muove un po’ come un cane, ma dice qualche parola e canta una canzoncina. Fa tenerezza. E poi vuoi mettere poter dire cose tipo “Basta, spegni il cane e vai a dormire” oppure “Su, andiamo a fare un giro, accendi il cane”.

Long live, Aibo…

PS: non te l’ho mai detto, ma a un certo punto avevo voglia di comprartelo. Poi ho pensato che, se avessi saputo il prezzo, me ne avresti detto di tutti i colori. Con il senno di poi, sarebbe stato meglio comprarlo: oggi si vende a molto di più. Arriva fino a $ 6000.

Weekday Morning Time

Oggi è uscito questo dai Fortune di Unix. Concordo pienamente.

What we need in this country, instead of Daylight Savings Time, which nobody really understands anyway, is a new concept called Weekday Morning Time, whereby at 7 a.m. every weekday we go into a space-launch-style “hold” for two to three hours, during which it just remains 7 a.m. This way we could all wake up via a civilized gradual process of stretching and belching and scratching, and it would still be only 7 a.m. when we were ready to actually emerge from bed.
— Dave Barry, “$#$%#^%!^%&@%@!”

Chernobyl-4

Chernobyl-4Si parla molto di Chernobyl in questi giorni perché oggi è il 25 Aprile. Sono passati 20 anni dal disastro e le TV si sforzano a raccattare filmati di repertorio o di visite più o meno recenti.
Se avete voglia di farvi un’idea un po’ più reale di quanto è successo, andatevi a vedere il viaggio di questa ragazza,
Elena Vladimirovna Filatova, che da sola si è fatta un giro in moto attraverso campagne e villaggi abbandonati, in gran parte radioattivi, fin quasi al sarcofago. Alla fine di ogni pagina trovate il link al capitolo seguente, oppure partite da qui e saltate dove volete.
Nelle note che accompagnano le foto, dice che le piace andare in moto sulle strade vuote e che in queste terre abbandonate dall’uomo ormai da 20 anni, si trovano boschi e laghi di grande bellezza. Il territorio intorno a Chernobyl è diventato terra dei lupi. La natura se l’è ripreso nonostante le radiazioni perché è più dura di noi. Bastano 500 roentgens per 5 ore per uccidere un uomo. È interessante notare che, per uccidere un pollo, serve una dose 2.5 volte superiore e una dose 100 volte superiore non basta per ammazzare uno scarafaggio.
Chernobyl e i villaggi vicini sono città fantasma da cui siamo scappati in tutta fretta senza portare via niente, lasciando tutto come stava. Foto su un pianoforte, giocattoli, quaderni, manifesti, auto, chiatte abbandonate su un fiume. Una immensa Maria Celeste.

BE PARANOID!

Qualche giorno dopo l’arresto di Provenzano, durante una intervista TV con uno degli inquirenti (di cui purtroppo non ricordo il nome), ho sentito una dichiarazione che mi ha colpito.
In sintesi, quel funzionario, per dare l’idea della complessità dell’indagine, a un certo punto ha detto: «Vi rendete conto di quanto sia difficile individuare qualcuno che come massima tecnologia usa una macchina da scrivere?».
Traduzione (mia): è difficilissimo beccare qualcuno che non usa telefono, cellulare, internet, email, carta di credito, bancomat, tessera sanitaria, raccolte punti, certimat, schede TV, TV via cavo, telegrammi, etc, tutte tecnologie che seminano tracce.

Adesso pensate un po’ a che cosa significa tutto questo per la nostra privacy. So che per alcuni di voi sono cose assodate, ma immaginatele nei particolari. Per esempio, oggi all’uscita del supermarket, controllando il conto mi sono reso conto che sopra c’era scritto il mio nome: «arrivederci e grazie, Sig. Graziani».
Così i bastardi non hanno archiviato solo il mio codice cliente, che è quanto basta per attribuirmi i punti e magari è AB123ZX e non dice niente sul mio nome, ma l’hanno anche associato alla mia identità.
Così hanno un bel database con dentro tutto quello che mangio. Sanno che non mi piacciono i dolci, ma amo la cioccolata e compro solo la Lindt più sottile e magari, con adeguate offerte e pubblicità, forse potrei cambiare marca. Sanno che mi piace il pesce e che a casa mia c’è sempre il salmone, ma non posso permettermi il caviale. Sanno che non ho bambini perché non ho mai comprato mai ovetti kinder, merendine etc. Sanno anche che sono single, che non vado matto per la verdura e che ultimamente ho inspiegabilmente smesso di acquistare coca-cola.
In definitiva, hanno una buona visione del mio stile e del mio tenore di vita. E tutto questo solo con una carta di raccolta punti. Pensate se si potessero unire tutte le informazioni provenienti da varie fonti. Adesso è chiaro perché, anche sotto questo aspetto, le grandi concentrazioni in cui molte aziende di diverso tipo sono in mano alla stessa società/persona dovrebbero essere bloccate?
La cosa buffa è che, come informatico, questi database a volte li progetto o comunque li vedo da vicino e so cosa si può dedurne, di conseguenza tutte queste cose mi sono ben chiare. E allora perché quell’affermazione mi ha colpito? Non so. Una cosa è saperlo e non pensarci, un’altra sentirselo dire dalla polizia. È come se ti dicessero «guarda che questi dati non sono lì a dormire, qualcuno li usa… siate paranoici!»

Ma la gente… (1)

Qualche giorno fa all’esselunga (sì, faccio la spesa al supermarket del nano pelato perché è vicino a casa e la qualità è buona, il che dimostra che non sono accecato dall’ideologia, però sono un coglione perché pur essendo un professionista non lo voto), lascio il carrello vuoto in un angolo e riempio di verdura qualche sacchetto.
Torno al carrello e ne trovo un altro, parimenti vuoto, parcheggiato accanto e un tipo che sta riempiendo di sacchetti il mio. Al che gli faccio notare che quello è il mio carrello e il tipo, scandendo le parole con fare teutonico, ribatte «No, questo è il mio carrello».

Provo ad insistere, ma il tipo non molla. Poi, con l’aria di chi ha appena fatto una scoperta geniale, mi fa «Ma è lo stesso, tanto erano entrambi vuoti». Sopraffatto da tanta intelligenza prendo l’altro carrello e me ne vado borbottando un «contento lei…».
Peccato che lui nel carrello ha messo € 2, mentre io ci metto sempre un dischetto metallico privo di alcun valore: grazie di avermi pagato la cioccolata…

PS: adesso, se leggi il blog, sai anche chi sono, ma è inutile che mi scrivi tanto i 2 € non te li ridò: la prossima volta contatta il cervello, prima.